Da “Slow Wine Fair” (Bologna, da oggi al 29 marzo), il messaggio del fondatore Slow Food e Don Luigi Ciotti, fondatore Libera
“Ho vissuto passaggi epocali nel modo di produrre, promuovere e valorizzare il vino. Oggi viviamo un nuovo momento storico, quello della transizione ecologica, che ci farà tornare a vivere in armonia con la natura. La produzione enologica può avere un ruolo molto importante, liberandoci dalla chimica, dallo sfruttamento, e regalando la libertà di fare i vini che i vignaioli vogliono fare, in modo virtuoso, da raccontare agli altri ma senza i punteggi, perché il dialogo è molto più importante”. Dalla “Slow Wine Fair”, di scena da oggi al 29 marzo a Bologna, nelle parole di Carlo Petrini, fondatore Slow Food, muove i primi passi la rivoluzione inscritta nel “Manifesto del vino buono, pulito e giusto” che ha dato vita, nel 2020, alla “Slow Wine Coalition”, di cui l’evento organizzato da BolognaFiere, con la direzione artistica Slow Food, in partnership con FederBio e Confcommercio Ascom Bologna, è il primo atto pratico, raccontato, oltre che da Carlo Petrini, da Don Luigi Ciotti, fondatore Libera, Giancarlo Gariglio, Coordinatore Internazionale Slow Wine Coalition, e Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio.
“Negli anni Ottanta realizzammo una guida che valutava la qualità delle aziende, aiutando tanti piccoli produttori a diventare artefici di prodotti di altissima qualità. Nelle Langhe abbiamo vissuto il passaggio di tantissimi piccoli viticoltori e conferitori di cooperative e grandi aziende, alla mercé dei commercianti, diventati produttori di vino. Eppure, ancora oggi, il contadino non ha potere sul prezzo del proprio prodotto, ed è sempre quello che ci rimette. Ciò nonostante, i piccoli produttori di eccellenza hanno mutato la realtà sociale del settore, portandoci in un’altra epoca, in cui è più difficile fare vino cattivo che vino buono, e più che valutare, le guide devono raccontare i produttori”, continua Carlo Petrini. Secondo cui “il nuovo paradigma sarà nel modo in cui si decide di produrre in armonia con l’ambiente e nel rispetto dei lavoratori”. E questo perché “i clienti del futuro sono la generazione che scende in piazza per chiedere che la politica combatta il disastro ambientale. E non chiederanno punteggi, ma vorranno sapere se si usa o meno la chimica, e se i lavoratori sono rispettati, e questo vuol dire che non basta scaricare il barile sulle cooperative. Le nuove prassi, ambientali e sociali, costano un po’ di più, ma in certe zone, dove una bottiglia costa 50 euro, non possono esistere assolutamente alibi. E anche dove la remuneratività è inferiore non si parla comunque di costi insostenibili, che avranno il riconoscimento dei consumatori di domani. Il vino deve essere all’avanguardia, come è sempre stato, perché quando i comportamenti virtuosi partono dal vino poi a cascata vengono assunti anche dagli altri comparti agricoli”.
Il fondatore Slow Food Carlo Petrini, quindi, si rivolge direttamente ai produttori: “non dimenticate mai che la vocazione principale deve essere la vigna, la vite, non il marketing. L’elemento distintivo di qualsiasi produttore di vino deve essere avere un buon rapporto con la terra e con la vigna. Se il vino diventa commodty non è più prodotto agricolo, e allora non è più vino inteso come prodotto della terra, che caratterizza i territori. I produttori portano in giro i propri paesi, è una grande responsabilità, che rende merito a chi ha capacità di diventare espressione del territorio. Le buone pratiche ambientali, oggi, hanno un riconoscimento diffuso rispetto a valutazioni olfattive e gustative, e comunque i vini biologici e naturali, a differenza di qualche anno fa, sono ben fatti, e raccontano elementi distintivi che si stavano perdendo. Non abbiate timore, se i vostri vini non sono omologanti, la diversità è un valore aggiunto, frutto di vitigno, territorio, pratiche non invasive e coscienza che questa diversità è elemento nuovo e favorevole”.
A dialogare con Carlo Petrini, è il compagno storico di tante battaglie, Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che riporta il discorso sul piano, crudo, dell’attualità, e di una “guerra che ci coinvolge tutti, ci fa accogliere la sofferenza, ma vorrei che non si dimenticassero le altre 33 guerre in atto nel mondo. I nostri meccanismi, in Italia ed in Europa, mettono in difficoltà l’accoglienza di chi ha la pelle nera, e questo deve far nascere un conflitto nelle nostre coscienze, ormai ripiegate su se stesse. Negli ultimi due anni, tutti parlavano di pace, ma era una pace armata, perché la spesa per gli armamenti è tornata a correre. C’è poi un’altra guerra, quella della mafie, oggi globalizzate, più forti e più potenti, ed il dato inquietante è che nel Paese si è andati verso la normalizzazione di questo fenomeno, ma le mafie, che si stanno allargando sempre di più, investono nel cibo e nell’agricoltura, comprano bar, ristoranti ed alberghi. Insidiano la filiera dell’agroalimentare, ed è un problema che ci riguarda tutti, non uno dei tanti”, continua Don Luigi Ciotti.
“Abbiamo vissuto la tempesta del Covid, ma la variante più pericolosa è la variante criminalità, perché le mafie hanno denaro da riciclare e forza, continuando ad allargarsi. Arrivano con le facce da angeli, dopo aver costruito imprese, perché i boss di oggi sono manager non gangster come una volta, ed entrano in ogni contesto. Io rappresento un “noi” – continua Don Ciotti – bisogna diffidare dei navigatori solitari, le cose si fanno insieme, condividendo forze ed energie. Libera nasce dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, è una rete oggi presente in tutto il mondo dal bisogno profondo di combattere contro le mafie e la violenza. Uno degli elementi portanti fu la raccolta firme per confiscare i beni ai mafiosi e ai corrotti e restituirli alla società, all’uso sociale, questo è il senso della nostra azione. Ci siamo battuti, ma non è abbastanza: ai mafiosi piace aprire aziende, ma non amano la terra, la vogliono solo esibire”.
“Le cooperative hanno aperto aziende sui beni confiscati dando libertà e lavoro, che vuol dire restituire dignità alle persone, e questo è meraviglioso. La Cantina Centopassi, così come in altre parti d’Italia, è una meraviglia, sono prodotti con dentro una vitamina in più, quella della legalità e della giustizia. Purtroppo – ricorda il fondatore di Libera – i dati del caporalato sono impressionanti, in ogni settore agricolo, non possiamo dimenticare la nuova schiavitù. Nonostante il lavoro di molti, dobbiamo far emergere che ci sono tante realtà in cui il lavoro assume forme di schiavitù. Esistono leggi ben fatte, ma mancano i controlli, e la disperazione dei più fragili è enorme. In questo, legare il permesso di soggiorno al lavoro è profondamente sbagliato. Papa Francesco ricordava come il padre fosse partito dall’Astigiano, dai vigneti, per andare in Argentina: all’epoca, lavorare la terra non dava da vivere. La nave sulla quale avrebbero dovuto salire i nonni, che, invece, per una serie fortuita di eventi rimandarono il loro viaggio, era la Mafalda, andata a picco con centinaia di italiani morti affogati. La storia di oggi è la storia di ieri”.
Facendo un salto indietro, a presentare i primi risultati dei focus dedicati da Slow Food ai tre pilastri del “Manifesto del vino buono, pulito e giusto” – sostenibilità ambientale, tutela del paesaggio e ruolo sociale e umano del vignaiolo – è Giancarlo Gariglio, coordinatore Internazionale Slow Wine Coalition. “Vogliamo dare forma al nostro lavoro con dei documenti che entrino nel merito della discussione, come abbiamo fatto con le conferenze online di scena nei giorni scorsi. Dal convegno sulla sostenibilità, così, è emersa la necessità di dare ai vigneti una vita più lunga, perché reimpiantare un vigneto ogni vent’anni non è certo una scelta ecologica, combattendo prima di tutto le malattie del legno. E poi c’è urgente bisogno di abbattere l’uso dei fungicidi, perché il 60% di quelli usati in agricoltura sono usati in viticoltura, filiera che, però, copre solo il 3% della superficie agricola nazionale. E ancora, bisogna curare la vitalità del suolo e abbattere l’impronta idrica, anche approfondendo le possibilità offerte dai vitigni resistenti. Infine, la tecnologia e l’adozione di macchinari avanzati, perché le strumentazioni desuete che portano a sprechi enormi, che possiamo tagliare dell’80%”.
Dal convegno sul paesaggio, invece, “è emerso come il viticoltore sia il primo attore dello sviluppo di un paesaggio rurale e ne sia anche il primo difensore. È importante coltivare la biodiversità, privilegiando differenti vitigni autoctoni. Il vignaiolo è in prima linea nel percepire il cambiamento climatico, che lo spingono a scelte difficili e rapide, a volte sbagliate, come irrigazione e cisgenesi. Infine, bisogna sempre tenere presente che il vino è comunità, eppure di giustizia sociale si parla ancora troppo poco. È importante che le cantine che hanno aderito al Manifesto imparino a collaborare, con progetti che mettano in condivisione macchinari e formazione di manodopera. E ancora, la formazione professionale dei collaboratori e il giusto rapporto contrattuale è fondamentale, e non è affatto così, visto che il 70% dei contratti ai lavoratori stranieri ha una qualche opacità dal punto di vista legale. La crescita culturale e sociale passa per il coinvolgimento degli abitanti delle zone di produzione, ponendo al centro il patrimonio dei borghi. Infine, proporre un modello aziendale che punti a colture diverse, aiutando contadini che producono altro, così cresce la comunità e si difende il paesaggio”.
Al fianco di Slow Food, come detto, FederBio, in quella che, come racconta la presidente Maria Grazia Mammuccini, è “un’alleanza naturale. La legge sull’agricoltura biologica, approvata in via definitiva, è un passaggio fondamentale per il primo Paese al mondo per superfici vitate bio, e Slow Food ha avuto un ruolo centrale: il vino buono, pulito e giusto ha una componente determinante nel biologico. L’agricoltura è in difficoltà, tra aumento del costo della materie prime e mercati in fermento, e questa situazione di emergenza sta frenando la transizione ecologica, su cui invece dovremmo accelerare, non frenare, perché è la vera soluzione per rispondere alle necessità di oggi, e il vino buono pulito e giusto è indicativo: la viticoltura è la punta avanzata dell’innovazione, da sempre, e quindi della sostenibilità. In questa fase è fondamentale creare alleanze, come quelle con Slow Food e Bologna Fiere”. Nel suo messaggio il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, Stefano Patuanelli ha, quindi, ricordato come il difficile momento per l’agroalimentare italiano e sovranazionale abbia posto nuove priorità sul fronte della sicurezza alimentare e reso necessario un fattivo intervento per contenere i forti rincari delle materie prime e dei costi dell’energia: “ora più che mai abbiamo bisogno di sentirci uniti come Paese, come Europa e come Comunità e di affrontare in maniera coordinata e coesa le sfide che il settore primario è chiamato ad affrontare. La rete “Slow Wine Coalition” e la filiera vitivinicola che oggi voi ben rappresentate, costituisce, in questo contesto, una testimonianza evidente di integrazione e della direzione che dobbiamo continuare a perseguire”.
Per sintetizzare, nel finale, il cuore dell’evento del “Sana Slow Wine Fair” (da oggi al 29 marzo, a Bologna), che ruota intorno al “Manifesto del vino buono, pulito e giusto” di Slow Food, non resta che usare le parole (e i consigli) di due dei filosofi del nostro tempo, ovvero Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, e Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera: “oggi produrre vino è una forma d’arte: tenete insieme etica ed estetica, il bene e il bello. Divertitevi, fate vini come piacciono a voi, liberatevi dall’omologazione, siate virtuosi nei rapporti con la terra e con i vostri collaboratori. Vivete con gioia, ma tenete gli occhi aperti: non consideratevi mai immuni dalle responsabilità”.
Focus – L’intervento del presidente dei piccoli vignaioli ucraini, Valerij Petrov, in apertura di “Sana Slow Wine Fair”
L’assemblea plenaria “Slow Food Wine Caolition”, in apertura di “Sana Slow Wine Fair”, ha ospitato, inoltre, l’intervento del presidente dei piccoli vignaioli ucraini, Valerij Petrov, che, in una video-testimonianza (qui), ha raccontato le difficoltà vissute in queste settimane di guerra: “la situazione oggi è molto difficile e sono molto preoccupato che i soldati dei nemici colpiscano le fattorie e le aziende agricole. È già successo a Kachovka e Cherson, dove intere aziende sono state derubate e distrutte. In questa situazione di guerra inoltre per noi è impossibile vendere i nostri vini, per questo chiediamo ai produttori di tutta Europa di aiutarci ad esportarli. Slow Food Ucraina è già al nostro fianco e tutti ci stanno aiutando come possono”. Per dare supporto alle Comunità Slow Food in Ucraina è stata lanciata una raccolta fondi che è possibile sostenere visitando questa pagina web. Fonte: WineNews, 27.03.2022