Salvare il patrimonio genetico delle piante, conservandolo per un futuro lontano, è diventato, negli ultimi anni, un modo per tutelare le comunità, soprattutto le più piccole e discriminate, e le tradizioni che legano gli esseri umani alla loro terra
C’è una banca del seme che non serve per procreare umani, ma per custodire piante. Ed è un modo che una minoranza, quella dei nativi americani, ha messo in atto per trovare un collegamento con la propria storia e i propri antenati, e per curare le ferite razziste inflitte ai loro sistemi alimentari.
I coloni europei e i funzionari del governo degli Stati Uniti per conquistare la terra indigena attaccavo le fonti di cibo delle tribù. Nel nord-est del Paese il marchese francese de Denoville distrusse i raccolti di mais degli Haudenosaunees nel 1678. Cento anni dopo, nel 1779, il maggiore generale John Sullivan e il suo esercito, agli ordini di George Washington, bruciarono i raccolti degli Haudenosaunees. Tanto è vero che nelle lingue Haudenosaunee la parola presidente significa “distruttore di città”.
E siccome, come dice il fondatore dell’Indigenous Seed Keepers Network White, «Per noi, i semi sono i nostri parenti» ecco la necessità di creare questo gruppo di oltre cento progetti di sovranità dei semi tribali.
La rete ha trovato mille varietà legate alle tribù dei nativi americani nel catalogo Seed Savers Exchange, una banca del seme senza scopo di lucro creata negli anni Settanta che ha uno dei cataloghi specifici più grandi del paese. Da allora, ogni anno sono riportate a casa circa 25 varietà diverse, restituendo alle comunità la storia agricola persa a causa del colonialismo.
Cercare di salvare i semi e le piante che ne derivano è un’attività che gli esseri umani si sono accorti di dover fare a prescindere dal proteggere una storia e una tradizione: per questo Cary Fowler ha immaginato la banca delle sementi, lo Svalbard global seed vault, un deposito costruito su un’isola del mare glaciale artico nel 2008 che ha l’ambizione di mettere al riparo tutti i semi del mondo, per proteggerli da guerre, distruzioni, eventi naturali che potrebbero mettere a rischio la loro esistenza futura. Una vera e propria banca genetica che – potenzialmente – potrebbe permettere la ricostruzione della natura sulla terra. Il progetto prevede anche degli studi approfonditi sulla longevità dei semi, e sulle migliori condizioni per garantirne la vita più a lungo possibile.
Ma com’è fatto questo deposito? Costruito all’interno della montagna e sotto strati di roccia con uno spessore compreso tra 40 e 60 metri, mantiene una temperatura stabile compresa tra meno 3 e 4 ° C. L’area di stoccaggio del seme ha un sistema di raffreddamento aggiuntivo, per arrivare a meno 18 ° C e garantire che sia costante. È composto da tre padiglioni che possono ospitare fino a un massimo di 4,5 milioni di semi. Fonte: Linkiesta, Anna Prandoni, 17.11.2020