Un gruppo di Ong europee ha depositato una denuncia penale contro il colosso Bayer, accusato di aver nascosto studi scomodi sul glifosato.
Una manifestazione contro il glifosato a Berlino © Tobias Schwarz/Afp/Getty Images
Una denuncia penale è stata depositata contro il colosso tedesco Bayer e contro il consorzio industriale (il Glyphosate renewal group, Grg) che sta premendo affinché venga concessa una nuova autorizzazione all’immissione in commercio dei prodotti a base di glifosato. L’accusa: il gruppo avrebbe nascosto studi che confermano i rischi per la salute di tale sostanza, con la quale viene prodotto il Roundup, erbicida di punta dell’azienda.
“Come si può assumere una decisione senza tutti i dati a disposizione?”
Ad avviare l’azione legale, presso il tribunale di Vienna, in Austria, è una coalizione di organizzazioni non governative, tra le quali l’austriaca Global 2000, la divisione tedesca del Pesticide action network e la francese Générations futures. Secondo le associazioni, Bayer e Grg avrebbero omesso di sottoporre alle autorità europee i dati “sfavorevoli” in loro possesso sulla tossicità del glifosato sullo sviluppo del cervello umano. Un comportamento che, proseguono le Ong, avrebbe “falsificato” la valutazione da parte delle agenzie sanitarie europee, spingendole così a propendere per l’autorizzazione all’uso della sostanza.
Una manifestazione contro il glifosato a Bruxelles © Thierry Charlier/Afp/Getty Images
Francçois Veillerette, portavoce di Générations futures è certo dell’esito dell’azione legale: “Come si può assumere una decisione politica sulla base di valutazioni che non prendono in considerazione determinati effetti e determinati dati? Noi chiediamo agli stati europei di opporsi alla concessione di una nuova autorizzazione”. Diametralmente opposta la posizione di Bayer, che assicura non aver nascosto alcuno studio scientifico e di aver sempre agito in modo trasparente.
Gli studi che sarebbero stati omessi dalle industrie
Alla base della denuncia c’è la regolamentazione europea che impone ai fabbricanti di pesticidi, per lo meno sulla carta, di sottoporre alle autorità tutti gli studi e tutte le pubblicazioni scientifiche a loro disposizione in merito ai potenziali rischi delle molecole che desiderano commercializzare. Ivi compresi, appunto, quelli “negativi” per le industrie.
Nei documenti presentati presso il tribunale di Vienna, in particolare, si menziona uno studio sulla neurotossicità scoperto nel 2022 a due ricercatori svedesi Axel Mie e Christina Ruden, dell’università di Stoccolma. L’analisi fu condotta nel 2001 dalla società svizzera Syngenta (che fa parte del Grg) e fu perfino sottoposta alle autorità americane. Ma non, appunto, a quelle europee.
L’analisi del 2001 scoperta da due scienziati di Stoccolma
Tale studio – condotto in laboratorio, e che era stato giudicato “solido” dall’Agenzia americana per la protezione ambientale (Epa) aveva valutato l’impatto su esemplari di giovani topi le cui madri erano state esposte al glifosato durante la gestazione. E aveva evidenziato significativi effetti in termini di disturbi comportamentali, anche a dosi che sono attualmente considerate sicure dalle autorità europee. Secondo Bayer, si tratta di una versione della sostanza che ad oggi non sarebbe più commercializzata in Europa.
Eppure, dopo la scoperta di Mie e Ruden, le autorità europee non hanno ritenuto di ignorare completamente lo studio. Lo hanno valutato, ma al contrario degli organismi omologhi statunitensi, però, non lo hanno giudicato “pertinente”. Perché? Secondo Global 2000 perché “riconoscere questi test avrebbe stravolto le valutazioni sanitarie sull’esposizione alimentare e professionale al glifosato”. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), da parte sua, ha precisato di aver comunque prodotto “una raccomandazione per chiarire la questione”. Altri due studi universitari non sarebbero stati poi sottoposti dalle aziende produttrici. Così come un test epidemiologico pubblicato nel 2019 sul British Medical Journal.
Perché non applicare un principio di precauzione?
A prescindere dalle valutazioni scientifiche, che ovviamente devono essere effettuate dagli organismi preposti, c’è da porsi due semplici domande. La prima: se si tratta davvero di analisi che non mettono in discussione la sicurezza del glifosato, per quale motivo le industrie hanno ritenuto di non sottoporle al vaglio delle autorità, esponendosi tra l’altro al sospetto di aver voluto omettere alcuni dati?
E in secondo luogo, a monte rispetto a tutto ciò: se determinati studi che parlano di neurotossicità del glifosato sono considerati “solidi” dall’Epa, e valevoli di una raccomandazione “per chiarire” da parte dell’Efsa, esiste un solo motivo valido per non applicare un principio di precauzione, effettuare tutte le analisi necessarie, indipendenti e trasparenti – anche se dovessero servire decenni per arrivare ad una conclusione – e solo in seguito, eventualmente, concedere l’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto sospettato di essere nefasto per la salute? Fonte: LIFEGATE, Andrea Barolini , 28.09.2023
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