Riflessioni e visioni sul metodo, ispirato da Rudolf Steiner nel 1924, che, per alcuni, è la migliore risposta sostenibile al cambiamento climatico
La biodinamica fa discutere, da sempre. Da quando un secolo fa esatto, Rudolf Steiner ne ispirò metodi e principi. Ma oggi sono sempre di più gli agricoltori ed i produttori di vino che la scelgono. E, per molti, è un metodo di agricoltura e di produzione che guarda al futuro, e che è la migliore risposta possibile al cambiamento climatico e alla crescente domanda di sostenibilità. “L’agricoltura biodinamica, certificata e non Demeter, è una risposta a chiunque abbia dei dubbi sul fatto che si possa incidere sugli effetti indotti dalle attività umane compreso il cambiamento climatico. Lo dimostrano le storie dei produttori che fanno viticoltura”. A dirlo a WineNews è Giovanni Buccheri, direttore Demeter Italia, alla Slow Wine Fair 2024, evento targato Bolognafiere e Slow Food, in un incontro con i produttori di vino certificati biodinamici dall’associazione di controllo, affiliata alla Biodynamic Federation Demeter International (Bfdi).
Indubbiamente l’ingrediente principale del metodo di agricoltura biodinamico è l’attenzione per la fertilità della terra, per il benessere delle piante e di tutto ciò che ruota loro intorno, animali e umani compresi, per costruire un “organismo agricolo”, con un approccio olistico. Una visione di per sé orientata alla sostenibilità, che si contrappone decisamente a quella che sbrigativamente, peraltro senza i necessari distinguo, viene definita “viticoltura industriale”. Ma nell’attuale contesto in cui il cambiamento climatico determina situazioni sempre differenti ed emergenziali, non è più possibile agire in viticoltura, e in generale in agricoltura, secondo protocolli prestabiliti. L’attenzione diventa una virtù indispensabile al pari della competenza tecnica che discende dalle conoscenze scientifiche. In Italia le aziende biodinamiche certificate Demeter di tutte le categorie merceologiche sono 1.000, di cui 140 vitivinicole dall’Alto Adige alla Sicilia). “A condurle – prosegue Buccheri – viticoltori che si approcciano alla biodinamica per tradizione, storie, piuttosto che per innovazione introdotta dalle nuove generazioni, indipendentemente dalla dimensione: abbiamo aziende di piccole, medie e grandi dimensioni distribuite in maniera disforme tutta la Penisola a significare che non sono tanto le condizioni di coltivazione a determinare la scelta di abbracciare la biodinamica, spesso non abbracciata a priori, quanto la volontà dell’imprenditore. Tutti hanno in comune la medesima osservazione e partecipazione alla vita del vigneto e quindi poi al vino che arriva nel calice in tavola buono, sano e di qualità”.
A raccontare le motivazioni dietro l’adozione della biodinamica e a condividere la propria esperienza, nell’incontro, moderato dal presidente Giovanni Buccheri, quattro viticoltori provenienti da zone diverse per condizioni pedoclimatiche. In primo piano nel racconto dei produttori intervenuti, il contributo che la conduzione in biodinamico del vigneto dà in termini di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e di sostenibilità basata sulla maggior resilienza delle piante agli stress idrici e alle malattie. Contributo reso possibile dal raggiungimento di un sistema agrobiologico in equilibrio che per questa sua caratteristica non richiede interventi drastici e disturbanti dal punto di vista della difesa del vigneto da patologie vegetali e da attacchi parassitari. Un obiettivo peraltro chiaro a numerose aziende che lo perseguono per altre strade.
Danila Morgagni proviene da un altro settore come suo marito con il quale conduce l’azienda Al di Là del Fiume, sulle colline di Marzabotto (Bologna). Vigneti piantati su 5 ettari di terreno precedentemente a prato stabile, il fiume Reno e un bosco tutto intorno, frutteto e grani di varietà antiche, api e officinali, un contesto ideale in cui dopo l’incontro con l’agronomo Adriano Zago, specializzato in biodinamica, i coniugi hanno deciso di “prendersi cura della terra e delle persone, con l’obiettivo di mantenere un approccio di ricerca costante e prospettive innovative” riprendendo le varietà autoctone una volta presenti nell’area e aprendo una osteria con foresteria e corsi di agribenessere. La massima attenzione verso un suolo sano, che permette alle piante di affrontare con successo la siccità e quindi lo stress idrico che affliggono la Puglia in cui si trova ad Andria l’azienda Ceci, sono le motivazioni che hanno mosso Giancarlo Ceci a passare in biodinamico. Agronomo, in biologico dal 1988 tra i primi del meridione, coltiva la tenuta di 200 ettari non solo vite, ma anche olivi, ortaggi e alleva vacche podoliche. “Ho visto negli anni grandi risultati nel vigneto, nella vinificazione e nel calice – ha sottolineato Ceci. Per il futuro credo si debba puntare sulla comunicazione dell’approccio biodinamico che è difficile da comunicare, ma penso che la maggior attenzione e conoscenza da parte dei consumatori ne faciliterà la comprensione”. Stesso approccio basato su conoscenze agronomiche per Alfredo Figus, agronomo e direttore tecnico di Olianas, azienda sarda di Gergei (Cagliari) collegata al gruppo toscano delle cantine della famiglia Casadei, dove oltre alla vigna si coltivano olivi e grano. “Lavorare in biodinamico vuol dire entrare in modo rispettoso nella natura – ha raccontato Figus. Per Olianas è stato facile perché l’area è stata poco soggetta a interventi antropici. Otteniamo non solo una qualità elevata delle uve, ma anche una quantità media in un territorio siccitoso come quello in cui siamo, che ci garatisce un giusto equilibrio economico”.
Esempio di cambio generazionale in contrapposizione con la generazione precedente, è quello di Kristian Keber, proprietario dell’azienda Edi Keber che porta il nome di suo padre, situata a 300 metri dalla Slovenia. Il suo percorso è da autodidatta, fondato sulle pubblicazioni di Nicolas Joly, sull’incontro con Adriano Zago, agronomo di riferimento nel mondo della biodinamica, e su sperimentazioni a volte dagli esiti infelici, prima nella piccola azienda agricola ereditata da suo nonno al dì là del confine e poi trasferite alla sede italiana. “In quest’area del Friuli, sita tra l’Adriatico e le Alpi Giulie – ha spiegato Keber – le precipitazioni sono molto importanti, anche se con il cambiamento climatico abbiamo anche periodi siccitosi, e quindi le condizioni sono favorevoli alla peronospora. Ho perso tanta uva, ma continuo passo dopo passo, sbaglio dopo sbaglio per arrivare a centrare il momento migliore per i trattamenti. Ho potenziato la fertilità dei terreni e sto cercando di creare una maggior biodiversità utilizzando tante varietà autoctone”. Dai racconti dei quattro produttori, emergono approcci differenti, governati, in alcuni casi, prevalentemente dalla passione, ed in altri, maggiormente, dalla comprensione degli effetti positivi delle tecniche applicate. Secondo tutti quanti, tuttavia, la biodinamica è un metodo di agricoltura dalle radici antiche, ma con uno sguardo rivolto verso il futuro. Fonte: WineNews,27.02.2024