Da Cesenatico a Rio de Janeiro, chi vive e guadagna grazie alla fauna marina inizia a occuparsi della pulizia delle acque in prima persona. Le opportunità sono molteplici: sociali, ambientali ma anche economiche (soprattutto nei Paesi meno sviluppati)
Courtesy of Ogyre
Che la presenza di plastica nei mari e negli oceani sia eccessiva e dannosa è un fatto ormai riconosciuto in tutto il mondo. Poiché la maggior parte della plastica commercializzata deriva da risorse fossili, la riduzione della produzione di rifiuti, l’incremento della sua sana gestione, lo sviluppo di materiali sostitutivi e il miglioramento della governance, dell’applicazione e del regime di controllo per i movimenti transfrontalieri dei rifiuti di plastica sono fondamentali per sostenere le parti nell’attuazione degli esistenti e futuri accordi ambientali multilaterali. L’ultima novità arriva da Bruxelles, dove la Commissione europea ha proposto una serie di novità sulla gestione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio.
La plastica resta un’enorme fonte di inquinamento degli oceani e contribuisce anche al riscaldamento globale, dalle fasi di produzione a quelle di smaltimento. Per provare a contribuire alla causa, la startup italiana Ogyre ha implementato un modello di fishing for litter grazie al quale sono i pescatori a ripulire i mari dai rifiuti marini. Un caso virtuoso che inizia pian piano a diffondersi all’interno di diverse realtà analoghe.
Ai gruppi di pescatori già attivi in Italia, che operano nei porti di Cesenatico, Santa Margherita Ligure e Marina di Ravenna, si sono aggiunti di recente quelli di Rio de Janeiro in Brasile e Bali in Indonesia per un network complessivo di settanta pescatori che raccolgono, tra i tre Paesi, una media stimata di quindicimila chilogrammi di rifiuti ogni mese.
«Noi pescatori che facciamo parte del network di Ogyre siamo regolarmente remunerati per la nostra attività di fishing for litter, ovvero per pescare i rifiuti dal mare che differenziamo a bordo e riportiamo a terra, dove grazie all’aiuto di alcune Ong, vengono ulteriormente differenziati e stoccati per un corretto smaltimento. In questo senso, l’apertura dei porti internazionali in Brasile e Indonesia è un passo cruciale dello sviluppo di Ogyre, perché il problema dei rifiuti in mare è estremamente più significativo in Indonesia e in Brasile rispetto ai nostri mari” racconta a Linkiesta il pescatore Benedetto Carpi di Santa Margherita Ligure.
Courtesy of Ogyre
Negli oceani dei Paesi in via di sviluppo, infatti, i pescatori trovano in acqua davvero di tutto, dai materassi ai televisori abbandonati. «C’è poi una dimensione sociale altrettanto importante: si tratta infatti di aree in cui il contributo che Ogyre riconosce ai nostri colleghi per l’attività di raccolta dei rifiuti è uguale al compenso che ottengono durante le normali giornate di pesca, tanto che l’attività diventa, in molti casi, un vero e proprio lavoro da integrare alle normali battute di pesca. Così abbiamo pescatori che, in certi giorni della settimana, escono solo per pescare rifiuti marini», aggiunge Carpi. Uno dei principali vantaggi del fishing for litter è che non richiede un’implementazione di mezzi o tecnologie specifiche: si usano direttamente le reti dei pescatori, le stesse che loro usano per pescare.
Per i pescatori è importante partecipare a progetti come quelli di Ogyre: il loro “posto di lavoro” si avvicina a un ritorno alla normalità, e parte delle undici milioni di tonnellate di plastica che ogni anno finiscono nei mari viene recuperato. La vita di 1,4 milioni di specie che vivono sott’acqua e che subiscono i danni dell’inquinamento da plastiche e microplastiche è meno a rischio.
«Noi pescatori viviamo il mare ogni giorno e abbiamo un potenziale enorme in tema di recupero rifiuti: abbiamo le reti, le barche e siamo i primi soggetti interessati dalla convivenza con il problema della plastica e i rifiuti marini. Se veniamo messi nelle condizioni giuste, possiamo davvero avere un enorme impatto sul recupero dei rifiuti dispersi nei nostri mari. Partecipando a questo progetto, oltre a contribuire alla salvaguardia dei nostri oceani, supportiamo l’ecosistema economico delle località dei porti in cui operiamo, dove la pesca rappresenta un’attività principale per la comunità», spiega Carpi.
Cambiare la mentalità e l’approccio della stragrande maggioranza degli addetti ai lavori nel mondo della pesca non è un percorso semplice, e il lavoro è ancora lungo. «Tutti noi pescatori che facciamo parte del progetto di Ogyre, settanta tra Italia, Brasile e Indonesia, siamo ottimisti sulla possibilità di migliorare la salute dei nostri mari, proprio grazie all’esempio attivo che portiamo avanti. Essere testimoni e ambasciatori di un progetto che ha come obiettivo la salvaguardia del mare è il primo passo per far maturare consapevolezza sull’importanza di cambiare la mentalità e l’approccio verso un tema così importante per l’intero pianeta».
Le soluzioni per la salvaguardia dei mari e la risposta ai gravi problemi di inquinamento che riguardano le acque si discutono negli eventi come la Cop27, ma un ruolo attivo lo rivestono anche le persone e i lavoratori che devono affrontare in prima persona i danni all’ambiente causati dall’uomo. Fonte: Linkiesta, Grennkiesta, Andrea Indiano, 8.12.2022