Ventuno mitilicoltori, fra cui molti giovani, aderiscono al progetto Slow Food e hanno dato vita a un nuovo presidio: un allevamento a bassissimo impatto ambientale dove la molluschicoltura garantisce il riciclo dei nutrienti in eccesso presenti nelle acque marine
La cozza nera di Taranto (foto @slow food)
Come può il cibo ridare la giusta dignità a un’intera comunità? Come fa un prodotto alimentare a contribuire a trainare una società verso un futuro migliore? Oggi voglio rispondere a questi quesiti portando l’esempio di uno degli ultimi arrivati tra i Presìdi Slow Food: la cozza nera di Taranto.
Ancora in questi giorni la cronaca nazionale – e non solo – è tornata a parlare di un territorio, quello del tarantino, che da anni è martoriato da questioni che toccano sin troppo da vicino il benessere e la salute della gente che vi abita. Una popolazione che merita di uscire da una situazione drammatica dove l’incertezza e il terrore hanno contribuito a inquinare maggiormente la vita dei cittadini.
Ma questa zona dell’arco ionico è degna di essere citata anche per le sue qualità. Perché – pur rimanendo pienamente consapevoli dei vulnus – spostando l’attenzione sugli aspetti positivi, possiamo contribuire a costruire nuovi orizzonti. Parlando di pregi dunque, non possiamo non partire da quelle espressioni tipiche del comparto agroalimentare che, come in ogni territorio della nostra Penisola, anche qui sono ben radicate all’interno del tessuto socio-economico e culturale. Il caso della mitilicoltura, in questo senso, è un esempio emblematico. Sin da epoca romana, infatti, il Mar Piccolo è caratterizzato da “piscarie”: veri e propri appezzamenti marini in cui da secoli vengono tramandate tecniche di allevamento dei mitili che contribuiscono al mantenimento e alla sana gestione dell’habitat in questione. Ci troviamo infatti in un contesto ambientale molto particolare. L’acqua in cui viene dato modo ai molluschi di crescere e riprodursi risulta essere poco salata e termoregolata naturalmente. Questo perché vi confluiscono ben 34 sorgenti sotterranee di acqua dolce provenienti dalle Murge. Ecco che, oltre a determinare la caratteristica dolcezza delle cozze nere di Taranto, queste peculiarità ambientali sono state salvaguardate da intere generazioni di mitilicoltori.
Stiamo parlando infatti di un allevamento a bassissimo impatto ambientale in quanto le cozze si alimentano con quanto la natura offre loro e le tecniche sviluppate non necessitano di energia. Inoltre la molluschicoltura garantisce il riciclo dei nutrienti in eccesso presenti nelle acque, favorendo lo sviluppo della biodiversità marina. Le acque sono regolarmente analizzate e controllate, sono sottoposte ad attenti e costanti prelievi. Ne emerge che questa particolare oasi naturale non è per nulla toccata dall’inquinamento ambientale.
L’allevamento della cozza nera di Taranto ha un basso impatto ambientale (foto @slow food)
Proprio oggi il risvolto più buono, pulito e giusto di Taranto è dunque rappresentato dai 21 mitilicoltori che hanno già deciso di credere nel progetto del Presidio Slow Food, redigendo un rigido disciplinare di produzione. Tra questi molti giovani che, respirando quella vocazione storica tarantina legata al mare, si affacciano alla vita lavorativa forti di sani principi. Nel pieno rispetto ambientale, infatti, il disciplinare impone l’impiego di reti e retine esclusivamente biodegradabili e compostabili, sia per la coltivazione che per la commercializzazione. Ma si richiede anche il rispetto di particolari standard che garantiscono la massima qualità e tracciabilità delle loro cozze.
Un prodotto alimentare può essere quindi simbolo di grande speranza per intere comunità. E allo stesso tempo è in grado di caratterizzare un nuovo contesto sociale che valorizza quegli esempi virtuosi che con passione e cura interagiscono con il territorio e gli ecosistemi in cui ognuno di noi è costantemente immerso. Fonte: la Repubblica, IL GUSTO, Carlo Petrini, 08.05.2022