Un business 50 miliardi di euro l’anno, quasi un terzo dell’economia illegale in Italia, 240 reati al giorno, e 350.000 agricoltori sotto scacco: ecco il business delle agromafie (vedi http://humus.cia.it).
Il fenomeno delle agromafie, fino a pochi anni fa concentrato soprattutto nelle regioni del Sud, ora si sta espandendo a macchia d’olio in tutt’Italia, Nord incluso, con un raggio d’azione che è sempre più ampio e dilatato. La lista dei reati perpetrati nelle campagne è lunga e ha un conto pesante: non ci sono solo i 14 miliardi l’anno delle agromafie in senso stretto, vanno aggiunti i 4,5 miliardi calcolati tra furti e rapine; e poi i 3,5 miliardi del racket e i 3 miliardi dell’usura; e ancora 1,5 miliardi per le truffe all’Unione Europea e 1 miliardo solo per la contraffazione alimentare in Italia; infine 1 miliardo per le macellazioni clandestine e quasi 20 miliardi di euro legati alle ecomafie tra abusivismo edilizio, discariche illegali e incendi boschivi dolosi.
Attraverso il controllo nelle campagne, le mafie cercano di incrementare i propri affari illeciti esercitando il controllo in tutta la filiera agroalimentare, dai campi agli scaffali del supermercato. Non c’è più in gioco solo il potere su un determinato territorio, la criminalità organizzata vuole far fruttare i patrimoni, introducendosi in quei comparti “anticrisi” che si stanno dimostrando sempre più determinanti per la ripresa dell’economia nazionale, come appunto l’agroalimentare.
Ciò che emerge, anche dal Rapporto Cia-Humus, è l’estensione e la ramificazione operativa dei clan interessati e i legami ormai consolidati tra cosche campane, calabresi, siciliane e pugliesi per poter meglio presidiare il settore su una scala di livello industriale. Un “presidio” che avviene tramite l’accaparramento dei terreni agricoli, l’intermediazione dei prodotti, il trasporto e lo stoccaggio fino all’acquisto e all’investimento in bar, ristoranti e centri commerciali. Gli effetti sono devastanti perché questa presenza mafiosa “strozza” il mercato, distrugge la concorrenza e instaura un controllo basato sulla paura e la coercizione. Le organizzazioni criminali, infatti, impongono i prezzi d’acquisto agli agricoltori, controllano la manovalanza degli immigrati con il caporalato, decidono i costi logistici e di transazione economica, utilizzano proprie ditte di trasporto, possiedono società di facchinaggio per il carico e scarico e arrivano fino alla tavola degli italiani, mettendo a rischio la salute dei cittadini e minando la credibilità dei prodotti italiani, con l’ingresso nella Gdo e nella ristorazione.
Ecco perché ora più che mai serve un forte impegno comune, azioni e strategie il più possibile condivise, per sconfiggere questa “piaga” che distrugge il tessuto sano e produttivo dell’imprenditoria italiana. Tenendo conto anche del fatto che l’agricoltura spesso mostra maggiori elementi di vulnerabilità, legati a quelle caratteristiche e inevitabili forme di “isolamento geografico” dei luoghi di lavoro e del livello di fragilità degli addetti.
Per questo oggi serve una sorta di “rete” per contrastare la criminalità organizzata: bisogna mettere insieme tutte le associazioni di categoria e instaurare un rapporto continuo e costruttivo con le istituzioni, con la magistratura e con le forze dell’ordine, a cui unire un cambiamento anche di carattere legislativo rendendo sempre più veloci ed efficienti le norme per l’assegnazione e il riutilizzo dei beni confiscati alla mafia. Solo così, colpendoli negli interessi economici è possibile debellare questo ‘cancro’ odioso che sta corrodendo sempre di più la nostra economia.