Nelle campagne siciliane, tra Pollina e Castelbuono, nel cuore del Parco delle Madonie, due produttori di manna che tramandano l’antico mestiere del frassinicoltore, spiegano come si raccoglie questa preziosa linfa.
“È la manna dal cielo!” È così che si dice quando si vuole indicare qualcosa che, nell’immaginario collettivo, arriva come un dono divino ricevuto senza fatica. La stessa etimologia del nome ha radici ebraiche (Mân Hu – Cosa è?) e fa riferimento all’episodio biblico in cui gli ebrei stanchi e affamati chiesero a Mosè, che li stava guidando nel deserto, cosa fosse quel cibo dolce e sconosciuto che cadeva miracolosamente dal cielo.
Ancora si dibatte a cosa alluda il Vecchio Testamento, ma la manna, in quanto secrezione zuccherina di alcune piante, è un raccolto più che terreno e la sua origine è legata all’antico e straordinario rapporto, quasi simbiotico, tra l’uomo e il frassino, una storia fatta di tanta fatica e sudore. A raccontarla sono gli ultimi detentori di un patrimonio che rischiava di andare perduto, in particolare Giulio Gelardi, alto, magro, una folta barba bianca, un’aria eccentrica un po’ da hippy e un po’ da filosofo zen e più di mille storie da raccontare. Giulio, nato e cresciuto a Pollina, è uno degli ultimi a tramandare il prezioso patrimonio dell’antico mestiere del frassinicoltore o meglio, dello ‘ntaccaluòru, così come viene chiamato in dialetto siciliano colui che coltiva la manna (dal verbo intaccare che rimanda alle incisioni fatte sui tronchi dei frassini durante il processo di coltivazione che va da giugno a settembre).
Ma cos’è esattamente la manna? Si tratta di un liquido biancastro denso e zuccherino prodotto facendo sgorgare e mescolare le due differenti linfe di alcune specie di frassini. I tronchi vengono incisi utilizzando un antico coltello molto sottile e tagliente a forma di mezzaluna chiamato mannaruolo che viene affilato ogni mattina prima di lavorare. Le incisioni producono una piccola ferita sul tronco dalla quale a poco a poco sgorgano i due tipi di linfa dell’albero che poi, rapprendendosi, danno luogo alla manna vera e propria. Chimicamente la manna è costituita per circa il 60% da mannitolo (un alcool esavalente), acqua, zuccheri (mannosi trivalenti e tetravalenti più una piccola percentuale di glucosio e fruttosio) e una grande quantità di sali minerali. Il suo sapore cambia in base all’albero, all’altezza alla quale viene raccolta e alla sua purezza. Sa un po’ di zucchero, un po’ di miele tostato con sentori di terra o legno e a volte ha un retrogusto amarognolo.
Le sue proprietà benefiche sono note da tempo sia dal punto di vista alimentare che farmaceutico e cosmetico: la linfa è nutriente, depurativa, lassativa, decongestionante, disintossicante, idratante, rinfrescante e cicatrizzante. È utilizzata al posto dello zucchero come dolcificante naturale, viene aggiunta come aroma nella cioccolata, nei biscotti, nei liquori e può essere abbinata ad alcune sfiziose ricette sia salate che dolci, come ad esempio le creme spalmabili con cui una nota azienda siciliana confeziona i suoi panettoni.
Un tempo erano numerose le zone d’Italia in cui si produceva la manna, dalla Toscana fino alla Calabria. Oggi l’unico spicchio di terra al mondo in cui la produzione della manna resiste ancora sono i boschi tra Castelbuono e Pollina in un territorio che non arriva nemmeno a 200 ettari.
La produzione della manna in Sicilia era un’attività che si tramandava da padre in figlio fin dalla seconda metà del 1500 e che, fino agli anni cinquanta, bastava da sola a dare sostentamento a molte famiglie contadine (un chilo di manna costava circa 500 lire). Le campagne erano vive e la raccolta si faceva cantando e ballando come durante una festa a cui partecipavano uomini, donne e bambini. “Sarà per questo che i frassini amano la musica!”, dice Giulio scherzando, ma non troppo, visto che è sua abitudine diffondere tra gli alberi della propria campagna un po’ di buona musica: “molto spesso rock ma anche sinfonie di Bach e di Schubert”, spiega con un sorriso a metà tra il serio e l’ironico. In realtà questa credenza ha una radice antichissima legata alla convinzione degli anziani che i frassini producessero manna soltanto se le cicale cantavano (e ciò non deve stupire vista l’estrema sensibilità sia della manna che del canto delle cicale a variazioni anche piccole di temperatura).
Nel secondo dopoguerra però, la manna venne abbandonata e sostituita dal mannitolo prodotto tramite sintesi dalla barbabietola da zucchero, un procedimento molto più semplice ed economico. In alcuni casi i frassineti furono addirittura sostituiti da uliveti o altre colture ritenute più utili e la manna perse il proprio valore di mercato, rischiando così di essere dimenticata.
Fu proprio Giulio a salvare la tradizione ritornando in Sicilia, rivoluzionando le tecniche di produzione e restituendo valore al prodotto. Tradizionalmente, infatti, la maggior parte della manna veniva raschiata dalla corteccia tramite una spatola di legno chiamata rasula e le scaglie venivano raccolte in un apposito contenitore (la scatula) dove però finivano anche pezzi di corteccia e insetti; era inevitabile quindi che il grado d’impurità della manna fosse piuttosto elevato e il suo valore commerciale basso. I rari e preziosi cannoli (le stalattiti prodotte dal gocciolamento della manna) si formavano esclusivamente per gravità dalle pieghe naturali dei tronchi.
Giulio, grazie a una fortunata intuizione, riuscì a perfezionare a poco a poco una tecnica per produrre cannoli di manna sempre più lunghi e puliti, tecnica che oggi è utilizzata da tutti i frassinicoltori del territorio con grandi vantaggi economici. Il procedimento consiste nell’inserire una piastrina in acciaio in corrispondenza dell’incisione del tronco e far pendere da essa un filo di nylon da utilizzare come anima per far colare la manna. In questo modo si aumenta di gran lunga la produzione di questa varietà di manna (la cosiddetta manna da filo) a discapito della varietà a scaglie, meno pura, che veniva raccolta tradizionalmente raschiando i tronchi.
Come Giulio, anche Mario Cicero, giovane frassinicoltore castelbuonese, è rientrato apposta in Sicilia per cominciare, nel 2002, a coltivare la manna. Mario fa parte del consorzio “Manna Madonita“, sostenuto dalla Fondazione Con il Sud. “Il prezzo della manna varia di molto in base alla sua purezza”, spiega Mario. “I cannoli appartengono al tipo di manna più pura in assoluto e oltre a essere presidio Slow Food, possono arrivare fino a un prezzo di 250 euro al chilo. La manna che viene raschiata dal tronco invece è chiamata manna di drogheria, ha una bassa percentuale di impurità e viene venduta a circa 150 euro al chilo”, continua Mario. Infine vi è la cosiddetta manna da lavorazione che si raccoglie dal gocciolamento del filo in vaschette o, come vuole la tradizione, in pale di fico d’india; per la sua vicinanza al terreno questa varietà contiene un alto grado d’impurità (insetti, polvere, pezzetti di corteccia) ed è destinata all’industria per la lavorazione e la produzione di prodotti cosmetici, a un prezzo intorno ai 35 euro al chilo.
“La manna rimane un prodotto fragile che risente molto delle condizioni climatiche”, conclude Mario. “Servono alte temperature, scarse escursioni termiche, bassa umidità dell’aria e terreno asciutto, quindi assenza di precipitazioni. A differenza di quest’anno, nel 2018 non c’è stata produzione a causa della pioggia invernale che si è protratta fino a giugno riempiendo il terreno d’acqua”. Un prodotto agricolo unico, e dal valore economico così elevato, per cui vale la pena di rischiare stagioni avverse. Fonte: National Geographic, Marco Restivo e Giuseppe Distefano, testo di Michela Costa, 30.08.2019
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