Il fondatore Slow Food: “questo contrasto ci relega in una dimensione nostalgica. Innovazione vera c’è quando una tradizione è ben riuscita”
I borghi senza agricoltura rischiano di diventare luoghi non autentici
“Se vogliamo rigenerare i borghi dobbiamo superare la contrapposizione tra innovazione e tradizione, perché questo contrasto ci relega in una dimensione nostalgica e marginale. Innovazione vera c’è quando una tradizione è ben riuscita, e lo dimostrano le buone pratiche che ci hanno raccontato in questi giorni a Roma. Noi siamo l’espressione di un fronte di innovazione che ha salde radici sui territori e che ha coscienza che il patrimonio presente non solo è ancora vivo ma può dare effetti positivi diffusi”. Lo ha detto il fondatore di Slow Food Carlin Petrini, dal convegno “La rinascita dei borghi parte dalla biodiversità”, nei giorni scorsi, all’Anteprima di Terra Madre, con la Festa dei Piccoli Comuni del Lazio alla Casa del Cinema di Roma a Villa Borghese, tra gli eventi di “The Road to Terra Madre” verso “Terra Madre Salone del Gusto 2022” a Torino (22-26 settembre).
Per il sociologo e gastronomo, “il soggetto più innovativo e rivoluzionario che può attuare una reale innovazione duratura sono le comunità, perché si basano su quella sicurezza affettiva che può praticare un vero e proprio cambio di paradigma. Le comunità sono incentrate sulla gioia e la felicità e possono essere sia lo strumento per il cambiamento sia l’obiettivo di una nuova socialità. E con queste dobbiamo affrontare il lungo periodo di transizione agroecologica che ci aspetta”.
“I borghi senza agricoltura rischiano di diventare luoghi non autentici: scenografie vuote, bellissime a vedersi ma da fruire soltanto in maniera ludica e ricreativa, territori a cui manca l’identità perché non ci sono comunità legate alla produzione alimentare – ha sottolineato Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia – a dimostrare invece come rivivono i Paesi, dal punto di vista sociale ed economico, quando le produzioni agricole ritornano a essere centrali, le buone pratiche che ci arrivano proprio dal Lazio, con la comunità della castagna mosciarella di Capranica Prenestina, che accoglieremo presto tra i Presìdi Slow Food, e le cultivar olivicole e i chiacchietelli di Priverno, già Presidio”.
“Vogliamo candidare il Lazio a essere un modello di sperimentazione della spesa pubblica finalizzato alla ricerca della felicità, alla valorizzazione del territorio, alla qualità della vita, in contrasto con il modello di sviluppo che abbiamo vissuto fino a ora. Lo spopolamento, la situazione di marginalizzazione dei Paesi che le aree interne hanno vissuto è il frutto di una innovazione che non aveva le comunità come obiettivo, di servizi sia pubblici che privati che puntavano sulla massa critica, sul mercato, senza pensare che alcuni di questi devono essere garantiti per rispetto dei valori della Costituzione. Ma sono molto ottimista perché vedo molta più consapevolezza su queste problematiche e sulle possibili soluzioni rispetto a prima della pandemia. A questa consapevolezza si aggiunge inoltre la disponibilità di investimenti come mai prima fin dai tempi del Dopoguerra” ha detto Nicola Zingaretti, presidente Regione Lazio.
I borghi, come anche i prodotti che ne diventano il simbolo, hanno bisogno di una narrazione appropriata. Ne è un esempio il Geoportale della Cultura Alimentare, progetto di raccolta, produzione e divulgazione di cultura etnoantropologica legata al cibo, presentato da Leandro Ventura, direttore dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale. Promosso dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (Ministero della Cultura) e finanziato dal Pon (Programma Operativo Nazionale) Cultura e Sviluppo, il GeCa vede la collaborazione con Slow Food.
Vito Teti, professore di Antropologia culturale all’Università della Calabria e autore del volume “La restanza” (Einaudi, 2022), ha sottolineato come oggi una delle dinamiche che incidono maggiormente è lo spopolamento delle aree interne a favore delle città, più che il flusso migratorio sud-nord, mentre è fondamentale porsi il tema del rapporto tra campagna e città, delle periferie urbane. Senza questa riflessione è impossibile cambiare il paradigma attuale verso un’ecologia e un’etica della restanza, mentre il rischio è quello di trasformare i paesi in villaggi turistici o meta per lo smart working, perdendone però l’anima stessa e un’occasione per nutrirci in profondità. Anna Kauber, regista, scrittrice e paesaggista, si è soffermata sul lavoro di ricerca antropologica durato due anni, per un viaggio di 17.000 chilometri in giro per l’Italia, con cui ha raccontato il ruolo di cura delle donne pastore. Sono donne che scelgono le aree interne, con tutte le loro difficoltà, a partire dalle ventenni laureate, accomunate dalla determinazione a ricercare spazi di libertà e felicità che le rendono libere dal modello di consumo cui noi siamo soggetti. Fonte: WineNews, 16.05.2022