La filiera non ha risentito della crisi: il prezzo del grano è salito in un anno da 200 a 330 euro a tonnellata per poi tornare a quota 280 euro
Mentre l’export di pasta continua a macinare record con vendite in aumento in tutto il mondo anche nel 2020, i mercati del grano duro tornano a calare, dopo un’apertura di campagna all’insegna dei rialzi con prezzi che non si vedevano, nelle Borse merci italiane, da anni. E torna a crescere, nel frattempo, anche l’import, a dispetto di un’ottima campagna per il grano nazionale soprattutto dal punto di vista qualitativo, che ha permesso l’ulteriore consolidamento del 100% italiano, ormai adottato come strategia principale sul mercato interno da (quasi) tutti i principali brand di settore.
Export da record
Nei primi sette mesi dell’anno le esportazioni di pasta, già reduci da una fila di annate in crescita, sono ulteriormente aumentate segnando un boom del 30% rispetto al periodo gennaio-luglio 2019. In valore assoluto, l’Anacer (l’Associazione nazionale cerealisti che rappresenta i trader del settore), registra un incasso di oltre 1,4 miliardi.
Secondo le elaborazioni dell’Ismea sui dati Istat, anche nei mesi più critici dell’emergenza, con il moltiplicarsi delle restrizioni e delle difficoltà nelle spedizioni in molti Paesi, le esportazioni di pasta, a differenza di altri comparti che hanno accusato cali significativi, non hanno subito contraccolpi.
L’innovazione premia il grano italiano
Ma il successo del prodotto simbolo dell’agroalimentare made in Italy non è solo merito dell’effetto-pastasciutta della pandemia, come evidenziano anche i dati del World Pasta Day. Innovazione (merce rara nel settore), nuovi rapporti di filiera e un costante miglioramento della materia prima nazionale sono tutti ingredienti che hanno contribuito al rilancio, confermato anche dal buon andamento delle vendite sul mercato interno.
Un successo che ha premiato quest’anno anche la parte agricola con quotazioni arrivate a superare i 330 euro per tonnellata a inizio campagna, tra giugno e luglio, dopo una lunga fase di bassi prezzi. A incidere è stato il crollo delle quantità di grano prodotte quest’anno nella principale area di coltivazione, il “Granaio d’Italia” rappresentato oggi dalla Puglia, e in particolare dal Foggiano, dove però il taglio dei raccolti del 30% è stato compensato da una qualità eccellente della produzione.
Materia prima in altalena
L’aumento dei prezzi della materia prima però è rientrato rapidamente quando, mentre la trebbiatura saliva lungo l’Italia verso Nord, il mercato ha scontato la super produzione di alcune aree del Centro, scaricando gli aumenti dei prezzi (fino al 15%) di inizio campagna. Le quotazioni attuali intorno ai 280 euro restano comunque su livelli mediamente alti, e ben al di sopra dei 200 euro di un anno fa.
«La campagna 2020 è stata in assoluto la migliore dal punto di vista qualitativo», conferma Giuseppe Ferro, ad della Molisana, storica azienda di settore ricostruita da zero dieci anni fa e diventata oggi quarto player di mercato avendo “chiuso” la filiera con silos per lo stoccaggio del grano e molini accanto al pastificio di Campobasso.
A livello nazionale la produzione resta intorno a 4 milioni di tonnellate, in linea con lo scorso anno e la media storica: i dati saranno presentati ufficialmente nell’incontro della filiera grano-pasta in programma mercoledì prossimo a Roma.
Doppio binario per il made in Italy
La curiosità riguarda la differente percezione del made in Italy: la pasta fatta con grano 100% è destinata prevalentemente al mercato interno mentre all’estero è il brand italiano a essere ricercato, a prescindere dall’origine dei grani miscelati.
In ogni caso la crescita del 100% italiano rappresenta un successo soprattutto per la ricerca e le innovazioni sulle varietà nazionali di grano e per la produzione agricola. «È un risultato di cui la filiera deve essere orgogliosa – sottolinea ancora Ferro –: soprattutto negli ultimi anni abbiamo trattato scientificamente terreni e sementi, rendendo disponibili qualità di grano, necessari alla miscela per realizzare la semola, che prima si compravano all’estero».
Resta il dato sulla crescita dell’import, necessario a soddisfare poco meno del 40% del fabbisogno di una filiera strutturalmente deficitaria. Nei primi sette mesi dell’anno sono arrivate in Italia 568mila tonnellate in più di grano duro rispetto allo stesso periodo del 2019 (a fronte di un calo consistente dell’import degli altri cereali, come grano tenero, mais e orzo),in totale quasi 2 milioni di tonnellate per una spesa che sfiora i 500 milioni.
E la vera novità per il 2021 potrebbe arrivare dal calo, a sorpresa, delle superfici oggetto dei contratti di filiera tra industria e agricoltori.
«Dopo anni di crescita in cui i contratti di filiera hanno funzionato molto bene- spiega Ferro – la maggiore disponibilità di grano estero di alta qualità potrebbe portare, per la prima volta, a un calo degli accordi che garantiscono bonus qualità ai produttori onerosi per gli acquirenti». Fonte: IlSole 24Ore, Alessio Romeo, 24.10.2020