Ci ricordiamo, ancora, quando a marzo, a inizio lockdown, le persone fecero razzia di beni alimentari con il timore che da un giorno all’altro non ci sarebbe stato più cibo. Il settore agroalimentare però non si è mai fermato, e da un’analisi superficiale, si potrebbe anche affermare che non sia stato colpito dalla crisi economica.
Questa è però un’affermazione viziata perché si concentra solo su uno dei vari protagonisti della filiera: la vendita al dettaglio. I mercati di riferimento dei prodotti alimentari sono però molteplici: la vendita all’ingrosso, la vendita diretta al settore Horeca (ristoranti, hotel e catering) e l’export. Quest’ultimi due, dove si concentra lo sbocco maggiore delle produzioni artigianali e di qualità, a causa di iniziali restrizioni commerciali e chiusure forzate, sono stati invece severamente colpiti dalla pandemia.
Basti pensare che la sola chiusura della ristorazione è costata circa 43 miliardi e ha coinvolto a cascata tutti gli attori che a vario titolo garantiscono le forniture: coltivatori, allevatori, trasformatori, distributori etc., per un totale di 3,8 milioni di posti di lavoro. A rischio c’è la tenuta dell’intero sistema.
Il costo della pandemia per il cibo di qualità
La zootecnia da carne bovina e suina ad esempio, sta vivendo momenti di profonda difficoltà proprio perché sono venuti meno ristorazione ed esportazione: i principali canali per i tagli più pregiati e i migliori salumi Dop, che fanno registrare un crollo dei consumi del 35%. Il latte utilizzato per la mozzarella di bufala, viene invece congelato per ovviare alla diminuzione della domanda (fino al 60%), e alla rapidissima deperibilità del prodotto. Anche le cantine rischiano di rimanere semipiene (il volume d’acquisti è sceso del 25%), e se il problema può essere raggirato per i grandi rossi, non si può dire lo stesso per i bianchi di qualità che rischiano la vendita a prezzi stracciati.
A questi beni se ne potrebbero aggiungere molti altri, arrivando a stilare una lista, ahimé, molto lunga. Di fronte a un mercato atrofizzato e prospettive future non troppo rosee è dunque necessario intervenire e prevenire gli scenari peggiori (alcuni dei quali si stanno già verificando): svendita al di sotto dei costi di produzione, abbassamento della qualità, ingresso di capitali stranieri che comprano aziende storiche in difficoltà e rischi legati alla produzione di falso made in Italy all’estero.
Fagioli di Cortale
La posta in gioco è altissima: non solo perché la filiera agroalimentare contribuisce al 25% del Pil nazionale, ma soprattutto perché è espressione di un patrimonio gastronomico, umano, storico e culturale che deve essere tutelato ad ogni costo. Un valore inestimabile che non può in alcun modo ridursi al prezzo di scambio sul mercato.
Ed ecco quindi che per situazioni straordinarie non ci si può limitare a fornire soluzioni ordinarie e di breve respiro. Le piccole produzioni artigianali ad esempio, non possono essere sottomesse alle dinamiche di approvvigionamento della grande distribuzione, prima fra tutte il meccanismo delle aste. C’è bisogno di un approccio differente nella gestione dei rapporti commerciali, e al contempo c’è necessità di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo di tutte le possibili modalità di distribuzione: la Gdo non è l’unica soluzione. In questo senso si dovrebbero quindi favorire anche altri canali quali: l’e-commerce, il delivery, e ancor più la formazione di gruppi d’acquisto, i mercati contadini e le piccole botteghe multifunzionali di prossimità capaci di rispondere anche a bisogni relazionali.
A fianco dei protagonisti della ripartenza
E se i ristori garantiti dal governo, possono essere una soluzione accettabile per il presente, è necessario adottare un’ottica di lungo termine per una vera e solida ripartenza quando le condizioni lo permetteranno. Da un lato assicurare dunque l’operatività di tutte le realtà virtuose (agricoltori, pescatori, allevatori etc.), che non possono sopportare ancora per molto una contrazione della produzione. Dall’altro garantire liquidità a tutti gli operatori della ristorazione e dell’ospitalità. Solo in questo modo, la riapertura fisica dei locali sarà sinonimo di ripresa dell’intero motore socioeconomico a essi connesso. Oggi più che mai siamo chiamati a schierarci al fianco dei protagonisti di questa ripartenza: la tradizione gastronomica del Belpaese deve continuare a vivere fonte: La Repubblica, Carlo Petrini c.petrini@slowfood.it , 16.01.2021.