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Lug 22 2022

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SHAHRAZAD: IL FASCINO DELL’ORIENTE NEL PIATTO E NEL BICCHIERE

Nonostante da secoli siano diffuse nella cucina occidentale, le spezie conservano intatto il loro fascino esotico. L’ultima frontiera è il mondo della mixology che le utilizza per creare cocktail inediti

Provengono da terre lontane e hanno una storia antichissima (antecedente alla Storia stessa in quanto precedente l’invenzione della scrittura): le spezie sono sostanze aromatiche ottenute dall’essicazione di radici e cortecce, gemme, germogli, fiori, semi, rizomi e bacche, utilizzate in cucina per le loro proprietà antisettiche utili per conservare i cibi, oltre che per la capacità di esaltare il gusto degli altri ingredienti, favorire la digestione e curare diversi disturbi.

Fanno parte della tradizione gastronomica orientale da almeno 3000 anni, ma sono giunte in Occidente fin dai tempi dei Romani, che le importavano da Cina e India attraverso la “Via della Seta”. Dopo una riduzione degli scambi commerciali durante il Medioevo (quando le spezie furono sostituite con le erbe aromatiche autoctone), il traffico delle spezie riprese in epoca coloniale lungo nuove rotte marittime, dapprima sotto il monopolio delle Repubbliche marinare (Genova e soprattutto Venezia), poi sotto il controllo di diversi Stati europei moderni, che mantennero (insieme al dominio sulle colonie) fino al XIX secolo.

Tra fascino esotico e scienza

Nonostante siano entrate nella cucina occidentale da secoli, le spezie conservano un fascino esotico che rievoca terre lontane e antichi rituali. Tuttavia in tempi recenti, questi ingredienti sono stati rivalutati alla luce delle nuove conoscenze acquisite in campo alimentare, e hanno iniziato a essere considerati non più semplici fonti di aromi e colori, bensì veri e propri concentrati di proprietà salutari grazie al loro contenuto di oli essenziali. I criteri principali da osservare restano il gusto personale e, soprattutto, la moderazione; mai come in questo caso “il troppo stroppia” e rovinare una preparazione è questione di milligrammi. Anzi: a dirla tutta, alcune spezie (in quanto “droghe”), possono anche risultare tossiche, se utilizzate in dosi eccessive, ma difficilmente si correrà questo rischio con il normale impiego in cucina.

Dolce o salato? Una provocazione culinaria…

Facciamo chiarezza: di per sé, più che un “sapore” classificabile in modo netto, le spezie sprigionano un “aroma” che può essere più o meno intenso, ma che generalmente ben si adatta alle preparazioni più diverse, sposandosi con quello degli altri ingredienti riconducibili ai 7 sapori attualmente riconosciuti: dolce, salato, aspro/acido, amaro, umami, kokumi e grasso. Lo dimostrano ricette tradizionali italiane come il Panforte di Siena (che contiene coriandolo, anice stellato, chiodi di garofano, zenzero, pepe garofanato e peperoncino), il Pampepato (con cannella, pepe e noce moscata), i vari tipi di dolci allo zafferano diffusi in varie zone della penisola o i ravioli alla cannella tipici della cucina lucana e pugliese, cui si aggiungono azzardi culinari più recenti come il risotto con polvere di liquirizia di Massimiliano Alajmo o il gelato alle spezie di Claudio Cavaliere.

Dal piatto al bicchiere: aromi alcolici antichi e moderni

Se la centralità delle spezie nella cucina occidentale è ormai un dato acquisito, ormai anche il mondo del beverage ha iniziato a riscoprirle e valorizzarle, creando qualcosa di nuovo a partire dall’antica arte dei monaci medievali di utilizzarle per distillare i cosiddetti spirits, primo fra tutti il gin, che nella ricetta originaria prevede come principali botanicals ginepro e cardamomo. Nel tempo il panorama degli alcolici speziati si è ampliato, includendo una gran varietà di rosoli, macerati, amari, liquori: dal famigerato assenzio (o Fata Verde, a base di coriandolo, camomilla, radice di angelica, menta, anice verde, artemisia, finocchio), alle grappe, dal centerbe (a base di erbe aromatiche e officinali, salvia, rosmarino, chiodi di garofano, bacche di ginepro e altre ancora), fino alla vodka (variamente aromatizzata, persino con l’aggiunta di peperoncino), ai liquori dolci e agli amari più diversi (tra cui quello allo zafferano). Senza dimenticare vin brulé (bevanda calda a base di vino rosso aromatizzata con i chiodi di garofano), sangria (preparata con vino rosso, frutta in infusione e cannella), sambuca, pastis, ouzo e così via.

Dal chiostro al bancone: l’arte dei monaci nella mixology

Oggi sono i più smaliziati mixologist (da Mattia Coturno a Tommaso Cecca) ad avere ereditato l’arte alchemica di usare le spezie, non solo recuperando nella miscelazione dei loro cocktail i distillati più tradizionali che le contengono, valorizzandole attraverso una ricerca di equilibri sempre nuovi tra profumi e aromi nel bicchiere, ma anche utilizzandole come chiavi per trasformare il momento del drink in un’esperienza sensoriale a tutto tondo. Ecco allora che, accanto allo shaker, compaiono alambicchi, macinini, mortai, contagocce, vaporizzatori spray, cannelli e bruciatori fumanti e il bancone diventa il palcoscenico su cui prende forma uno spettacolo di gesti magici e seducenti che stimolano la vista, l’olfatto e la percezione tattile. Ma non solo: sempre più spesso i cocktail speziati si accompagnano alle portate del menu (lo spiega bene Gabriele Bianchi in “Cacio, pepe e kombucha”) , per creare contrasti o assonanze lungo un percorso guidato ma personalizzato dal cliente stesso, che può scegliere in che ordine degustare, come abbinare morso e sorso e persino giocare con drink e piatti, provando a “correggerli” aggiungendo un ulteriore sprint speziato.

Il fascino dei suck… in città 

A testimoniare il crescente apprezzamento della cultura occidentale per i viaggi sensoriali consentiti dalle spezie, c’è il moltiplicarsi delle vetrine dedicate a questi prodotti fiabeschi: si va da piccole realtà come Tutte le spezie del mondo, il laboratorio milanese di Francesca Giorgetti, che seleziona, importa e vende in tutta Italia le spezie e le botaniche di migliore qualità, incluse quelle più particolari e difficili da reperire, alle grandi manifestazioni, come Spices & Herbs Global Expo, il primo salone in Europa interamente dedicato al mondo delle spezie, delle erbe officinali ed aromatiche che ha debuttato lo scorso maggio durante Macfrut di Rimini.

Aromi prêt-à-porter, con storie che vengono da lontano

Uno degli aspetti più affascinanti delle spezie è quello di evocare luoghi lontani, realtà esotiche e metodi di produzione artigianali, a cui si dedicano generazioni di famiglie o persino che coinvolgono interi popoli, le cui storie restano troppo spesso nell’ombra. Per fortuna negli ultimi anni l’approccio è cambiato, anche grazie all’attività di intermediari più attenti alla valorizzazione e alla sostenibilità della filiera. Un esempio emblematico è Pepper..field, un progetto avviato nel 2018 da due giovani provenienti dalla Repubblica Ceca, David Pavel e Klára Dohnalová, che durante un viaggio in Cambogia hanno scoperto il pepe di Kampot, il più pregiato al mondo, e hanno deciso di esportarlo in Europa attraverso una rete di commercio equo solidale. Oltre a garantire un lavoro dignitoso e un guadagno stabile ai contadini locali, e a preservare i metodi di produzione biologica e manuale della spezia, l’obiettivo è proprio quello di far conoscere al consumatore finale il mondo dal quale essa proviene e le storie di chi ne custodisce i segreti.

In fondo il senso della contaminazione culinaria è proprio questo: far convivere mondi diversi in uno stesso piatto (o bicchiere), riallacciare legami atavici con realtà lontane, ritrovare significati perduti e riscoprire gusti dimenticati. Per riuscirci c’è bisogno di persone disposte a mettersi in gioco, a sperimentare, assaggiare, raccontare e soprattutto ad ascoltare… i sensi e tutto ciò che costruisce il senso dello stare a tavola (ma anche al bancone, in un negozietto o mercato tipico di prodotti esotici).  Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Chiara Di Paola, 22.07.2022

 

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