Il primo fu, manco a dirlo, Luigi Veronelli, gettando scompiglio per l’idea che il vino “non fosse solo vino” e per l’assoluta libertà di linguaggio che si può usare nel descriverlo. La stessa che fa dire un sentore di “cipria” o “sesso sfrenato”, di “Coccoina” e di “gambo di ciclamino spezzato”, di “benzina” o di “canfora”, ma anche di “figurine Panini”, “porro cotto”, “fiore bulboso” e “carruba birmana”, fino ad un vino “David Bowie”: sono questi alcuni dei sentori più curiosi percepiti in un bicchiere di vino dai sommelier e critici più famosi d’Italia – da Luca Gardini a Luca Martini, da Adua Villa a Paolo Baracchino, da Eleonora Guerini (Gambero Rosso) a Gigi Brozzoni (Seminario Veronelli), da Fabio Giavedoni (Slow Wine) a Enzo Vizzari (L’Espresso), da Franco Ricci (Bibenda) a Luca Maroni (Annuario dei Migliori Vini Italiani) fino al wine communicator Ian D’Agata – e “confessati” a Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore
Pietra focaia, cuoio, punta di matita, sangue, pelliccia bagnata, peperone grigliato, il lessico della critica e della sommelliere enoica, tra sentori animali, legnosi, balsamici, chimici, eterei, floreali, fruttati, speziati, vegetali ed empireumatici, nella loro “classificazione classica”, è ricco di sfumature, a volte strane e divertenti, ma, c’è da dire, di impatto e capaci di accendere la curiosità. Anche se, dicono critici e sommelier, oggi come oggi, sono le parole ed il linguaggio più semplice e vicino agli amanti del buon bere, quelli che preferiscono utilizzare.
Qualche volta avverte “il profumo di sesso sfrenato – confessa Paolo Baracchino, “libero appassionato degustatore” e assaggiatore del Grand Jury Européen – l’ho sentito in uno Champagne, un Pinot Meunier in purezza”
“Una delle cose peggiori che ho sentito è un odore di porro cotto, di minestrone – dice Gigi Brozzoni, alla guida del Seminario Permanente Luigi Veronelli – in un vino rosso, non giovanissimo, ma neanche troppo vecchio da giustificarlo. Piacevoli, invece, gli aromi di iris, di giacinto, di fiori bulbosi, molto dolci e carezzevoli. Ma una delle cose amo di più nei vini, è quando sento un po’ di tabacco o di cuoio: mi sento a casa, tranquillo, rassicurato”.
D’altra parte, se un vino ha un difetto, “i suoi aromi possono essere davvero sgradevoli, ma la cosa che ti sorprende di più – dice Luca Martini, sommelier Ais-Associazione italiana sommelier, Miglior sommelier al mondo in carica per la “World Wide Sommelier Association”- sono i sentori di pregio che si ritrovano nella vita quotidiana, come l’idrocarburo in un Riesling, mi affascina molto, un sentore quasi di petrolio, di benzina, che identifica la territorialità”.
Ma anche quelli che ti fanno andare indietro con la memoria, “come quel sentore che ho percepito una volta in un Verdicchio – racconta Fabio Giavedoni, curatore della guida Slow Wine – che mi ricordava l’odore che sentivo da ragazzino tra i giocatori di una squadra di calcio in cui militava mio zio, un odore fortissimo che mi piaceva tantissimo e non ho mai capito che cosa fosse. L’ho sentito in questo vino, e poi ho capito che era odore di canfora, utilizzando un prodotto per scaldare i muscoli quando fai una camminata”.
E se per il direttore delle Guide de L’Espresso Enzo Vizzari “è il perfido sapore di troppi vini cosiddetti naturali”, Franco Ricci, alla guida di Bibenda e della nuova Fondazione Italiana Sommelier, ricorda quella volta che ha sentito “un fortissimo sentore di eucalipto, poi ho girato la testa ed il vigneto era accanto proprio ad un enorme bosco di eucalipto, che mi ha fatto riflettere su quanto la terra interviene nel sentore dell’uva, sul territorio che è la vera ricchezza del nostro patrimonio vitivinicolo”. Con il vino, del resto, ci vuole un approccio serio, ma senza farlo diventare noioso: “una nota strana e veramente tipica – percepita dal wine communicator Ian D’Agata (curatore per Vinitaly International della Vinitaly International Academy, iniziativa educativa rivolta agli operatori del settore all’estero per approfondire la conoscenza del vino italiano ed aiutare le etichette tricolore a farsi largo sui mercati esteri) – in un vino bianco di Puglia è una nota intensissima di curry, sembrava di aver mangiato un piatto speziato, insolita per un vino, sembrava pollo al curry”. Il sentore “più pazzesco”, avvertito da Luca Maroni, critico e autore dell’“Annuario dei migliori Vini Italiani”, è “la prima volta che sentii da un vino bianco italiano il richiamo al frutto ananas: nel 1998, e il vino era l’Idem 1998 di Feudi di San Gregorio. Scrissi proprio “siamo su un altro pianeta. Il pianeta del frutto ananasso”. Perché in quel momento era un vino anni luce davanti agli altri”.
Il glossario: le “confessioni” sensoriali di critici & sommelier:
Cipria: nota polverosa e leggermente “aromatica”
Sesso sfrenato: lasciato all’immaginazione …
Vinavil: una sensazione di chimico e di plastica
Coccoina: un insieme di latte di cocco e di mandorla
Gambo di ciclamino spezzato: rende l’idea di un’acidità spiccata
Figurine Panini: ha a che fare con la colla, ma in quel modo lì unico
Porro cotto: odore di minestrone
Fiore bulboso: aroma dolce e carezzevole
Tabacco & cuoio: ci si sente a casa, tranquilli, rassicurati
Benzina: un aroma di idrocarburo e petrolio
Canfora: un odore che ricorda il passato
Perfido: sapore di alcuni vini “cosiddetti naturali”
Bosco di eucalipto: la terra che interviene nel sentore dell’uva
Curry: come mangiare un pollo al curry
Ananasso: “siamo su un altro pianeta”
Carruba birmana: chiedetelo ad un collega
Vino David Bowie: eclettico, si trasforma nel bicchiere