Il Consorzio lombardo vuole consolidare la sua presenza nel fuori casa che già pesa per il 90% consolidando la sua presenza nei locali milanesi con etichette di qualità. La produzione può aumentare grazie al recupero di vecchi vigneti e di impianti in quota
Vigneti «eroici» in Valtellina
I vini della Valtellina puntano a consolidare la crescita degli ultimi anni, in cui la qualità del Nebbiolo delle Alpi ha conquistato spazio tra i rossi di qualità. Soprattutto nel settore della ristorazione, che pesa già per circa il 90% del giro d’affari. In quest’ottica Milano – sbocco naturale per vicinanza al terroir e palcoscenico internazionale per intercettare i wine lovers – è la piazza ideale, soprattutto in vista delle Olimpiadi invernali del 2026, che vedranno il capoluogo lombardo protagonista in tandem con gli impianti valtellinesi di Bormio e Livigno, non lontani dalle vigne che danno vita a etichette come Grumello e Valgella, Inferno e Sforzato.
Anche per questo 33 cantine (su 54 aziende produttrici e 900 viticoltori aderenti al Consorzio) sono state protagoniste di un evento a Milano dedicato agli operatori, con degustazioni condotte da Gabriele Gorelli, primo (e unico) Master of Wine italiano. E con un focus che ha cercato di individuare la ricetta giusta per far fiorire la ristorazione di qualità in provincia di Sondrio, a cui hanno partecipato, tra gli altri, Alessandro Negrini – cresciuto in Valmalenco e chef (con Fabio Pisani) del bistellato meneghino “Il Luogo di Aimo e Nadia” – e Paolo Marchi di Identità Golose.
«Milano Cortina 2026 potrà essere un volano incredibile per i nostri vini: grazie alla ristorazione – conferma Danilo Drocco, presidente del Consorzio di tutela dei Vini di Valtellina – sarà possibile incrementare la percezione di qualità e la domanda di Nebbiolo delle Alpi nei Paesi d’origine dei turisti dei Giochi, che tradizionalmente provengono da Nazioni ricche come Usa, Canada, Norvegia, Svezia, Austria, Svizzera, Germania, Sud Corea e Giappone». Il 30% del vino valtellinese è già esportato, ma soprattutto in Europa e Stati Uniti (30 per cento).
A fronte di un numero di bottiglie pressoché costante negli ultimi anni – nel 2022 sono state poco meno di 3,4 milioni, ma dipende ovviamente anche dall’andamento della singola annata – il giro d’affari è cresciuto a 32 milioni rispetto ai 25 del pre Covid: ovviamente ci ha messo lo zampino l’inflazione, ma è chiara la netta crescita del prezzo medio a bottiglia. Un valore riconosciuto al lavoro nei “vigneti eroici”, sui terrazzamenti sostenuti da muretti a secco, che necessita di molte più ore e fatica rispetto ad altri terreni.
Ma c’è lo spazio per crescere anche in quantità? «Considerando gli alti costi di produzione anche piccoli incrementi di valore aiutano i produttori a migliorare il budget di spesa per i nuovi investimenti legati al ripristino dei vigneti abbandonati: rispetto a molti anni fa – dice Drocco – la superficie vitata è inferiore anche del 20 per cento. Stiamo assistendo alla nascita di giovani realtà volte al recupero di vigneti nella fascia tra i 300 e i 600 metri di altitudine e con la possibilità di impianti di nuove varietà nelle fasce più elevate grazie all’innalzamento delle temperature dovuto al cambiamento climatico». Fonte: Il Sole 24 Ore, Emiliano Sgambato, 07.06.2023