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Mar 24 2020

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L’ENORME BIODIVERSITÀ (VINICOLA) ITALIANA IN UN LIBRO

Torna la guida ai vitigni di Slow Food Editore, con oltre 750 varietà raccontate per foto, caratteristiche e aneddoti.

Fiano, Nebbiolo, Sangiovese, ma anche Tazzelenghe, Bruciapagliaio e Oseleta. Tre nomi illustri e tre illustri – semi – sconosciuti per raccogliere in poche lettere quella che è l’immensità della biodiversità italiana sul versante vinicolo del mondo. Raccontare questa “progenie” diversificata che la natura e l’uomo hanno portato avanti nei millenni è complicato, soprattutto nel nostro Paese, eppure c’è un libro che vi riesce. La Guida ai Vitigni d’Italia di Slow Food Editore, curata da Fabio Giavedoni e tornata alle stampe in un nuova versione aggiornata che affonda le radici – è il caso di dirlo – nelle terre e nei dna vegetali di ben 750 varietà autoctone, dal Trentino alla Sicilia. 

L’enorme biodiversità (vinicola) italiana in un libro

“La Genesi racconta che Noè, dopo il ritiro delle acque divenne agricoltore e piantò una vigna sul Monte Ararat. Sebbene la Bibbia non ne parli, ci piace immaginare che il patriarca abbia utilizzato qualche seme tenuto in saccoccia durante il diluvio, magari conservandolo da quell’uva passa che fu per millenni ingrediente della dieta dei marinai del Mediterraneo. […] La simbologia rimanda al Neolitico: l’uomo diventa agricoltore, fonda insediamenti e la vigna coltivata prende il posto di quella selvatica”, anche se “i successori di Noè raramente utilizzeranno i semi per piantare una nuova vigna” preferendo fino a oggi la talea, l’innesto. Il libro inizia così, con le parole di Maurizio Gily che tracciano già la rotta di un libro che è un’enciclopedia condensata di saperi – i sapori sono solo evocati, qui si parla di pianta e non di vino -. Si parte dalla Storia, a cui si tornerà più volte affrontandola, raccontandola e mettendone nero su bianco i punti fermi con un bellissimo riassunto cronologico dell’Ampelografia nei secoli. Si aggiungono gli autori storici di questa disciplina e il glossario fondamentale che va da Acinellatura a “Vinificato in purezza” passando per apice, biotipo e pedicello. Un vocabolario che può sembrare snob, ma che è necessario per poter utilizzare e studiare questo volume. 

Il progetto grafico e il tipo di impaginazione della Guida supportano e implementano la notevole chiarezza espositiva del libro, che non si ammanta di paroloni o di frasi ridondanti, ma rimane lineare, pulito e chiaro. Ogni vitigno occupa una o al massimo due pagine, e viene raccontato in maniera schematica: la storia, la diffusione, la pianta e il vino. Si parte con l’Abbuoto “vitigno (laziale, ndr) a bacca nera di origini remote, dalle cui uve in un passato remoto si produceva con molta probabilità il famoso Cécubo, più volte decantato da Orazio”, ancora oggi diffuso solo nell’area di origine: “il territorio del comune di Fondi, l’unico a ospitare i pochi ettari di Abbuoto ancora presenti in Italia”. E si continua fin giù al Wildbacher che “appartiene senza dubbio alla tradizione del comprensorio trevigiano” e “vinificato con affinamento in grandi botti di rovere di Slavonia dà origine a un vino dal colore rosso-scuro violaceo con profumi fruttati intensi”. Gli autori danno la stessa dignità a vitigni meno conosciuti tanto quanto a principi della viticoltura italiana come il Nebbiolo, il Sangiovese e il Lambrusco, andando a descrivere, lì dove c’è necessità, tutte le varianti della famiglia. Di Lambrusco, per esempio, ne sono descritti ben sei biotipi con perizia. Il tutto alternato con dei disegni che spiegano in pochi tocchi di colore le differenze dei vari grappoli e ordinato con un’infografica essenziale ma funzionante: alla base di ogni pagina i segnalibri, uno – o più a seconda della diffusione – per la zona e uno per il nome del vitigno. 
Il tutto si conclude con un’appendice di 380 vitigni cosiddetti minori. Una serie di paragrafi uno in fila all’altro da non sottovalutare, ci si possono trovare delle chicche, come quella dedicata al vitigno Scroccona: “Scrocca? No, Schiocca” Come lo Schioccoletto, e per le stesse ragioni, ha un nome quasi onomatopeico questa varietà romagnola altrettanto rara, ripetutamente citata in testi di ampelografia locale tra fine ‘800 e inizio ‘900, ma oggi rintracciabile solo in sporadici filari”. Insomma, un testo per studiare, un testo per viaggiare, un testo per aprirsi la mente a nuove curiosità e fugare vecchi dubbi.  Fonte: La Repubblica, Lara De Luna, 24.03.2020

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