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Giu 16 2015

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RACCONTARE L’ITALIA CON IL “FILTRO” DELL’ENOGASTRONOMIA

Filone nato grazie a Monelli, Veronelli e Soldati che dalla letteratura alla radio, dalla tv al web, affascina ancora oggi e ancor prima di assaggiarla.

In anni in cui il vino ed il cibo si consumavano, ma non si conoscevano – secondo una ricerca Doxa del ’52 il 48% degli italiani non sapeva quale era il vino che beveva – due tra i più grandi intellettuali italiani, Luigi Veronelli e Mario Soldati, iniziarono a viaggiare in Italia raccontandoli in prima persona e gettando le basi di uno stile narrativo che, dalla letteratura alla radio, dalla televisione fino al web, ancora oggi, adeguandosi alle epoche ed alle produzioni, riesce ad appassionare all’enogastronomia ancora prima di assaggiarla.

Le loro figure, pioniere della nascita del giornalismo enogastronomico italiano, sono state al centro di un incontro di scena oggi a “Vino-A Taste of Italy”, il Pavillon del vino italiano all’Expo 2015 a Milano con la regia di Veronafiere-Vinitaly, nel palinsesto di eventi promosso dal Comitato Scientifico guidato dall’enologo Riccardo Cotarella. Dal quale è emerso che in Italia in un solo anno sono più di 1.000 i titoli di cucina pubblicati (una spinta ulteriore è arrivata anche dall’Expo), e se ancora la via dell’abbinamento cibo-vino imboccata da Veronelli, padre della critica enogastronomica italiana, è lunga, come fecero Paolo Monelli prima, primo “corrispondente” enogastronomico, e Soldati poi, uno dei più grandi scrittori e registi del ’900, sono molti i personaggi di cultura che dal passato ad oggi si cimentano con il vino e la gastronomia contribuendo a farli conoscere ed elevandoli: da Dante a D’Annunzio, da Carlo Collodi a Alberto Moravia, da Edmondo De Amicis a Giovanni Dalmasso, da Hans Bart a Ave Ninchi, da Andrea Camilleri passando per Gianni Brera e Gianni Mura.

Nella letteratura italiana del Novecento, in cui l’Italia da Paese contadino si stava rapidamente trasformando in Paese industriale e una parte della cultura italiana avvertì il pericolo che molte tradizioni contadine potessero perdersi, di pari passo con la nascita delle guide (la prima “Guida gastronomica d’Italia del Touring Club è del 1931) e delle stesse leggi che regolano le produzioni, “il vino ha spesso un ruolo importante e produce episodi significativi – ha detto Luca Clerici, docente di Letteratura dell’Università di Milano – come il tentativo di Leo di conquistare Carla dopo averla fatta bere abbondantemente nel capolavoro di Moravia “Gli Indifferenti” (1929). Molto meno nota è la sua presenza nel filone del reportage enogastronomico che ha il capostipite ne “Il Ghiottone Errante” di Monelli (1935), resoconto di un tour in Italia compiuto dall’autore, giornalista, buongustaio e gran bevitore, con Novello, vignettista e astemio, rivoluzionario nel raccontare il mondo attraverso il “filtro” dell’enogastromia”.

Ed è proprio il loro senso del viaggio, l’aver percorso in lungo e largo l’Italia raccontandone cibi, vini, uomini e tradizioni, ha sottolineato il giornalista Gigi Brozzoni, del Seminario Permanente Luigi Veronelli e curatore della “Guida Oro – I Vini di Veronelli”, “ad unire le figure di Monelli, Veronelli e Soldati: nessuno si è interessato all’enogastronomia stando a casa, ma partendo alla ricerca dei suoi territori e personaggi alla base di una descrizione globale”.

 “Veronelli teneva una corrispondenza sia con Monelli sia con Soldati – ha ricordato Alberto Capatti, storico della cucina, co-curatore della mostra alla Triennale di Milano “Camminare la Terra” su Luigi Veronelli – e cominciò come piccolo editore negli anni ’50. Per capire cosa voleva dire viaggiare all’epoca basti pensare alla ricerca Doxa “Gli italiani e il vino” (1952) secondo la quale il 48% degli italiani non sapeva cosa fosse il vino che beveva, figuriamoci la difficoltà di creare una letteratura sul tema. E infatti Veronelli si dedicò inizialmente alla cucina con Carnacina, ma saranno comunque le sue pubblicazioni, da “Mangiare e bere all’italiana” (Garzanti, 1962) a “Il vino giusto” (Mondadori, 1968), passando per le guide, ad aprire la via all’abbinamento cibo-vino”.

E come Soldati con il primo reportage enogastronomico in tv, il mitico “Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca di cibi genuini”, ha ricordato il giornalista Andrea Gabbrielli, “molti intellettuali, giornalisti, scrittori, si sono cimentati con il vino e la gastronomia contribuendo alla loro conoscenza e valorizzazione, a dimostrazione di quanto sia ampia e ricca di sfumature la cultura del cibo e del vino”.

Una cultura così ampia che, dalla letteratura alla radio, passando per la tv, oggi abbraccia anche il web: “la via italiana al blog sul vino nasce (siamo nei primi anni 2000) come risposta alla riduzione di spazi sulla carta stampata e alla velocità di star dietro alle nuove proposte – ha ricordato il “sommelier informatico” Andrea Gori – all’inizio si prefigura come una riproposizione dello stesso modo di scrivere tradizionale su un formato diverso di cui si ignorano le potenzialità. Nascono poi i primi blogger che pubblicano scritti, recensioni e viaggi prima sui blog e poi sui social network, ma anche le prime testate online vere e proprie, da WineNews a Slow Wine, passando per Doctor Wine. Con l’affermarsi dei social network lo stile si fa sempre più visivo con scatti e racconti per immagini e video, virali, che ottengono successi insperati. Oggi non esistono più i blogger, il termine stesso è desueto e non rappresenta più la realtà né una figura precisa di scrittore: meglio parlare di narratori e influencer capaci di far conoscere vini, storie e persone che sul web trovano spazio e risorse in costante diminuzione sulla carta stampata. Piuttosto è meglio concentrarsi sul grande pullulare di degustatori amatoriali che annotano i propri assaggi e sensazioni su Twitter, Facebook, Istagram e gli altri social network. Perché la grammatica futura della comunicazione del vino sarà scritta (anche, ndr) dal web” .

fonte: winenews

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