Lectio di Stefano Mancuso: “sono i motori principali dell’alimentazione e dell’economia”. E per raggiungere il Green Deal bisogna ripartire dai semi
Servono ricerca e innovazione tecnologica amiche dell’ambiente per la transizione ecologica. Negli ultimi 100 anni, secondo la Fao, è scomparso il 75% delle specie vegetali impiegate in agricoltura. E tra le principali cause della perdita di biodiversità, troviamo l’uso sempre più ridotto di varietà vegetali coltivate in porzioni di territorio sempre più estese. A produrre il 60% dei semi venduti in tutto il mondo sono solo quattro aziende, le stesse che producono pesticidi e concimi impiegati nell’agricoltura industrializzata. Questo modello ha dimostrato di avere effetti negativi sulla biodiversità agricola, ma anche su ambiente e salute umana. Parte delle sementi utilizzate non è “riproducibile” oppure l’autoriproduzione a cura dell’agricoltore non risulta interessante perché instabile e poco produttiva. L’agricoltura biologica necessita invece di varietà locali, legate cioè alle caratteristiche delle aree di produzione, oppure selezionate in modo specifico per una pratica agroecologica, in grado di svilupparsi pienamente in campi dove la chimica di sintesi non viene impiegata. È emerso dal web talk “Dal seme alla tavola/From Seed to Fork” promosso da NaturaSì e Slow Food Italia, con Fondazione Seminare il Futuro, per Terra Madre, in occasione dell’Earth Day 2021, la Giornata mondiale della Terra che si celebra oggi. Al centro, la “Strategia europea Farm to Fork” che prevede che entro il 2030 i campi biologici arrivino al 25% della superficie agricola del Continente. Obiettivo importante e ambizioso visto che il bio copre oggi l’8% delle terre agricole europee (in Italia questo dato sale al 15,8%): per moltiplicare i campi bio così come indica il Green Deal, occorre partire dall’inizio, dai semi adatti, appunto.
Caffè delle Comunità del Cibo di Terra Madre (ph P.Properzi)
“I semi devono essere considerati un bene comune, perché sono alla base della nostra vita, essenziali alla sopravvivenza del Pianeta. E mettere la nostra esistenza in mano a poche aziende non è giusto oltre che pericoloso – ha detto il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini – non va trascurato che le grandi aziende che hanno il controllo delle sementi sono leader nella produzione di pesticidi e diserbanti. Quindi, c’è un intreccio tra chi produce semi e input chimici per il terreno. Tutti noi abbiamo un dovere preciso nei confronti dei semi: proteggerli, liberarli e condividerli per tutelare il patrimonio di diversità biologica e culturale che rappresentano, a prescindere dalla convenienza economica. Il percorso ha un punto di partenza: i contadini e la terra. Lo scopo è dare la possibilità agli agricoltori di produrre in modo sostenibile semi sani e in grado di rappresentare territori e culture”.
Ma che cosa è realmente un seme e perché i semi sono fondamentali nella storia dell’umanità? Perché sono una delle invenzioni vegetali più straordinarie insieme alla fotosintesi, che permettono la vita della gran parte delle piante e la loro propagazione. “E sono strettamente legati all’uomo – ha spiegato il botanico Stefano Mancuso in una Lectio Magistralis – la civiltà umana inizia con l’invenzione dell’agricoltura, 15.000 anni fa, quando l’uomo capisce che può utilizzare i semi delle piante per produrre prodotti che è importante sia per l’alimentazione che per la loro riproduzione. E c’è chi dice che senza semi l’evoluzione dell’uomo non sarebbe stata la stessa. Ancora oggi tre semi, il grano, il riso ed il mais, forniscono il 60% delle calorie del Pianeta e la sopravvivenza dell’umanità. Il seme del caffè è invece la seconda commodity più commerciata dopo il petrolio, a dimostrazione di come i semi siano sempre stati anche una fonte potente di ricchezza e uno dei motori principali non solo dell’alimentazione, ma dell’economia mondiale. Quando Roma fu assediata dai Visigoti nel 408 d.C. il riscatto che chiesero alla città furono 1.300 kg di pepe nero. Nel Medioevo i tributi si sono pagati a lungo anche in semi. La Compagnia olandese delle Indie Orientali divenne la maggiore potenza economica del Pianeta commerciando i semi. Cristoforo Colombo andò alla ricerca delle spezie, che sono in gran parte dei semi. E come dimostrano i loro ritrovamenti in molti scavi archeologici in tutto il mondo, i semi permettono alle piante, anche quelle estinte, di viaggiare nel tempo e nello spazio. Il fatto che permettano la nostra vita è parte di un patto che abbiamo sottoscritto con le piante e che ha avuto inizio quando le abbiamo addomesticate. Tante volte però noi lo abbiamo rotto, inventando addirittura frutti senza semi. È follia, così come mantenere il mercato dei semi in mano di pochi. Mentre l’agricoltura è il modo in cui il patto prende forma: il primo testo scritto dall’uomo è un pezzo di un codice sumero in cui un padre racconta al figlio cosa deve fare per coltivare un pezzo di terra lungo un fiume perché rimanga fertile e possa produrre i semi che saranno poi ripiantati e daranno da mangiare alle sue generazioni future”.
Il vice dg della Fao, Maurizio Martina, ha sottolineato l’urgenza di andare avanti in maniera veloce nella comprensione dei temi dell’equilibrio ecologico del Pianeta. Il problema che dobbiamo affrontare non è solo quello del contenimento degli effetti avversi della crisi ambientale ma la costruzione di un equilibrio duraturo, la cui chiave è la rigenerazione. E in questo senso il biologico, con il suo impegno verso pratiche rigenerative del suolo e l’utilizzo di semi buoni e a disposizione degli agricoltori, è un punto centrale. Semi che siano in grado di produrre piante con radici ramificate e profonde, in grado di andarsi a cercare il nutrimento che non viene fornito in forma immediata dai fertilizzanti chimici di sintesi. Semi che, ad esempio, diano vita a piante di frumento alte, in grado di competere con le erbe infestanti. O che siano in grado di far fronte, anche per diversità e varietà, ai cambiamenti climatici.
L’agricoltura biologica e biodinamica possono essere parte della soluzione all’impoverimento agricolo e alimentare. Ma occorre un impegno forte su ricerca e innovazione per lo sviluppo e la selezione di sementi adatte al biologico. Oggi in Italia a farlo sono in pochi, nonostante il nostro Paese sia il secondo per estensione di campi convertiti al biologico. “Il biologico vive di biodiversità – ha detto Fausto Jori, ad di NaturaSì – l’agricoltura così come è stata concepita a partire dalla metà del secolo scorso punta sulla semplificazione: gli stessi semi, e, quindi, le stesse piante alimentari, dalla Finlandia al Vietnam al Cile. Questo è possibile attraverso l’uso di pesticidi e fertilizzanti che rendono omogeneo l’ambiente di crescita, ma che allo stesso tempo sono causa dell’inquinamento dell’acqua, del suolo, dell’aria. Una diversa agricoltura parte anche dal seme giusto e questo richiede un lavoro lungo e puntuale per selezionare i semi del futuro”. Per questo NaturaSì, assieme ad altre realtà biologiche italiane ed europee, sostiene la Fondazione Seminare il Futuro che promuove la ricerca e la selezione di sementi 100% biologiche, il così detto “organic breeding”. “È quasi incredibile pensare che non sono le istituzioni della ricerca pubblica a occuparsi di un settore centrale per l’innovazione in campo ambientale. Noi stiamo facendo la nostra parte, ma occorre un piano di ricerca nazionale: è difficile pensare a una transizione ecologica che dimentichi l’agroecologia”, conclude Jori. Fonte: WineNews, 22.04.2021