Slow Food Great China sceglie l’Italia e il format Master of Food, in collaborazione con Ice-Agenzia, per un programma di eventi e degustazioni che riflettono sull’importanza e il significato di utilizzare materie prime locali.
6 Master of Food (di cui tre dedicati a pasta, pizza, olio, e tre ai prodotti di Sicilia, Lazio, Trentino Alto Adige) e un corso di scuola di cucina rivolto a cuochi del territorio. È questo il nuovo progetto lanciato con successo lo scorso giugno da Slow Food e Ice Agenzia, che proseguirà per tutta l’estate fino a novembre.
Slow Food Great China nasce nel 2015 con il principale obiettivo di ridare valore alle aree rurali della Cina. Fin dai suoi inizi ha sviluppato attività con agricoltori e produttori di piccola scala che nell’immenso paese del dragone già lavorano nel rispetto di valori che sono comuni a quelli di Slow Food: salvaguardia dei cibi tradizionali, sostenibilità nei processi produttivi, tutela e rafforzamento della biodiversità. In parallelo, consapevole dell’importanza strategica di avere una popolazione preparata, critica e motivata, ha avviato un progetto di formazione ed educazione i cui destinatari principali sono i cittadini in quanto attori di scelte alimentari che possono cambiare le modalità di produzione di cibo, e i cuochi in quanto connessione tra i produttori e i consumatori.
Poiché produttori e consumatori cinesi guardano con attenzione al modello occidentale, Slow Food Great China ha scelto di usare esempi virtuosi della rete Slow Food nel mondo come modello da seguire per avviare i propri programmi. Primo fra tutti, l’esempio italiano. L’Italia vanta un grande patrimonio di prodotti agroalimentari e vitivinicoli la cui qualità è conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo ed è il luogo in cui l’associazione Slow Food è nata più di trent’anni ed è ancora ben radicata.
Grazie al contributo di Ice Agenzia, Slow Food e Slow Great China hanno così potuto organizzare un programma di eventi e degustazioni per riflettere sull’importanza e il significato di utilizzare materie prime locali, attraverso l’emblematico esempio della cucina italiana. Importanti centri di formazione professionale e Istituti di specializzazione nel settore alimentare di alcuni tra le principali città cinesi ospiteranno un ciclo di corsi costruiti, anche in questo caso, utilizzando il modello italiano: i Master of Food che Slow Food Italia ha creato circa 30 anni fa e con i quali ha formato migliaia di italiani sui temi dell’enogastronomia buona, pulita e giusta.
«Ideare corsi di cucina è un primo tentativo per lavorare con le materie prime locali, per valorizzare la cultura locale attraverso la gastronomia, per insegnare alle giovani generazioni il piacere del cibo. E quali migliori maestri che non cuochi e formatori di Slow Food in Italia?», è con entusiasmo che Sun Qun, fondatore di Slow Food Great China (e membro del Comitato esecutivo internazionale di Slow Food), descrive la nuova attività che coinvolge Slow Food, Slow Food Great China, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e Ice.
L’obiettivo è di realizzare un progetto di educazione e formazione a beneficio di cittadini, cuochi e giovani cinesi, in quanto principali attori di scelte alimentari che possono cambiare le modalità di produzione e consumo di cibo.
«L’italianità è ottimismo, è un cuore aperto alle nuove culture, è una contaminazione, ha uno spirito internazionale. Non vogliamo insegnare la cucina italiana; lo scopo del progetto è usare valori e punti di forza delle cucine regionali italiane come modello di valorizzazione della cultura locale. In Cina c’è una fortissima urbanizzazione e sempre più si consumano prodotti stranieri. Vogliamo spiegare che mangiare locale è buono e semplice, che è più sano e che fa bene al nostro paese», conclude Sun Qun.
«Il Master of Food è un format consolidato che vanta una storia trentennale: con questo progetto Slow Food è stata pioniera dell’educazione alimentare in Italia», ci spiega Stefania Durante, curatrice del progetto per il gruppo educazione di Slow Food. «Il grande valore aggiunto del programma Master of Food è da sempre la centratura sulla conoscenza delle filiere, delle tecniche di produzione a partire dai territori e dalla geografia delle produzioni. Il Master of Food ha contribuito e contribuisce a fare conoscere e apprezzare alle persone il grande patrimonio di prodotti agroalimentari dei nostri territori. In tal senso l’educazione alle produzioni, alle tradizioni gastronomiche e alle cucine regionali possono rappresentare un esempio virtuoso, un modello da seguire per avviare progetti di educazione alimentare nelle scuole cinesi, a partire dal riconoscimento del valore dei propri saperi gastronomici».
Il primo appuntamento? Con la pasta! Al suo rientro abbiamo intervistato Elena Sandrone, formatrice Slow Food, che ha lavorato insieme agli studenti.
Elena, cosa ti ha divertito di più? E cosa ti sembra che i ragazzi abbiano colto maggiormente?
Oggi la comunicazione intorno al cibo è diffusa e a portata di mano. Le nuove generazioni (va detto, sia cinesi che italiane) sono più abituate a fotografare che a mangiare e, in generale, stanno perdendo il vocabolario delle emozioni e delle sensazioni generate dall’esperienza sensoriale.
È stato bello, quindi, “provocare” un po’ i ragazzi spingendoli ad assaggiare ingredienti sconosciuti, annusare e toccare la consistenza degli impasti, valutare nuovi abbinamenti e modalità di manipolazione.
In un mondo dove le relazioni sono sempre più fredde, penso che il cibo possa rappresentare un mezzo privilegiato per creare dei punti di contatto con la sfera emotiva dei più giovani, specialmente se ad esso si accompagna una narrazione gastronomica come quella promossa da Slow Food.
Credo che, come me, anche i ragazzi si siano divertiti ed è stato emozionante percepire tanta curiosità per la nostra cucina.
La pasta è il simbolo dell’italianità ma l’impastare è comune a tutto il mondo. Quali sono le analogie che i ragazzi hanno colto e quali le differenze culturali che hanno potuto valutare?
Al contrario di quanto si pensi, la Cina e l’Italia hanno sviluppato in autonomia la propria cultura della pasta fresca. Si tratta di due storie parallele, segnate da influenze e contaminazioni che, in entrambi i casi, hanno prodotto un’enorme biodiversità gastronomica.
Ciononostante è curioso osservare la presenza di tecniche di preparazione molto simili. Un esempio che ho portato ai ragazzi è quello di una particolarissima pasta sarda di semola di grano duro e acqua, che si chiama Su filindeu, un prodotto presente sull’Arca del Gusto e realizzato con una serie di movimenti e di pieghe assimilabili a quelli della preparazione dei lamian cinesi.
Una delle differenze principali riguarda la tradizione della pasta all’uovo, specialmente per la realizzazione di paste ripiene. I loro ravioli prevedono l’uso di un impasto morbido e malleabile, ben più spesso e gestibile rispetto alla sfoglia, anche perché non si secca così facilmente. Al termine del Master è stato buffo trovare sui tavoli, a fianco dei cappelletti, alcuni prototipi di jiaozi all’uovo.
L’obiettivo del laboratorio era anche quello di far riflettere i ragazzi sul proprio ruolo professionale: i cuochi del domani hanno una responsabilità, devono “vedere il mondo oltre i fornelli” come direbbe Carlo Petrini, e fare delle scelte ragionate su cosa mettere nel piatto.
Per questo, la selezione degli ingredienti non è stata lasciata al caso. Per realizzare le paste all’uovo abbiamo scelto di utilizzare una farina di Grano Hongtutou, un’antica varietà di grano tenero presente sull’Arca del Gusto cinese.
Abbiamo inoltre deciso di proporre ricette tipiche ma senza carne. Una di queste era una zuppa di tridarini (una pasta di recupero realizzata tritando i ritagli di sfoglia venuta male) con Fagiolo Gialet della Val Belluna, Presidio Slow Food.