Basta autorizzare il 50 per cento di richieste di impianti a energia rinnovabile per raggiungere la transizione. Ma attenzione a non semplificare troppo.
È più economico costruire un impianto che combini energia solare ed eolico rispetto a una centrale a gas naturale © David Gray/Getty Images
Se solo il 50 per cento dei progetti da energia rinnovabile oggi sulla carta arrivasse al termine del suo iter di autorizzazione, l’Italia avrebbe già centrato la tanto ambita transizione energetica. Le richieste di installazione di impianti fotovoltaici ed eolici in corso di autorizzazione ad oggi, insomma, basterebbero a soddisfare il bisogno di energia pulita che necessita il nostro paese senza doversi affidare all’energia nucleare o al gas naturale.
Secondo Legambiente, autore del report Scacco matto alle rinnovabili, i principali ostacoli alla realizzazione di questi progetti sono da ricercarsi nella burocrazia farraginosa, ma anche nei blocchi da parte di amministrazioni locali e regionali o da parte del ministero della cultura e delle sovrintendenze. Pure i comitati locali si metterebbero di traverso.
La realtà, però, rischia di essere più complicata di così. Burocrazia a parte, la transizione energetica ha bisogno di ascoltare anche le voci di chi si oppone al rischio di speculazione energetica.
Abbiamo già superato gli obiettivi della transizione energetica, potenzialmente
Partiamo dagli obiettivi che il governo italiano ha tracciato in tema di decarbonizzazione del settore energetico: se vogliamo rispettare gli obiettivi europei che, ricordiamolo, prevedono una riduzione del 55 per cento delle emissioni al 2030, si devono installare almeno 70 gigawatt di potenza da fonti rinnovabili entro il 2030.
Il ritmo attuale è, però, troppo lento: in Italia, negli ultimi 7 anni, il tasso annuo di installazione è oscillato tra 800 e 1.000 megawatt (1 gigawatt) di potenza. Di questo passo, raggiungeremo gli obiettivi prefissati non prima del 2100. Se invece si vuole puntare a completare la transizione energetica nei tempi stabiliti, l’Italia deve installare 9 gigawatt ogni anno da qui al 2030.
Dal 2018 a oggi, in particolare, le richieste di connessione alla rete elettrica gestita da Terna da parte di impianti da energia rinnovabile sono cresciute del 297 per cento. Alla fine del 2020, le richieste giacenti raggiungevano cumulativamente i 110 gigawatt a cui si aggiungono 6 gigawatt per gli impianti di accumulo, ben al di sopra quindi dei 70 gigawatt di cui necessita l’Italia. Ma nonostante Terna abbia dato il via libera all’85 per cento di queste richieste, solo il 20 per cento poi sono diventati impianti concreti.
Per raggiungere gli obiettivi di transizione, l’Italia deve installare 9 gigawatt di energia rinnovabile all’anno © Sean Gallup/Getty Images
La burocrazia è nemica dell’energia rinnovabile
Questo “collo di bottiglia” ha origini varie, che Legambiente riassume nel suo ultimo report in cui si concentra su 20 casi emblematici. Uno di questi casi riguarda la tortuosa vicenda della comunità energetica solidale della periferia di Napoli Est che ha trovato ostacoli benché si trattasse di un impianto da 50 chilowatt realizzato su un tetto in zona periferica.
“Il nostro intoppo è dovuto alla mancanza probabilmente di conoscenza da parte degli uffici locali di una circolare ministeriale che consente l’installazione senza autorizzazione di impianti fotovoltaici non visibili da terra”, racconta Mariateresa Imparato, referente di Legambiente Campania. In pratica, nel groviglio spesso inestricabile di leggi e regolamenti che disciplinano la materia, ne esiste una che consentirebbe l’installazione libera e senza autorizzazioni degli impianti fotovoltaici non visibili dal basso (il D.p.r. n.31 del 2017) e tuttavia non è conosciuta e men che meno applicata dagli uffici competenti. “Per questo motivo la nostra comunità energetica e solidale è stata costituita a febbraio, l’impianto realizzato a fine marzo e soltanto prima delle feste di Natale però è entrato in funzione”.
Il progetto di impianto fotovoltaico di Napoli Est non aveva nemmeno necessità dell’autorizzazione paesaggistica, in quanto i pannelli sono visibili solo con un drone. “Di che impatto stiamo parlando? In un quartiere dove ci sono i silos per i depositi degli idrocarburi, l’impatto al paesaggio si richiede al fotovoltaico invisibile. Ci sono ciminiere di vecchie industrie che aspettano la bonifica: è un’area contaminata sito di interesse nazionale. Fortunatamente la regione ha sbloccato la nostra pratica chiarendo tutto”, conclude Imparato.
L’eolico è quello che patisce di più
Ma per Legambiente è soprattutto l’eolico a patire di più la lentezza della burocrazia italiana: dei 20 gigawatt di progetti per i quali è stata fatta istanza dal 2017 ad oggi, il 91 per cento si trova nella fase iniziale del procedimento. Non solo burocrazia, ma anche blocchi per vincoli paesaggistici da parte di amministrazioni comunali, regionali e da parte del ministero della cultura e delle soprintendenze: “Non vi è dubbio sul ruolo di primaria importanza di questi enti pubblici, ma di fronte ad un’emergenza ambientale di porzioni globali e senza ritorno, forse ci si aspetterebbe un ruolo propositivo e costruttivo, finalizzato alla risoluzione di eventuali criticità, piuttosto che porre veti e blocchi senza soluzione” scrive Legambiente nel suo report.
Ai problemi autorizzativi si aggiungono quelli legati ai fenomeni di opposizione territoriale: Legambiente si riferisce ai processi di Nimby (not in my back yard, cioè “non nel mio giardino”) o Nimto (not in my terms of office, cioè “non durante il mio mandato”). “Non tutte le contestazioni territoriali sono fenomeni di questo tipo” puntualizza l’associazione, “anzi va sottolineato il ruolo di sentinelle di cittadini e amministrazioni proprio per evitare la realizzazione di progetti fatti male. Ma la transizione energetica vede e vedrà al centro una profonda trasformazione dei territori. Impossibile raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette senza passare da questi”.
Piuttosto, per Legambiente diventa cruciale avviare importanti campagne di informazione, partecipazione e ascolto. Magari in questo modo non si creerebbe opposizione per l’eolico off-shore, cioè in acque lontane dalla costa: un parco eolico proposto a largo del porto di Taranto, costituito da 10 turbine eoliche ciascuna da 3 megawatt, dopo 12 anni di complesse vicende autorizzative – tra le quali c’è il blocco della sovrintendenza ai beni culturali per l’impatto visivo generato davanti all’ex Ilva di Taranto – ancora non ha visto la luce.
Legambiente cita anche l’opposizione dei comitati verso la proposta di impianto eolico off-shore di Rimini costituito da 59 aerogeneratori per la potenza complessiva di 330 megawatt e da realizzarsi in una porzione di mare compresa tra i 10 e i 22 chilometri a largo della costa di Rimini e Cattolica. Dopo aver ottenuto il ridimensionamento del progetto, le proteste e le opposizioni ai tavoli istituzionali sono continuate, definendo tale progetto un “ecomostro”, troppo invasivo, nonostante lo skyline attuale sia popolato dalle piattaforme petrolifere.
In Italia molti territori ostacolano la nascita di parchi eolici per via del loro impatto sul paesaggio © Ferdi Limani/Getty Images
Ma l’energia rinnovabile non è esente dal consumo di suolo
Insomma, regole e procedure portano i tempi medi per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico a 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa. Tempi infiniti per le imprese, ma anche per la decarbonizzazione, che ha bisogno di un quadro normativo fatto di regole chiare e semplici da applicare.
“Non si deve escludere a priori il fatto che essendo progetti di energia rinnovabile allora questi non siano esenti dal consumo di suolo o dal rischio di deturpare i paesaggi” spiega Alessandro Mortarino, portavoce e coordinatore del forum nazionale Salviamo il Paesaggio. “Ad esempio, ci sono casi di speculazione energetica, come quello che sta aggredendo la Tuscia: siamo di fronte a ben 51 progetti di campi fotovoltaici presentati, in parte approvati e solo in minima parte respinti in pochi anni, complessivamente oltre 2.100 ettari di terreni agricoli e boschi, talvolta affittati, altre espropriati, senza che vi sia alcuna assicurazione sulla chiusura di almeno una centrale elettrica alimentata da fonti fossili”.
“Secondo i dati raccolti da Paolo Pileri del Politecnico di Milano” continua Mortarino, “oggi i progetti del Pnrr-Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, nda) potrebbero mettere a terra in meno di sei anni circa 15 gigawatt di solare, per i quali potrebbero essere necessari tra i 10 e i 18 mila ettari di suolo agricolo, con un aumento del 50 per cento del consumo di suolo annuale. Ma il suolo non è una risorsa rinnovabile e riproducibile e ritengo dovremmo considerare queste proiezioni con estrema attenzione. Prima che sia troppo tardi per pentirci di un danno irrecuperabile per l’intera nostra società. I giovani della Coldiretti lo hanno già compreso e chiedono di tutelare il suolo agricolo senza mezzi termini” conclude il coordinatore.
Insomma, il dibattito è complesso e non va semplificato a tutti i costi. Raggiungere la transizione energetica è la priorità se vogliamo continuare a godere del nostro paesaggio. Allo stesso tempo, c’è bisogno di ascoltare le esigenze locali e coinvolgere i territori. Tutti chiedono a gran voce un testo unico a livello ministeriale che dia tempi certi alle procedure e che sia in grado di rispondere alle esigenze della transizione configurando l’inserimento armonioso delle fonti rinnovabili nel paesaggio. Ma questo testo ancora non c’è. Fonte: LIFEGATE, Maurizio Bongioanni, 02.02.2022