L’editoriale di questo mese è dedicato all’Earth Overshoot Day 2024, il giorno in cui ogni anno terminano le risorse naturali della terra: una riflessione su come potremmo dare un personale contributo tramite le nostre scelte alimentari.
Care Amiche e Amici,
Siamo “Homo sapiens”: esseri umani sapienti. Eppure se un alieno ci osservasse dallo spazio e si soffermasse su alcuni nostri tratti comportamentali penserebbe, per esempio, che abbiamo le mani bucate. Dico questo perché in soli sette mesi il nostro impatto (o impronta) ecologico ha consumato le risorse naturali che gli ecosistemi del pianeta sono in grado di rigenerare nel corso dell’anno (in gergo tecnico: biocapacità). Lo scorso 1° agosto è stato infatti l’Earth Overshoot Day 2024, giorno in cui entriamo in debito ecologico nei confronti della Terra e iniziamo a consumare
cibo, materiali ed emettere emissioni di gas serra di competenza del 2025.
Pensare che nel 1971, quindi meno di 50 anni fa, questa data cadeva a ridosso del giorno di Natale. Si trattava quindi di una situazione ottimale: domanda e offerta di risorse naturali erano pressoché in equilibrio. Il raddoppio della popolazione mondiale (nel 1970 sfioravamo i 4 miliardi, oggi siamo 8), l’industrializzazione spinta di ogni comparto dell’economia, l’aumento della ricchezza che ha aumentato a sua volta le persone appartenenti alla classe media hanno fatto sì che, in appena mezzo secolo, abbiamo anticipato la data di quasi 150 giorni.
Con i nostri paradigmi fondati su una logica di estrazione e su un modello che persegue il bieco profitto come unico fine, stiamo perpetuando varie forme di ingiustizia nei confronti dell’ambiente e della stessa specie “Sapiens” a cui tutti noi apparteniamo. Dico questo perché in un mondo in cui tutto è interconnesso, è impensabile vivere bene in un pianeta degradato. Allo stesso tempo la salvaguardia dell’ambiente non può essere disgiunta dalla promozione della giustizia sociale nei
confronti dei più fragili, del nostro futuro, delle giovani generazioni e di quelle che ancora devono nascere; pena il vivere in un mondo povero e inospitale dove la scarsità cronica di risorse sarà all’ordine del giorno, causando conflitti e sofferenze.
Ci tengo però a precisare che l’uso che faccio del pronome “noi” non è inclusivo di tutta la popolazione mondiale. Se è vero infatti che a livello globale è come se stessimo usando 1.75 pianeti per soddisfare i nostri bisogni, se scendiamo nel dettaglio dei singoli paesi la situazione differisce profondamente. Prendiamo il caso del Belpaese: l’overshoot day italiano quest’anno è stato il 19 maggio. In appena cinque mesi abbiamo utilizzato tutti i beni che la Madre Terra ci ha riservato per il 2024. Se tutti gli abitanti del mondo adottassero i nostri stili di vita, annualmente
servirebbero le risorse di quasi 3 pianeti. Siccome la Terra però è una, e condivisa tra 8 miliardi di persone, come è possibile che, da cinquant’anni a questa parte, riusciamo a vivere al di sopra delle possibilità del pianeta di sostenerci? Questo avviene perché viviamo in una comunità globale profondamente diseguale, in cui i Paesi cosiddetti avanzati vivono sulle spalle dei Paesi del Sud globale, ossia consumano, o per meglio dire saccheggiano le loro risorse, per continuare ad
alimentare il proprio benessere materiale. Guardiamo alcuni esempi: Ghana, Indonesia e Guinea quest’anno avranno il loro overshoot day rispettivamente il 10, 24 novembre e 27 dicembre, quindi minimo sei mesi dopo a noi in Italia (che comunque, a livello globale, siamo lontani dall’essere i peggiori). Non a caso si tratta di paesi dove la povertà è ancora ampiamente presente o dove pratiche quali il land grabbing, quindi lo sfruttamento di risorse naturali interne da parte di capitali esteri, e per i mercati esteri, sono legittimate. Questo scenario evidenzia l’ingiustizia che governa
le società attuali. Ulteriormente minacciata dall’avanzare galoppante della crisi climatica che più sta colpendo, e colpirà, coloro che meno hanno contribuito a causarla.
Di fronte a questa situazione, se è vero com’è vero che ogni azione che compiamo nella nostra quotidianità ha un impatto, ce n’è una che pesa più di altre: l’alimentazione. Nella maggior parte dei paesi del Nord globale il cibo che scegliamo e i modi in cui questo raggiunge le nostre tavole, costituiscono infatti il principale motore dell’impronta ecologica individuale, al punto tale che metà della biocapacità della Terra è utilizzata per nutrirci. Questo avviene principalmente perché l’attuale
assetto dei sistemi alimentari mondiali è totalmente sbagliato; direi criminale.
La filiera del cibo è responsabile del 37% delle emissioni di gas serra e usa il 70% dell’acqua dolce. Inoltre circa la metà della superficie agricola globale è utilizzata per allevamenti o agricoltura di tipo intensivo che dipendono da fertilizzanti e pesticidi e necessitano di macchinari agricoli che fanno uso di combustibili fossili. Le filiere alimentari sono sempre più lunghe e frammentate.
Questo ci rende incapaci di attribuire valore al cibo, e di conseguenza ci fa sentire legittimati a perpetuare lo spreco come mai prima. Ad oggi infatti il 30% del cibo prodotto viene sprecato; una quantità che sarebbe in grado di sfamare il quadruplo delle persone che attualmente soffrono la fame. Queste disfunzioni danneggiano sia la salute umana che quella del pianeta e mettono in luce l’urgenza di attuare una trasformazione dei sistemi alimentari affinché siano più equi e sostenibili.
Dimezzare nel nostro quotidiano gli sprechi alimentari, sostituire il 50% del consumo di proteine animali con altrettante di origine vegetale, acquistare da produttori locali che adottano pratiche agricole rigenerative, sono azioni concrete che con un po’ di sforzo e buona volontà tutti noi possiamo adottare. La sola azione di dimezzare gli sprechi alimentari a livello mondiale, aiuterebbe a spostare di 13 giorni la data dell’overshoot day. E consideriamo che ne basterebbero appena 6 ogni anno per tornare a vivere entro i limiti planetari a metà del secolo.
Visto da questa prospettiva il cambiamento rimane senz’altro ambizioso, ma sicuramente alla portata di tutti noi. Se abbiamo a cuore il futuro della nostra specie questo è il tempo di agire, e come, e di che cosa ci alimentiamo può essere il punto da cui iniziare.
Un caro saluto,
Carlo Petrini