Presenti nei campi già nella seconda metà del XIX secolo, sono state un simbolo dell’Italia produttiva. E anche un’icona delle rivendicazioni salariali, che nacquero proprio tra risaie e canti malinconici
Quattro province piemontesi (Alessandria, Biella, Novara e Vercelli), a cui affiancare, in Lombardia, la provincia di Pavia, che detiene il primato per estensione di terreni coltivati a riso. Un’area che nel suo complesso costituisce la gran parte della produzione risicola italiana. “Le terre del riso – Segreti e profumi del triangolo d’oro” è l’ultima nata delle Guide di Repubblica. Ampio il capitolo dedicato alla storia di questo cereale, che non può prescindere dal ruolo svolto dalle mondine. Sembra di vederle, qui e ora, vive e vivaci, quelle mondariso e di sentire i loro canti che servivano a ritmare quell’avanzare o arretrare a schiena curva – secondo che fosse periodo di monda o prima di trapianto – e a far sentire un po’ meno acuta la fatica di uno dei lavori più pesanti dell’intero comparto agricolo. Gli uomini erano lì per sovrintendere e comandare o a fare da supporto portando lungo le rive della risaia le piantine da mettere a dimora.
Le donne in risaia erano presenti già dalla fine dell’Ottocento e vi restarono anche oltre la metà del Novecento (più tardi molte di loro sarebbero diventate operaie nelle fabbriche). Arrivavano verso fine aprile non solo dai paesi e dalle città di risaia in Piemonte (Vercelli, Novara, Alessandria, Biella) e nel Pavese, ma anche dal resto della Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia Romagna: giovanissime – addirittura 13enni – e meno giovani (anche 70enni che avevano necessità di continuare a lavorare). Avevano in comune la stessa provenienza da ceti poveri. La paga da risaiole e quel po’ di prodotto, appena trebbiato e ripulito, che riportavano a casa a fine stagione, erano un prezioso aiuto per il ménage familiare nei mesi a venire. Scendevano a valanga dai treni. In valigia – tante volte anche solo una cassetta come bagaglio – non c’era granché: un vestito buono per qualche uscita serale; più che altro abbigliamento da lavoro: gonne lunghe da rincalzare o pantaloni da ripiegare, calze di cotone, fasce, pezze per proteggere le gambe, fazzoletti o retine da mettere sul volto per tenere lontani insetti molesti e, indispensabile, il cappello a larghe tese (la caplina) che doveva riparare dal sole. Facevano tutta la stagione, sistemate senza comfort di sorta in stanzoni-magazzino di cascina, letti messi insieme con quattro assi e scomodi, scricchiolanti pagliericci. Alle quattro del mattino (soprattutto nell’estate più piena), dopo aver avuto la sveglia anche prima ed essersi lavate nella roggia ai margini della cascina, venivano trasportate su carri se il tragitto era più lungo, ma preferivano spesso andare a piedi per non vedersi decurtate dalla paga le spese del viaggio. Quindi subito in acqua, a piedi nudi, dove restavano, dall’alba al tramonto, con un breve intervallo durante il quale cercare un poco d’ombra, mangiare qualcosa, dissetarsi. Non restava certo tempo per un pisolino. Dopo il trapianto nei campi appena allagati, ci sarebbe stato bisogno, verso giugno, di liberare le preziose piantine del cereale dalle erbacce infestanti.
Tante di queste donne, messe insieme dalla sorte comune, non si conoscevano ma diventavano amiche o anche rivali tra loro. Le più forti si facevano valere in campo e fuori. Reciproco aiuto e competitività si alternavano nella forzata vita di comunità. Stanche e accaldate tornavano ogni pomeriggio alla base, eppure mai le abbandonava l’allegria e la voglia di spensierato divertimento che si esplicava in serali balli sull’aia: a fare da orchestra spesso un paio di fisarmoniche che riempivano di musica l’aria meno afosa della notte. Ballare per scacciare fatica e pensieri. E la paura di prendersi qualche malattia: c’era quella che chiamavano “febbre del riso”, ma anche la malaria, e poche si salvavano dai reumatismi cronici e da malanni respiratori. Ma cantavano: “Mamma, papà non piangete se sono consumata, / è stata la risaia che mi ha rovinata”. I canti che si alzavano sommessi o rabbiosi dalla risaia già contenevano pure progetti di rivendicazione sindacale, o raccontavano di lotte dolorose e a volte sanguinose. C’era davvero tanto da chiedere e da ottenere, a cominciare dalle necessità igieniche, di adeguata remunerazione del lavoro.
Le prime manifestazioni per orari di lavoro più adeguati (8 ore contro le 12-14 fino a quel momento richieste) cominciarono in Italia proprio dalle donne delle risaie, prima ancora che dai braccianti (solo più tardi dagli operai delle fabbriche). Era il 1883. I primi segnali di ribellione nelle campagne intorno a Bologna e a Padova. Il cammino sarebbe stato ancora lungo e aspro. Nell’agosto del 1906 a Vercelli scendono in piazza 12mila lavoratori e negli scontri muoiono 3 donne e un giovane. Ci sono anche feriti e molti arresti. Non ci si ferma. Ecco nuove battaglie l’anno dopo e quello dopo ancora. Nel maggio 1909, durante un nuovo sciopero generale, le mondariso si sdraiano sui binari insieme ai bambini. Arriva l’accordo di 8 ore e mezza, concesso per prima cosa proprio a loro, alle donne della risaia.
Tra le pagine della guida “Le terre del riso – Segreti e profumi del triangolo d’oro” si spazia dalle varietà di riso (dall’Arborio al Carnaroli, dal Vialone Nano al riso Dop di Baraggia, dall’Artemide al Baldo, dal Cammeo al Centauro, dal Gladio al Maratelli, dal Selenio al Thaibonnet, dal Sant’Andrea al Venere), alle biodiversità e ai territori che incorniciano Alessandria, Biella, Novara, Vercelli e Pavia, senza dimenticare le ciclabili tra le risaie, i cammini, i festival e le sagre dedicate al riso e l’influenza del cereale nel mondo della letteratura, del cinema e dell’arte. Quindi i migliori ristoranti, i luoghi del gusto, le strutture in cui trascorrere la notte e le testimonianze illustri di Michelangelo Pistoletto, Matteo Bellizzi, Sergio Tacchini, Antonio Auricchio, Giorgio Boatti, Federica Isola, Marco Aurelio Fontana, Andrea Ribaldone e Ambrogio Maestri. Fonte: laRepubblica, IL GUSTO, Mattia Brighenti, 0909.2022
La Guida “Le terre del riso – Segreti e profumi del triangolo d’oro” sarà disponibile in edicola (12 euro più il prezzo del quotidiano) e online sul nostro sito – ilmioabbonamento.it – da giovedì 8 settembre e subito dopo in libreria e online su Amazon e Ibs.