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Lug 14 2022

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RENZO PIANO E CARLO PETRINI: I NOSTRI MESTIERI SI ASSOMIGLIANO NELL’AVER A CHE FARE CON LA BELLEZZA

Dal cibo all’architettura, la bellezza intesa come “arte del convivere” delle comunità, può rigenerarci come esseri umani e abitanti di questo pianeta

Archivio SlowFood

 “I nostri due mestieri si assomigliano perché hanno aspetti pratici, scientifici ma hanno anche a che fare con la bellezza. Io devo conoscere il materiale, devo saper misurare, devo essere un costruttore tecnico. Questi sono aspetti tangibili e pragmatici. Proprio come ragionare su a quale temperatura è necessario cuocere un alimento oppure su come tagliarlo. Ma non possiamo nascondere che abbiamo a che fare con l’arte del nutrire e del proteggere esseri umani. Per cui abbiamo il dovere di esplorare il legame che vige tra la tecnica e la società: questo è l’etica. Ecco che per me una costruzione per essere bella deve conciliarsi con il modo in cui questa verrà utilizzata, la sua finalità, se sarà inclusiva e se ben si inserisce nel contesto urbano o naturale in cui viene edificata. Nulla di nuovo, mi sto rifacendo a un concetto di bello che incontra molte culture, anche del passato. In greco antico, in ebraico o in swahili il concetto di bello è sempre legato anche al senso di buono e giusto. Esattamente come tu hai sintetizzato con lo slogan di Slow Food: cibo buono, pulito e giusto”. Lo ha detto il grande architetto Renzo Piano a confronto nei “Dialoghi sulla Terra” con Carlo Petrini, fondatore di Slow Food che, per la prossima edizione di “Terra Madre Salone del Gusto 2022” ha scelto come location il Parco Dora di Torino (22-26 settembre), un luogo di periferia che per decenni ha ospitato grandi stabilimenti produttivi e oggi cerca di emergere come uno dei centri di socialità – e di bellezza – della città, nella convinzione che la rigenerazione dei nostri sistemi sociali ed economici, tema portante del più importante evento internazionale dedicato al cibo, ha detto il filosofo e gastronomo, “possa partire proprio dai quartieri in cui si sviluppa concretamente la vita comunitaria. E questi luoghi sono ormai sempre più lontani dai centri urbani”, come le periferie.
Nel corso della sua lunga carriera, Renzo Piano ha saputo mettere in risalto qualsiasi tipo di contesto cittadino. Una valorizzazione che, ancor prima dell’aspetto estetico, ha sempre mirato alla sfera etica e sociale. Ma il grande architetto italiano ha sempre guardato alla bellezza in un modo più profondo e per questo la sua testimonianza ha un valore altamente rigenerativo.
In questo particolare periodo storico ci siamo scontrati con vicende che, a un primo e distratto sguardo, sono risultate impreviste e imprevedibili – dice Petrini nel “Dialogo” (pubblicato su “La Stampa” del 23 giugno) – in realtà, col senno del poi, aveva ragione chi già anni fa avvertiva che le questioni ambientali e sociali di particolari zone del mondo meritavano di essere prese in seria considerazione. Ora necessitiamo di cambiare il presente per dare un futuro al nostro Pianeta. Per un architetto alle volte rigenerare un edificio significa buttarlo giù per poi ricostruirlo da capo; alle volte basta un’ingegnosa opera di recupero”. “La parola rigenerazione mi ricorda un altro termine che sono solito utilizzare spesso: il rammendo – spiega Pianoogni anno seleziono 12 giovani invitandoli a riflettere sulla nobile arte del rammendo. L’idea alla base è quella di intervenire su aree marginali che necessitano di essere rivalorizzate per farne emergere l’energia vitale intrinseca. Oggi infatti nel cuore dei grandi centri urbani vive solo il 10% della popolazione. Le zone centrali sono ormai boutique a cielo aperto e rappresentano l’insediamento del potere finanziario. La stragrande maggioranza dei cittadini vive nelle cosiddette periferie, le quali spesso vengono identificate con termini denigratori. Qui alle volte si nascondono diversi problemi, inutile negarlo, ma posso garantire che vi risiede anche tanta bellezza, un grande potenziale di crescita e voglia di miglioramento; per questo mi piace definirle “fabbriche di desiderio”. La rigenerazione dei sistemi economici-sociali e climatico-ambientali, ha molto a che fare con le città e dunque in maniera significativa con le periferie”.
Continua Piano, “analogamente, possiamo sostenere le medesime considerazioni per le zone che spesso vengono considerate come “periferie del mondo”. A tal proposito, mi viene naturale fare un collegamento con un progetto e una persona che tengo molto a cuore. Qualche anno fa ricevetti una chiamata dell’amico Gino Strada – quanto ci sarebbe utile Gino in questo particolare momento di delirio – che mi disse: “Renzo, ho bisogno che mi progetti un ospedale in Africa che sia scandalosamente bello. Lo scandalo è quello di portare in questo luogo, nei pressi del Lago Vittoria, l’eccellenza della medicina mondiale. Qui i bambini di tutto il mondo, non solo africani, saranno curati gratuitamente”. Oltre alla genialità e la passione di Gino, se oggi questo ospedale esiste è perché abbiamo preso il meglio di quel territorio e lo abbiamo valorizzato. La struttura è fatta con la terra del luogo: l’argilla, che è stata lavorata per essere più stabile e per creare muri spessi; così come viene fatto nelle case di campagna per ottenere un’ottima inerzia termica. Un’altra risorsa di cui tutta l’Africa può godere è il sole, dunque l’energia viene fornita dai pannelli solari disposti sul tetto. Insomma ho cercato di portare dei saperi che potessero mettere a valore le risorse proprie di quel territorio. Questo è per me un atto rigenerativo. Ogni quartiere e ogni area geografica ha delle risorse che, se utilizzate nel modo corretto e attraverso i processi più adeguati, possono fornire un futuro migliore a tutti i loro abitanti”.
Quanto dice Piano, sottolinea Petrini, “mi fa pensare a un concetto chiave tanto per la gastronomia quanto per l’architettura. Non esiste contrapposizione tra tradizione e innovazione, ma esiste interazione. Un’innovazione non è altro che una tradizione ben riuscita, allo stesso tempo una tradizione che non è in grado di innovarsi è destinata all’estinzione. Credo però sia necessario identificare i giusti tipi di innovazione e il giusto modo per amalgamarli alle società. In questo gioca un ruolo importante la trasmissione delle conoscenze e l’educazione. Esattoafferma Piano – riprendendo l’esempio di prima, se per l’ospedale ugandese avessimo usato cemento color argilla non avremmo ottenuto lo stesso risultato. Così come, parlando di agricoltura, i prodotti ottenuti da un campo che viene coltivato attraverso l’utilizzo di pesticidi e diserbanti chimici sono drammaticamente diversi da quelli che non hanno subito nessun tipo di cattiva innovazione. Dirò di più. In un territorio come l’Africa, ma in generale in tutti i territori, i professionisti non possono permettersi il lusso di portare avanti progetti come se fossero dei semplici turisti. Tanto meno, non è concesso comportarsi da colonialisti. Lo stesso Gino Strada diceva: “non devi regalare il pesce, ma devi insegnare a pescare”. Io come costruttore cerco di trasmettere dei saperi che poi possano rimanere nei territori per essere adattati e usufruiti secondo le diverse esigenze e risorse. E questo vale anche per il settore agroalimentare. Come è altrettanto vero anche nel passaggio intergenerazionale. Oggi i giovani hanno risorse ed esigenze differenti da quelle della nostra generazione, ma necessitano delle linee guida. Le nostre aree di interesse – alimentarsi e proteggersi – rappresentano le azioni più primitive del mondo e si assomigliano tantissimo. Ma noi abbiamo in comune anche un altro aspetto: cerchiamo di trasmettere le conoscenze. Tu lo fai a Pollenzo all’Università di Scienze Gastronomiche, io con i miei studenti. E anche i ragazzi che lavorano nei cantieri li considero come dei miei studenti. Perché vedi, sono arrivato a una conclusione: nulla è farina del mio sacco. Quando ero giovane ho capito che nel sacco degli altri c’era farina più pregiata della mia e allora ho cercato di prenderne il più possibile. Ora che abbiamo raggiunto una certa età e una certa esperienza, credo sia fondamentale donare la nostra farina ai giovani e dare loro anche il coraggio di buttarsi nelle proprie idee, purché lo si faccia in maniera condivisa. Questo oggi è più che mai determinante”.
Parlando di periferie hai parlato di bellezza. Non c’è ombra di dubbio, nel tuo mestiere il tema della bellezza gioca un ruolo determinante. Così come per un gastronomo sarebbe scorretto parlare di cibo estraniando il concetto di buono. Eppure entrambi ci siamo avvicinati al bello e al buono in un modo più ampio. Cosa ritieni bello?”, chiede Petrini. “Per me la bellezza è un sentimento che tocca la sfera della memoria, della spiritualità, della condivisione, della poesia – risponde Pianoanche semplici auditori o biblioteche possono avere molto a che fare con la bellezza, essenzialmente perché intere comunità di persone si trovano “nell’arte del convivere” e si sentono fortificate. Per esempio, ascoltare la musica a casa con le cuffie non è altrettanto bello. Purtroppo non si parla abbastanza di bellezza. Forse per pudore o perché si pensa irraggiungibile. Di una cosa però sono convinto: la bellezza, così intesa, è in grado di rigenerarci come esseri umani e abitanti di questo pianeta.   Fonte: WineNews, 11.07.2022

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