Dai drink proposti da Guglielmo Miriello al Mandarin Garden al bancone dell’Iter in via Fusetti. Anche in Italia, la mixology è un viaggio per ingredienti gastronomici (limone nero iraniano, curry, rooibos, caramello e molto altro) e Paesi lontani
Il Reform Club, primo cocktail della lista (Courtesy of Mandarin Oriental)
Metti del pepe di Timut per ricordare ad occhi chiusi gli aromi della Via delle Spezie. Oppure del tè rosso con un cordiale al mango e foglie di curry per assaporare l’India più profonda e autentica in un bicchiere. E, ancora, del caramello di acero bruciato che profuma di Nord America. Quando i prodotti gastronomici etnici incontrano il mondo della mixology, spesso i cocktail ci permettono di viaggiare con la mente per esplorare i sapori e gli odori dei luoghi dove vorremmo trascorrere le prossime vacanze.
«Prestiamo molta attenzione non solo ai distillati ma anche agli ingredienti che compongono i nostri cocktail. Devono essere naturali, infatti evitiamo sciroppi artificiali. Con il limone nero iraniano, ad esempio, prepariamo un infuso. Per il cordiale mango e curry utilizziamo il frutto fresco. Stessa cosa per il gin infuso al rooibos. Cerchiamo gli ingredienti direttamente in cucina insieme allo chef, per capire quello che viene usato realmente nei vari Paesi», racconta a Linkiesta Eccetera il bartender e mixologist Guglielmo Miriello, ex bar manager del Ceresio 7 di Milano e – dall’ottobre 2021 – director del Mandarin Garden in via Andegari 9.
Miriello è uno dei massimi esponenti nazionali – e non solo – del rapporto sempre più solido tra mixology e viaggio. Al Mandarin ha ideato una drink list chiamata “Il giro del mondo in 11 cocktail”, ispirata a “Il giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne. Grazie a undici “ricette alcoliche”, i clienti possono ripercorrere le stesse tappe di mister Fogg e del suo assistente francese Jean Passepartout, partiti da Londra alla scoperta dei continenti vicini e lontani (per una scommessa da ventimila sterline).
Si parte quindi con le note di rabarbaro del Reform Club, dedicato alla città e al circolo privato dove tutto iniziò. A seguire troviamo il Phileas, incentrato sulla tappa da Londra a Suez (passando per Brindisi): «È un cocktail con note agrumate, mediterranee, fruttate e anche un po’ orientali con il pepe di Timut, per cominciare ad assaporare l’inizio del viaggio attraverso la Via delle Spezie», racconta Miriello.
Uno degli elementi più interessanti del menu è il Kioumi (Bombay-Calcutta), che è anche il nome dell’elefante su cui mister Fogg e i suoi amici attraversarono la giungla indiana. Non a caso, il cocktail è rappresentato da materiali di servizio che ricordano la foresta: il bicchiere è una pietra posizionata al centro di un contenitore in legno avvolto dal muschio, con una spolverata di limone nero che dona al drink un’avvolgente nota agrumata. Ogni dettaglio è importante. Da non dimenticare il Golden Gate (Yokohama-San Francisco), con Tequila Blanco di Casamigos, acqua di mela verde e cetriolo, tintura di pepi, del mezcal distillato in alambicco di rame e un preparato di verbena e vaniglia.
Il Kioumi (Courtesy of Mandarin Oriental)
Il cocktail menu è contraddistinto da un formato molto piccolo: è quadrato, si chiude con un laccio e si apre come se fosse un prezioso scrigno. Ogni drink è accompagnato da una breve (e romanzata) descrizione e da un’illustrazione che rimanda al romanzo pubblicato nel 1872. Quello che conta è anche l’esperienza, ed è un po’ la stessa mission di Iter, cocktail bar in via Fusetti 1 a Milano che – ogni sei mesi – propone drink e piatti ispirati a una meta geografica: ora è il turno della Scozia ma presto si sbarcherà in Messico.
Ma i cocktail “gastronomici” che celebrano le tradizioni e i sapori di Paesi lontani non devono “solo” essere buoni ed equilibrati: «È importante che, al contempo, siano in linea con i gusti locali e internazionali. Il pubblico, a volte, non è pronto a certi gusti. Faccio sempre l’esempio dello zenzero: quindici anni fa, quando iniziati a presentare i primi Moscow Mule con la ginger beer, mi riportavano i drink indietro. Mi chiedevo come fosse possibile, perché il cocktail era fatto come dovrebbe essere fatto. Lì, però, capii che anche la cosa più semplice deve essere compresa nel profondo. Il palato del pubblico va allenato. Bisogna essere precursori, ma nel momento giusto: se lo sei troppo in anticipo, non vieni capito ed è come se rimanessi indietro», sottolinea Miriello, insignito nel 2021 dell’Order of Merit come Cavaliere dell’Ospitalità.
Il Passepartout (Courtesy of Mandarin Oriental)
Dal 2010 in poi, racconta il bartender, la mixology si è sdoganata anche grazie alla riscoperta dei grandi classici. Si sono aperte le frontiere e sono crollati tutti i paletti a livello di preparazione dei cocktail, ed ecco che – proprio come il cibo – i drink hanno cominciato a raccontare tendenze e sapori di culture lontane rispetto a quella occidentale: «Sono stati introdotti non solo nuovi ingredienti, ma anche macchinari e tecniche in grado di creare nuovi sapori, come ad esempio le centrifughe o le tecniche del sottovuoto con la cottura a bassa temperatura», spiega Miriello. L’obiettivo, però, rimane sempre lo stesso: «Bisogna rispettare i gusti della clientela, senza seguire un’idea in modo ostinato. L’offerta deve essere trasversale, soprattutto nel mondo del lusso». Fonte: Linkiesta, Eccetera, Fabrizio Fasanella 21.003.2023