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Mag 12 2022

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ZONA ROSSA: LA PESTE SUINA TORNA A FAR PAURA

Il contagio partito da Piemonte e Liguria si sta estendendo al Lazio, dove sono già scattati i provvedimenti di contenimento. Il rischio è che la popolazione di cinghiali che vive nella Capitale possa diventare un pericoloso veicolo per il virus. Ruggero Lenti, presidente di Assica, associazione industriali delle carni e dei salumi, chiede misure urgenti a tutela degli allevamenti e delle aziende di trasformazione

Dopo le segnalazioni provenienti da Liguria e Piemonte, anche da Roma giungono notizie di casi di peste suina. Dopo quello riscontrato nella riserva naturale dell’Insugherata, altri due casi sospetti sono stati rilevati nelle vicinanze del “caso zero”, sempre nella Capitale. Fino ad ora, dal primo contagio registrato in Italia il 27 dicembre scorso, sono stati individuati 113 casi. Numeri da non sottovalutare, che hanno spinto la regione Lazio a prendere immediati provvedimenti per contrastare un problema che, prima di essere di ordine sanitario, sarebbe da considerare di sicurezza pubblica.

Che cos’è la peste suina

La peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali. È causata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus, incapace di stimolare la formazione di anticorpi neutralizzanti. I sintomi principali negli animali colpiti sono: febbre, perdita di appetito, debolezza del treno posteriore con conseguente andatura incerta, difficoltà respiratorie e secrezione oculo-nasale, costipazione, aborti spontanei, emorragie interne, emorragie evidenti su orecchie e fianchi. Attualmente non esiste un vaccino da opporre al virus.

Altamente contagiosa e spesso letale per gli animali, la peste suina non è trasmissibile agli esseri umani e non comporta problemi per il consumo di carne. Ma qualche conseguenza sull’uomo c’è. Infatti, queste epidemie posso avere pesanti ripercussioni economiche sul patrimonio zootecnico suino. Si possono riscontrare danni ingenti sia per la salute animale (con l’abbattimento obbligatorio degli animali malati e sospetti tali), sia per il comparto produttivo suinicolo, nonché sul commercio comunitario e internazionale di animali vivi e dei loro prodotti (dai Paesi infetti è vietato commercializzare suini vivi e prodotti suinicoli).

I primi segnali di Psa si sono manifestati nel 2014 nell’est Europa. Poi la malattia si è diffusa in altri Stati tra cui Belgio e Germania. Guardando al di fuori dell’Ue, la peste suina è stata rintracciata anche in Cina, India, Filippine e diverse aree del Sud-Est asiatico, raggiungendo anche l’Oceania (Papua Nuova Guinea). In Italia, i primi casi di peste suina risalenti a quegli anni si sono manifestati solo in Sardegna.

Il 7 gennaio 2022 è stata confermata la positività in un cinghiale trovato morto in Piemonte, nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria. Ma secondo il Ministero della Salute il virus riscontrato in questa regione è geneticamente diverso dal quello circolante in Sardegna e corrisponde a quello rinvenuto in Europa da alcuni anni. Dopo il caso nella riserva naturale dell’Insugherata, dalla capitale giungono altre due segnalazioni di capi contaminati. Ad oggi, nel Lazio ci sono quasi cinquantamila maiali allevati a rischio.

Dalla zona rossa all’abbattimento

I due nuovi casi intercettati ha fatto salire il livello di allerta. Per contenere l’epidemia, la regione Lazio ha aperto agli abbattimenti dei suini e fatto scattare la zona rossa entro la quale non è possibile organizzare eventi, raduni e picnic. Il sottosegretario alla salute Costa ha sottolineato l’esigenza del depopolamento e degli abbattimenti selettivi. La regione ha seguito le indicazioni, ma questo provvedimento ha incontrato la resistenza dell’Organizzazione Nazionale Protezione Animali (Oipa), il cui presidente, Massimo Camparotto, ha dichiarato che «la questione va affrontata in maniera scientifica, non armando i cacciatori, ma attuando un monitoraggio sanitario degli animali morti intercettati sul territorio nazionale».

L’impatto sulla filiera delle carni e dei salumi

Intanto, secondo Coldiretti le misure di biosicurezza con abbattimenti cautelativi di maiali, contenimento e monitoraggio dei cinghiali presenti, vincoli al trasporto di animali, limitazione alle attività nei boschi e vincoli alle esportazioni hanno già portato alla perdita di circa 20 milioni di euro al mese di export di salumi da gennaio 2022. E la peste suina è solo l’ultimo dei problemi della filiera legata agli allevamenti di suini.

Caro energia, aumento dei prezzi e scarsità di materiali accessori e di confezionamento come plastica e cartoni, senza contare la salita dei costi di trasporto. «In questo scenario, il ritrovamento di un caso di Psa a Roma è un altro scossone che non aiuta – ha affermato Ruggero Lenti, presidente di Assica, associazione industriali delle carni e dei salumi. La presenza della peste suina sul territorio continentale espone le aziende al rischio di ulteriori danni, soprattutto se la malattia veterinaria dovesse diffondersi nei territori a maggior intensità di allevamenti suinicoli e aziende di trasformazione. Un’eventualità come questa metterebbe a rischio, per esempio, la possibilità di produrre le Dop di Parma e San Daniele, simbolo della salumeria made in Italy nel mondo. Non è più possibile temporeggiare: è necessario completare al più presto il posizionamento delle barriere fisiche di contenimento, delle reti ove necessarie, che evitano lo spostamento dei cinghiali dalle zone interessate dal virus ed è urgente avviare una politica di controllo della popolazione dei selvatici».ù

Resistenza passiva, prima colpa

Solo a Roma e provincia si stima la presenza di 20mila cinghiali, un veicolo pericoloso di trasmissione della malattia. Su tutto il territorio nazionale si arriva a 2,3 milioni. I cinghiali sono animali capaci di raggiungere i 180 centimetri di lunghezza e possono arrivare a pesare fino a 2 quintali, hanno zanne che in alcuni casi arrivano fino a 30 centimetri, vere e proprie armi mortali per uomini e animali, ma anche per campi coltivati e raccolti. Secondo i dati Aci Istat negli ultimi dieci anni il numero di incidenti stradali gravi con morti e feriti sulle strade provinciali, causati da animali è aumentato dell’81%.

«La peste suina c’è sempre stata e da molti anni ne dichiariamo la pericolosità – spiega David Granieri, presidente Coldiretti Lazio – Nel parco di Roma Natura c’è una concentrazione altissima di animali, figlia dell’inattività conforme alla legge, che ha permesso alla peste suina di attecchire». Ma anche secondo Granieri aprire la caccia a questi animali non è una soluzione. «Cacciare alcune migliaia di capi in 4-5 anni significa catturare pressapoco 100 cinghiali, ma la riproduzione di questa specie è molto più rapida dell’attività venatoria. Oggi si parla di rischio sanitario, ma la verità è che nessuno ha avuto mai il coraggio di intervenire di fronte al rischio che questi animali rappresentano da anni per la sicurezza pubblica. Quando l’animale lascia il suo habitat naturale, concentrandosi in aree antropizzate, l’animale continua a ragionare d’istinto. La vera colpa è la resistenza passiva: avremmo avuto parchi più sicuri e vivibili se fossero stati più scarichi di animali e oggi non avremmo avuto questo problema. I rifiuti per strada ci sono sempre stati, ma non c’è mai stata una soglia così incontrollabile di animali».

Ma se la peste suina non è contagiosa per l’uomo perché è stata istituita la zona rossa? «I divieti evitano l’introduzione di cibo attraverso i picnic e gli assembramenti umani nell’area di concentrazione degli animali. Data l’alta contagiosità del virus, la priorità è evitare di muovere le masse».  Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Stefania Leo, 12.05.2022

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