Gli antichi cammini dei pastori, le trazzere in dialetto siciliano, rinascono a nuova vita per far conoscere una terra straordinariamente generosa tra siti archeologici, castelli medievali, oasi naturalistiche e buon cibo
«Il nostro Trazzere e gusto – racconta Leonardo Spera, giovane sindaco del borgo di Contessa Entellina, in provincia di Palermo – è un progetto tagliato su misura per viaggiatori curiosi, ecoattenti e gourmet. Un itinerario emozionale fatto di incontri con le eccellenze e la gente del posto, creato e proposto da giovani wine maker, casari, agricoltori che diventano anche guide per la scoperta del territorio e interpreti di una rinascita giovane e green».
Seguendo la ragnatela delle trazzere che solcano il territorio, i viaggiatori, sempre meno turisti e sempre più curiosi d’incontri, possono fare esperienze di vita vera, scoprire come nascono le eccellenze del territorio, condividere storie e tavole.
Proprio Contessa Entellina è inizio, e conclusione insieme, di un percorso che si snoda lungo la vallata del fiume Belice, tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Il borgo è famoso per essere stato il primo insediamento arbëreshe in Sicilia fondato, a metà del ‘400, da un gruppo di profughi albanesi che abbandonavano le loro terre per sfuggire all’invasione turco-ottomana in Albania e nei Balcani. Da allora, poco è cambiato nelle tradizioni e nelle usanze degli abitanti di Kundisa: in paese si parla ancora l’arbërishtja, (cioè la lingua degli antenati), si indossano i coloratissimi costumi tradizionali e le funzioni religiose si celebrano secondo il rito bizantino in chiese (come la SS. Annunziata o quella delle Anime Sante del Purgatorio) luccicanti di icone.
Le trazzere portano a scoprire, tra vigneti, boschi e uliveti un territorio fascinoso e maliardo che racconta il passato tumultuoso di queste zone. Si comincia dal sito archeologico di Rocca di Entella: qui, sopra un grande massiccio roccioso, gli antichi Elimi (lo stesso popolo che aveva fondato Segesta) avevano costruito una città fortificata, i cui ruderi stanno venendo alla luce grazie agli scavi degli archeologi della Normale di Pisa. È la volta, poi, del Castello di Calatamauro, fortezza posta in posizione ultrastrategica e caposaldo, più di mille anni fa, della reconquista normanna dell’isola ma anche dell’Abbazia di Santa Maria del Bosco, monastero benedettino del ‘300, che racconta le stagioni artistiche dell’isola (gli anni del gotico, il momento rinascimentale, le euforie di un barocco spumeggiante) e che è stato trasformato in un resort di charme dove è possibile seguire cooking class per scoprire i segreti della cucina dei monsù, gli chef dei Gattopardi isolani. Non è tutto: da scoprire c’è, pure, la Grotta di Entella, un sistema di gallerie ipogee che, tra cavità, scivoli e pozzi, offrono uno spettacolo di cristalli di gesso e infiorescenze di stalattiti e stalagmiti.
Ma proprio perché sono abbinate al gusto, le trazzere portano alla scoperta delle eccellenze enogastronomiche del territorio, perché gli itinerari sono modulabili ed adattabili ad ogni esigenza, da fruire in un giorno, ma anche con idee week end o di lunga permanenza; da fare in auto o in jeep, ma anche a piedi, in bici e e-bike seguendo i sentieri naturalistici che tagliano il territorio. Solo così, infatti, si visitano aziende agricole, vitivinicole e cerealicole e si incontrano apicultori, pastori, cheese maker, giovani talenti dalla sapienza antica.
Si può cominciare dai formaggi bio di Feudo Pollichino: Vastedda del Belìce e Pecorino sono le prime pagine di un racconto fatto di gusto, terra e persone. La Vastedda, infatti, è uno dei testimonial più importanti dell’arte casearia del BelPaese, unico pecorino a pasta filata presente nel tagliere dei formaggi made in Italy e per questo inserito tra i Presidi Slow Food. Come spesso accade, storia e leggenda sulla sua nascita si mescolano in un intreccio difficilmente districabile. Il nome deriverebbe dal dialetto vasta cioè guasta, andata a male e questo giustificherebbe l’ipotesi per cui la Vastedda sia nata per recuperare alcune forme di formaggio mal riuscite. Pare che i casari del Belìce abbiano cercato di recuperare i pecorini vasti (probabilmente gonfi per il caldo estivo) facendoli filare con acqua bollente. Il risultato? Quello che si vede ancora oggi: un formaggio simile ad una focaccina ovoidale schiacciata, con uno scalzo di 3-4 centimetri, da consumare freschissimo per gustare le sue note burrose e i profumi dei pascoli del Belìce.
Gli antichi abitanti di queste terre, gli Elimi, producevano vino e lo esportavano a Roma e in Grecia già secoli prima di Cristo ed ecco che le Trazzere portano anche ad incontri ravvicinati con i vini tenacemente local e caparbiamente bio della zona, quelli da vitigni autoctoni come il Nero d’Avola e il Catarratto ma anche quelli da vitigni internazionali (Cabernet, Syrah, Merlot) che in terra di Sicilia hanno acquistato bouquet e gusti difficilmente riscontrabili altrove. Basta fermarsi alle tenute di Filari della Rocca, di Entellano, di Gioacchino Giallo per scoprirlo. Tra le varietà̀ a bacca bianca dell’isola, spicca il Catarratto di Filari della Rocca, rigorosamente lavorato in biologico, dai sentori accattivanti, quasi croccante di frutto in bocca e di grande bevibilità̀.
Ma dalle cantine dei Filari della Rocca esce anche un Rosato, frutto della vinificazione di uve Nero d’Avola macerate a contatto con le bucce per poche ore, giusto il tempo necessario per conferire al vino un delicato colore rosa brillante. Anche nelle vigne e nelle cantine di Entellano si lavora in biologico e i Nero d’Avola (Don Luca), i Cabernet Sauvignon (L’Entellana), i Syrah (Lieo), i Merlot (La Contessa) raccontano un territorio unico e irripetibile. Il giovanissimo Giacchino Giallo, nella sua organic farm, produce Kumeta bianco (Grillo) e Kumeta rosso (Nero d’Avola), vini speciali da uve sorvegliate a vista dalle api che si aggirano tra i filari per curare gli acini d’uva danneggiati dagli agenti atmosferici.
Non è tutto: su una tavola siciliana non manca mai un piatto di pasta e allora Terre di Entella propone vari formati (busiate, spaghetti, reginette) preparati con farine da grani antichi come Tumminia, Perciasacchi e Maiorca. Presenti, nel carnet aziendale, anche le farine integrali, i legumi biologici, gli oli EVO di Nocellara del Belìce e Biancolilla. Agli incontentabili, Trazzere e gusto propone anche di andare per atelier e laboratori dove si scoprono piccoli capolavori artistici come le maioliche di Carmelo Giallo, mastro ceramista amato da Vittorio Sgarbi, e le icone di Vincenzo Bruno che fanno rivivere i soggetti e gli splendori delle iconostasi bizantine. Fonte: Linkiesta, Gastonomika, Enrico Saravalle, 07.05.202