Non possiamo che aprire questo secondo appuntamento della nostra nuova rubrica con il ricordo di un caro amico, oltre che persona straordinaria e scrittore luminoso: Luis Sepúlveda.
Qui vi proponiamo la visione di questa bell’incontro con Josè Mujica e Carlo Petrini. Rivedetevelo che scalda il cuore.
Di quell’appuntamento ne parlò qui Cinzia Scaffidi, nel bell’articolo «Il fine ultimo dell’umanità è la felicità»
Con Slow Food Editore Sepùlveda ha pubblicato due libri: Un’idea di felicità scritto insieme a Carlo Petrini e Vivere per qualcosa, scritto con Petrini e Josè Mujica.
Sono letture sempre attuali che porteranno gioia e speranza nelle vostre giornate. Non perdetevele.
Riprendiamo con i consigli della nostra redazione, questa settimana con il cuore più pesante. Perdonateci .
Iniziamo con Silvia, la nostra topina da biblioteca che avete conosciuto la scorsa settimana. Questa volta, tra i tanti consigli, ho scelto una lettura che non vi tirerà su di certo, ma altrettanto certamente aprirà non poche riflessioni. E pensieri inediti. Ne dice Silvia:
È un romanzo, non un saggio, durissimo, crudele, violento, a volte da scalciare lontano perché diventa quasi insostenibile. È la storia di una famiglia, di più generazioni, dalla fine dell’Ottocento agli anni Ottanta del nostro secolo. I passaggi sono i più tragici. La miseria. La fame. La guerra. La pazzia. La morte. E il rapporto con gli animali che diventa disumano, privo di qualsiasi forma di pietà. Del Amo scrive benissimo. Non ha paura delle parole. Non ha paura delle immagini. Il suo realismo è potentissimo. Da leggere solo se si è pronti ad affrontarlo.
Stiamo parlando di Jean-Baptiste Del Amo, Regno animale, Neri Pozza, 2017, trad. Margherita Botto. Ecco un estratto:
«Quando non ha avuto altra scelta che sposare Serge e andare ad abitare alla fattoria ha capito ben presto che avrebbe dovuto lottare spietatamente contro quella porcilaia che bussava alla loro porta, che i due fratelli e il padre si portavano appresso, della quale parlavano di continuo. Ha visto gli uomini condurre scrofe da riforma dal pianale di carico, alcune colpite da prolasso, che si trascinavano dietro una sacca di visceri espulsi dall’ano a furia di parti, altre incapaci di camminare, paralizzate dall’artrosi, dall’immobilità forzata, dal loro stesso peso che le membra non potevano più reggere. Quelle, le percuotevano con la mazza piatta, le prendevano a calci per farle avanzare, e gli animali urlavano di terrore o di dolore, si scorticavano sull’asfalto, con la carne messa a vivo e gli occhi stralunati.
– Come potete fare una cosa simile?
– Che cosa? Non capisco. – ha risposto Serge.
Catherine ha indicato gli animali con il mento. Serge ha alzato le spalle.
– Ah. È così… Bisogna alleviare le loro sofferenze. Ci si abitua, vedrai.
Ma lei si è rifiutata di vedere, persino di sapere. Ha sgombrato la casa da tutto ciò che poteva evocare, poco o tanto, l’allevamento, ha riposto in scatoloni i ninnoli, le miniature di maiali in ceramica, in vetro soffiato, i vecchi salvadanai di ghisa, le medaglie di concorsi e fiere del bestiame. Come sua madre prima di lei, ha cominciato a sognare una felicità standard, una villetta a schiera, un’utilitaria, viaggi durante le vacanze scolastiche; da quel momento tutto le è sembrato preferibile a quell’agonia senza fine in una fattoria cadente, assediata dall’odore, dalle urla dei maiali e dalla barbarie degli uomini».
Ancora due libri, questa volta ci arrivano da Paola, punto di riferimento indiscusso non sono per una bella tavola piena, ma sempre con moderazione, di cibo e vino buono, pulito e giusto, ma (forse soprattutto) sano. I suoi consigli, molto curati, m’hanno convinta immediatamente e m’è venuto voglia di leggermi subito quanto suggerito.
Paul Ariès, I figli di MacDonald’s, edizioni Dedalo, Bari, 2000, trad. M.C. Giovannin
Vale la pena di rileggere questo libro, che ha fatto conoscere a un pubblico vasto il pensiero del sociologo/antropologo/giornalista francese Paul Ariès. Uscito in Francia per la prima volta nel 1997, è un po’ il manuale del movimento antiglobalizzazione che individua in McDonald’s l’espressione concreta ed esemplare della multinazionale che si diffonde ovunque nel mondo imponendo il suo sistema e la sua ideologia: fare in modo che “l’uomo McDonaldizzato mangi sempre la stessa cosa, allo stesso modo, qualunque sia la sua età, il suo sesso, il suo paese, la sua condizione, la sua cultura”. Ariès ne analizza la struttura, i meccanismi, le politiche di marketing, entra nelle pieghe del “pensiero unico” rappresentato dal colosso americano/planetario del fast food, rivelandone i mille volti. La “fabbrica di hamburger” ha ereditato il modello di produzione fordista ma lo ha arricchito di significati infra-culturali e rassicuranti, creando una retorica totalizzante, per i suoi impiegati come per i suoi avventori. Chi non ricorda lo slogan: “Succede solo da McDonald’s”?
Rob DeSalle e Ian Tattersall, Il tempo in una bottiglia – Storia naturale del vino, ed Codice, Torino, 2014, trad. S. Cambursano
Parafrasando il titolo del noto film di Woody Allen, possiamo dire, a proposito di questo libro: “tutto quello che avreste voluto sapere sul vino ma non avete mai osato chiedere”. Fisica, chimica, neuroscienze, antropologia, storia, fisiologia…. Il vino ha un legame con tutte queste scienze, è un prodotto della cultura umana che rappresenta in modo esemplare come la gastronomia, di cui esso è parte importante e nobile, sia realmente una scienza olistica. È il presupposto da cui partono gli autori, un biologo molecolare e un antropologo. E per inoltrarsi nel vasto e profondo mondo del vino, ogni capitolo parte da un assaggio, una bottiglia intorno alla quale immaginiamo i due autori discutere, sorseggiando dai loro bicchieri il carburante delle loro riflessioni. Dall’Armenia alla Nuova Zelanda, dalla Francia all’Australia, dagli Stati Uniti alla Georgia, i due ci conducono in un viaggio interessante e divertente, nel quale il tempo nella bottiglia, come dice il titolo, sembra contrarsi ed espandersi per farci penetrare in una dimensione unica e molteplice allo stesso tempo, così come atomi e molecole si relazionano con l’universo. Una sensazione che chiunque beva con amore per il vino non fa fatica a riconoscere.
Finiamo in dolcezza (che ora ce n’è davvero bisogno) con un film che ci consiglia Roberto. Il nostro coordinatore di Hub, l’uomo che tutto vede e tutto sa. Soprattutto l’uomo che riesce a tenere insieme un gruppo di ben 14 ragazze, di età varie. Stima anche per i nostri 7 colleghi maschi.
Segnalo un film giapponese che ho incontrato quasi per caso e che sono molto contento di aver scoperto.
Le ricette della signora Toku – Regia di Naomi Kawase. Durata 113 minuti.
È un piccolo, delizioso film giapponese che sembra fatto apposta per questi giorni che stiamo vivendo. Parla di cibo, lentezza, empatia, malattia, isolamento forzato, persino di quel bisogno di cambiamento che tutti ormai avvertiamo, e ci invita a cercare la soluzione ai problemi – non solo ai nostri – nell’osservazione e nell’ascolto del mondo che ci circonda (e della natura in particolare). Presentato nel 2015 al festival di Cannes e tratto dal romanzo omonimo di Durian Sukegawa (edito in Italia da Einaudi: i commenti di chi lo ha letto invitano alla lettura), il film è disponibile sulle piattaforme CHILI, Rakuten e iTunes. E mi sento di consigliarlo caldamente a chi è pronto ad accogliere una carezza leggera da una mano sofferente.
a cura di Michela Marchi, m.marchi@slowfood.it