In fondo non ne usciremo migliori di prima, ma per qualcuno le abitudini gastronomiche cambieranno, e c’è da chiedersi quanto questo cambiamento inciderà sul nostro futuro
Sul britannico Guardian lʼeditorialista Andy Beckett ha scritto un articolo sul settore retail (commercio e vendita al dettaglio) e la sbronza consumistica in cui eravamo e siamo immersi ormai da molti anni. Le sue parole, che evidenziano come i lockdown che abbiamo vissuto sulla nostra pelle negli ultimi mesi potrebbero anche avere delle conseguenze di lungo corso (fin dal titolo si chiede: cosa succede se non siamo interessati a tornare nei negozi quando riaprono?), mi fanno riflettere sullo stesso tema applicato alla ristorazione. Facendo le dovute distinzioni, e tenendo presente che il bisogno di socialità a tavola è uno di quegli istinti primordiali difficili da scalfire, siamo così sicuri che una volta che tutto ciò ce lo saremo gettati alle spalle (un momento: succederà?) torneremo ad affollare i ristoranti nello stesso identico modo in cui lo facevamo prima di marzo 2020?
Ora, l’animale umano non è un soggetto incline a modificare radicalmente i propri istinti e le proprie abitudini nel giro di un calendario. Tant’è che alla favola del «ne usciremo migliori» ci abbiamo creduto il tempo di un paio di settimane, giusto come difesa intellettuale più o meno consapevole in opposizione all’umanità che cantava sui balconi. Epperò bisogna ammettere anche che non tutti gli animali umani sono uguali, e probabilmente su alcuni di questi esemplari il cambiamento potrebbe rimanere impresso addosso in modo indelebile. Più cucina di casa, minore disposizione all’uscita compulsiva e alla sbafata pantagruelica, per dire. Chissà, chi vivrà vedrà.
Fatta la premessa, questa settimana segnalo alcuni articoli che in qualche modo possono essere letti alla luce di questa oscillazione, quella tra un mondo che agogniamo recuperare e un mondo che perlomeno in parte saluteremo. Con due contributi finali che si staccano da quest’ottica per parlare di libri gastronomici che furono e della loro fortuna.
C’era una volta il bar – Rivista Studio, 9 marzo
Davide Coppo scrive a proposito dei bar e dei caffè, luoghi che hanno fatto la storia sociale, culturale e politica dell’Europa e che la pandemia ci ha crudelmente sottratto.
What Is the True Cost of Closing a Restaurant? – GrubStreet, 10 marzo
In questi mesi si è parlato molto di chiusure di ristoranti. Qui Mahira Rivers prova a spiegare cosa voglia dire davvero chiudere, tra costi economici e senso di fallimento personale.
Is the Pandemic CSA Boom Here to Stay? – Eater, 11 marzo
Tra le novità che i tempi pandemici hanno considerevolmente spinto in avanti c’è l’agricoltura di comunità, un po’ grazie al risorgere del localismo, un po’ per spinta comunitaria vera e propria. Bridget Shirvell si chiede se è un boom destinato a restare.
Hectar: in Francia nascerà la più grande scuola gratuita di formazione per agricoltori del mondo – Gambero Rosso, 10 marzo
Per mano di un super-ricco ispirato in Francia sta per nascere una scuola (gratuita!) di agricoltura, si spera, come pare probabile, votata alla sostenibilità ambientale. Ne scrive Livia Montagnoli.
How Marco Pierre White’s White Heat launched a culinary revolution – The Guardian, 7 marzo
Jay Rayner sull’importanza rivoluzionaria che White Heat ha avuto per la cucina mondiale.
A Merchant, a Cookbook, a New Nation of Italy – Whetstone Magazine, 8 marzo
Pellegrino Artusi visto da fuori, nelle parole di Nam Cheah.
Fonte: Linkiesta, Gabriele Rosso, 14.03.2021