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Dic 29 2020

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SORPRESA POMPEI, NEL LOCDOWN DELLE FESTE SVELA AL MONDO ANTICHITÀ E BELLEZZA DELLA CONVIVIALITÀ

La scoperta del termopolio della Regio V, una bottega di street food ante litteram nella piazzetta del quartiere, racconta i gusti dei nostri antenati

Il termopolio di Pompei. Credit Mibact

La scoperta risale in realtà agli ultimi anni di scavi in uno dei più importanti e ricchi siti archeologici al mondo, ma la scelta di raccontarla nel nuovo lockdown che l’Italia sta vivendo nelle festività per l’emergenza Covid, forse, non è casuale, o almeno così ci piace immaginare, perché il riemergere intatto del termopolio della Regio V dai lapilli, che il 24 ottobre del 79 d.C. sommersero Pompei per l’eruzione del Vesuvio, svela tutta l’antichità e la bellezza di quella convivialità di cui ora facciamo a meno. Nuova ed ulteriore testimonianza della vita quotidiana a Pompei, “le possibilità di analisi del termopolio sono eccezionali – ha detto Massimo Osanna, dg del Parco archeologico – perché per la prima volta si è scavato un intero ambiente con metodologie e tecnologie all’avanguardia, che stanno restituendo dati inediti” di questo locale frequentato nella piazzetta che era il centro della vita del quartiere e di cui gli scavi più recenti rivelano la vivacità. Accanto al bancone con l’immagine di una ninfa marina a cavallo, animali macellati e venduti nel locale – dalle anatre germane al gallo, da un suino al pesce, dai caprovini, alle lumache di terra – con colori talmente accesi da sembrare tridimensionali e l’illustrazione probabilmente della stessa bottega alla stregua di un’insegna commerciale, con il ritrovamento delle stesse anfore per il vino – locale – perfettamente conservate che vi sono dipinte, a stupire è il rinvenimento nei recipienti del termopolio, come i dolia (le giare incassate del bancone) e pentole in coccio, di tracce di alimenti delle prelibate pietanze che venivano vendute in strada e consumate nel preciso momento dell’eruzione: tra questi, le fave che, come racconta Apicio nel De re Coquinaria, venivano usate per correggere il gusto e il colore del vino, sbiancandolo, ma anche una sorta di “paella” con pesce e carne insieme. Era infatti abitudine dei pompeiani quella di consumare all’aperto cibi e bevande calde (nella sola Pompei si contano un’ottantina di termopoli), facendo del locale una bottega di alimentari con smercio di street food ante litteram, consumato al bancone e al volo, che permetterà di ampliare le conoscenze sulle abitudini alimentari, ricchissime e variegate per ingredienti e preparazioni, dell’antichità.  Fonte: WineNews, 28.12.2020

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