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Feb 18 2022

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TOCCARE IL CIELO CON LA VITE. ECCO I VIGNETI PIÙ ALTI DEL MONDO

La sfida di Roberto Cipresso in Perù, a 3660 metri, col vigneto dei record: “I vini d’alta quota hanno plus: la luce irradia le piante senza filtri creando un terroir unico Il risultato sono calici intensi, freschi e balsamici” –

Quando uomini e montagne si incontrano – dice il poeta William Blake – grandi cose accadono. Lassù in alta quota, il cielo è un foulard che ondeggia tra mosaici di nubi e la luce è così abbagliante da restare impressa nello sguardo, anche ad occhi chiusi. Il terroir è unico, spietato e magnetico. La luminosità droga le viti, le rende magiche, cariche di un’uva dai super poteri. Tutto sta a sfruttarli nel modo giusto.  Ma è possibile coltivare uva a 1000, 2000, 3000 metri e oltre? In Italia possiamo vantarci di almeno due esempi di viticoltura di alta montagna: in Valle d’Aosta, a 1210 metri, ai piedi del Monte Bianco; e in Calabria, a ben 1300 metri, a Cava di Melis.  Ci si avvicina ancora più al cielo in Spagna, sulla catena montuosa de La Contraviesa, con 1368 metri; entra in gioco anche la Svizzera con le sue vigne delle nevi a 1150 metri.   

 Ma se allarghiamo i confini al nuovo mondo, ecco che la risposta alla nostra domanda è negli incroci di alchimie di Roberto Cipresso, uno dei più talentuosi winemaker italiani. Uno dei pochi che riesce a liquefare i paesaggi più spettacolari del globo e infilarli in un calice. Un bel giorno, l’esperto veneto, adottato dalla Toscana, s’imbatte in un luogo estremo: Cafayate, provincia di Salta, in Argentina, nella parte più a Nord dell’emisfero australe, non lontano dall’equatore. Ed è un colpo di fulmine.

Perù, Tibet, Argentina, Italia: ecco i vigneti della luce che sfiorano il cielo

Queste vigne sono espressione di una viticoltura estrema che richiede tanta passione e una buona dose di sacrificio e tenacia. Il winemaker Roberto Cipresso è uno dei più determinati nel portare avanti in tutto il mondo questo tipo di lavoro: è lui ad aver piantato il vigneto più alto del globo a Cusco

Cafayate è un piccolo paese, prima dell’arrivo degli spagnoli abitato da una tribù. La parola viene da Capac-Yaco, popolo ricco, e la gola che accoglie il borgo, Valles Calchaquíes, è nota per vigneti formidabili. Qui, a 2200 metri, Cipresso firma due vini da collezione, entrambi Malbec: Pachamama, cioè la Terra Madre, e Alteza. “L’altezza ha un doppio significato: l’altitudine e la nobiltà – dice l’esperto – I vini di montagna hanno un plus: l’intensità di luce è più forte, c’è un’irradiazione diretta delle foglie, non esistono pulviscoli e umidità. L’aria è così pura, con un filtro così debole, da avere una capacità abbronzante molto forte. E l’uva, sollecitata dalla luce, ha una tale accelerazione del metabolismo da dimenticarsi chi è, e diventare interprete di quel luogo, con quella caratteristica. In un terroir pazzesco”. Il Malbec che si coltiva a Cafayate è molto diverso da quello di Perdriel-Mendoza, sempre Argentina, a  1220 metri sul mare: si presenta più balsamico, intenso, con qualità intriganti a partire dalla freschezza. “Qui le viti sono appoggiate su una geologia di un fascino disarmante, su suoli di 400 milioni di anni – dice l’esperto – Questa è la terra più antica del mondo (molto più della cordigliera delle Ande), ha un’autorevolezza assoluta: esisteva prima dei dinosauri, la sua storia ha a che fare con la formazione dei continenti”. Da qui il nome del vino, Terra Madre. 

Quando sono arrivato qualche anno fa – continua Cipresso – la cultura vitivinicola argentina in quella zona era legata a vini sovramaturi, un po’ cotti. È bastato trovare le pratiche giuste in cantina e accorgimenti precisi in vigna (come, ad esempio, spogliare delle foglie le viti al tramonto per proteggere i chicchi quando il sole brucia) ed ecco che si è compiuto il miracolo. Quando lavori al limite, la cosa più bella è cogliere come questi posti possano portare a vini inimitabili”. Ma non è tutto rosa e fiori. “L’insidia più grande sono i pappagalli che vogliono mangiare l’uva, così come le formiche che salgono sulla vite. E poi ci sono la grandine gigantesca e i grandi venti, fra cui quello che viene chiamato “sonda”, che è un phon bollente”. Ma quando la natura si placa, guardando intorno sembra di essere in paradiso. “L’acqua di irrigazione viene da una falda di 150 metri di profondità, un oceano di acqua dolce che sgorga dai ghiacciai della Cordigliera, a 7mila metri – spiega Cipresso – Tra i vigneti la fauna è unica: piccoli lama selvatici, condor, colibrì...”.

Una sfida tira l’altra ed ecco che Cipresso si spinge oltre, fino a toccare il cielo con un dito. Siamo in Perù, a quota 3660 metri. A quei livelli finora si era arrivati solo in Tibet (a Lhasa, 3.563 metri). Il vigneto peruviano sorge a Moray, vicino Cusco, accanto a un laboratorio di cucina andina, il Mil Centro dello chef Virgilio Martinez, ma soprattutto a un passo da uno splendido sito archeologico Inca. Il progetto vitivinicolo, spiega il winemaker, parte da un gruppo d’imprenditori – che importa in Perù i vini più importanti del mondo – di cui fanno parte Glenn Wong e Diego Maldonado, e un altro socio che ha una proprietà proprio a Moray. “Qui abbiamo piantato il vigneto più alto del mondo, con viti basse, da 60 centimetri, che riescono a fare due grappoli ciascuna: coltiviamo Riesling, Chardonnay e del Pinot Nero in “prova” – racconta estasiato Cipresso – La prima vendemmia 2020, in piena pandemia, l’ho fatta al telefono con cinque persone. Col Covid i lavori in vigna sono rallentati, ma ora aspetto di ritornare per riprendere da dove ho lasciato. Non mi interessa fare un vino che sia il più buono del mondo, ma che sia il più vicino possibile alla luna e che, abbinato e pensato con quel tipo di flora e fauna, possa far vivere un’esperienza che riporti al tempo di un’America fatta dagli americani autoctoni, in questo caso gli Inca”.  Fonte: IL GUSTO, Lara Loreti, 18.02.2022

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