Il punto di vista di Giorgio Calabrese, Alberto Zangrillo e Vincenzo Montemurro, dalla tavola rotonda del Congresso Assoenologi
La salute è un tema caro al mondo del vino, per quanto negli anni la sfera enoica e quella della salute siano state spesso rappresentate in modo antitetico. E, invece, sono sempre di più gli studi e i professionisti che dimostrano la possibilità di un rapporto del tutto positivo tra “Vino e Salute”, tema al centro della tavola rotonda, moderata da Bruno Vespa, giornalista e volto di punta del piccolo schermo, ma anche vignaiolo in Puglia, appuntamento clou del Congresso di Assoenologi, ospitato eccezionalmente da Wine2Wine Digital, il business forum di Vinitaly & Veronafiere, di scena online da ieri al 24 novembre. Ma pronto a tornare, nel 2021, alla “normalità”. L’appuntamento, come ha ricordato il presidente Assoenologi, Riccardo Cotarella, “è a Genova, dove saremmo dovuti essere quest’anno, a giugno o a novembre, nella speranza di tornare al più presto alla normalità. L’argomento centrale lo dobbiamo ancora scegliere, ma le idee non ci mancano, e gli amici nemmeno”.
A discutere di “Vino e Salute”, invece, sono tre tra i maggiori esperti della materia: il professore Giorgio Calabrese, medico specializzato in Scienza dell’Alimentazione, docente di Nutrizione Umana e consulente del Ministero della Salute; il professor Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare del San Raffaele di Milano; Vincenzo Montemurro, cardiologo e vicepresidente della Fondazione Italiana del cuore. Il punto cardine, non può che essere il ruolo del vino, da un punto di vista prettamente scientifico, del vino non solo nella dieta, ma nel funzionamento stesso del nostro organismo. “Il vino non è una bevanda ma un alimento liquido”, ricorda, con un concetto a lui particolarmente caro, Giorgio Calabrese. “Abbiamo bisogno di percepire che il buon bicchiere di vino ai pasti, che certo non sostituisce l’acqua ma accompagna il cibo, è possibile. Nel lavoro che facciamo ormai dal 1987 con colleghi da ogni parte del mondo, abbiamo visto che nell’uva, e quindi nel vino, ci sono sostanze che vanno al di là di digeribilità e piacevolezza. Il polifenolo è un insieme di sostanze naturalmente presenti nell’uva, nella buccia e non solo, dalle proprietà antiossidanti, che ci difendono dai radicali liberi. Non solo, ridefiniamo così il Dna delle nostre cellule per avere una vita non solo più lunga, ma anche di qualità. L’astemio – scherza, ma non troppo, Calabrese – può essere astemio, ma sia cosciente di perdere qualcosa che serve alla qualità della vita”.
Ed è proprio su questo punto, sulla qualità della vita, che si incontrano punti di vista e presupposti diversi, come spiega nel suo intervento Alberto Zangrillo. “Io sono sempre alla ricerca di cosa può venirci incontro per vivere meglio e più a lungo. Oggi, un bambino americano ha un’aspettativa di vita di 78 anni, uno italiano qualcosa di più. Si è studiato a lungo il funzionamento del codice genetico e del Dna, oggi invece sta prendendo sempre più piede l’epigenetica, ossia ciò che viene determinato da noi, da cosa facciamo, da come viviamo, da come interagiamo con la natura. I polifenoli sono tutti nel mondo vegetale, ed è una categoria di molecole molto importanti, perché proteggono le nostre cellule dalla disregolazione del nostro codice genetico, che va poi ad alterare la capacità di replicarsi delle nostre cellule. I polifenoli antiossidanti sono elementi protettivi – sottolinea Zangrillo – e sono contenuti nel vino, ma è riduttivo dire che ci sia un automatico beneficio nel consumo di vino. Sono comunque componenti, in particolare il resveratrolo, che hanno un ruolo importantissimo”.
Dal punto di vista più strettamente scientifico, come ricorda il cardiologo Vincenzo Montemurro, “i sono tanti studi che dimostrano l’azione cardioprotettiva dell’alcol, in particolar modo del vino. I polifenoli del vino hanno la capacità di neutralizzare i radicali liberi, e il resveratrolo ha anche un’azione antiossidante. È una capacità che il corpo umano sviluppa attingendo dalla propria dieta. E poi, i polifenoli svolgono un’azione antiinfiammatoria, e in questo momento è importante: 30-40 grammi di alcol al giorno si inseriscono bene nella dieta quotidiana”.
Se c’è un aspetto ancora da risolvere, delicato e a volte controverso, è quello del rapporto tra il vino ed i più giovani, specie in un’ottica di consumo degli alcolici ben più vasta, e ancora troppo spesso irresponsabile. “Il vino alimento è ben diverso da un superalcolico”, riprende Calabrese. “Nei giovani il vino va introdotto quando il fegato è maturo, ossia dai 17-18 anni, non prima. E dobbiamo educarli che il vino non si beve, ma si gusta. Tra i pro del vino, che lo differenziano dagli altri alcolici, le sirtuine, su cui stiamo lavorando da un po’. Si pensa che il vino faccia ingrassare, ma queste proteine, sposate con il resveratrolo, agiscono sul metabolismo dei grassi e difendono il fegato. Bevendo un bicchiere di vino si può agire così nello “sgrassamento” del fegato, annettendo pochi grassi e sfruttando meglio le cellule vegetali. Le bevande troppo zuccherate, o la birra in alternativa all’acqua, sono proprio ciò che non va bene per il nostro organismo. Il vino – ribadisce Giorgio Calabrese – come alimento liquido permette di avere sia una storia da tutelare che un futuro da costruire”.
Zangrillo allarga la lettura ben al di là del semplice rapporto tra giovani ed alcol, ricordando come “la malattia del secolo è la depressione: il 6% della popolazione mondiale ne soffre. È interessante che questa patologia è collegata alle dipendenze, ed anche all’abuso di alcol. La necessità di esercitare un piano progettuale educativo è forte. Osservo ciò che ci circonda: quello che era il segno dell’emancipazione, il fumo, viene sostituito dall’alcol. Ma non da quello buono, che può mitigare ansia e depressione. Ciò che ci manca in questa fase delle nostre vite è quel piccolo premio che sta nella socializzazione e nella condivisione di un buon bicchiere di vino. È un momento molto grave: se non siamo attenti a stare con i nostri giovani, li perdiamo. La movida è stata vista come fenomeno negativo, ma alla fine è un vizio, come l’apericena, in cui si beve male e si mangia peggio. In questo senso – dice Zangrillo – dobbiamo resettare il nostro modo di vivere. Il vino è l’elemento cardine del nostro ragionamento: proponiamo un prodotto che è il principio di un discorso progettuale che porta i giovani a mangiare, vivere e bere meglio. È così che si vive più a lungo e meglio”.
Insomma, anche nell’ottica dei consumi tra i ragazzi, il vino ha tante controindicazioni in meno, o meglio qualcosa in più. Anche se, chiosa Montemurro, “per quanto riguarda le quantità di birra, a 4 gradi una bottiglia si può tranquillamente bere. Per quanto riguarda i superalcolici, si raccomanda di non superare i 4 cl. Queste sono le modiche quantità, ma è chiaro che il vino abbia qualcosa in più: i polifenoli. Non solo il resveratrolo, ma anche la coercitina, che ha la capacità di inibire una proteasi del Covid-19. Sono aspetti che riguardano il vino, e non gli altri alcolici”. Fonte: WineNews, 22.11.2020