Libera (con Agricoltori Cia) in prima fila in progetti di rilancio delle terre confiscate, ma le agromafie, dice Coldiretti, valgono 24,5 miliardi
Passata da tempo in secondo piano, almeno in termini mediatici, la lotta alla mafia resta, fortunatamente, un caposaldo di tante realtà associative italiane, che della resistenza culturale, sociale ed economica alla mafia, alla camorra e alla ’ndrangheta hanno fatto una ragione di vita. Tra cui spicca Libera, l’associazione fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti, diventata una rete di cooperative, movimenti, semplici gruppi di persone che, in tutta Italia, hanno deciso di costruire la propria resistenza sulla terra, o meglio sulle terre, quelle confiscate alle mafie e diventate l’occasione per la ricostruzione e la riscossa di interi territori. Del resto, se i beni confiscati oggi vengono assegnati a progetti di natura sociale, è anche merito di Libera, che fin dalla sua nascita si fece promotrice della lega grazie alla quale oggi in tutta Italia si contano 650 associazioni e cooperative assegnatarie di beni, che si occupano di inclusione e servizi alle persone, di reinserimento lavorativo, di formazione e aggregazione giovanile, di rigenerazione urbana e culturale, di accompagnamento alle vittime e ai loro familiari.
L’agricoltura, in questo senso, ha un ruolo fondamentale, perché le terre confiscate, come dicevamo, tornano a produrre frutti per la collettività e offrono occasioni di lavoro e riscatto sociale ai giovani, promuovendo modelli efficaci di sviluppo sociale. Anche grazie alla partnership con la Cia – Agricoltori Italiani, che dura da dieci anni e, dopo l’accordo raggiunto tra le due associazioni, continuerà per i prossimi tre, Cia metta a disposizione, tramite le proprie attività, consulenza e assistenza tecnica in modo da fornire un valido supporto alle realtà sociali della rete nazionale di Libera Terra, con l’obiettivo comune della memoria delle vittime innocenti delle mafie e della proposta, ripartendo dall’agricoltura di un modello di sviluppo alternativo alla logica del sopruso e del ricatto, che dimostrare come ciò che le mafie e la corruzione hanno sottratto alla collettività, con la sopraffazione e la violenza, possa essere restituito alla comunità per creare, attraverso il lavoro sui terreni agricoli “liberati”.
Una vera e propria guerra quotidiana, che si arricchisce ogni giorno di un nuovo capitolo, a volte positivo, altre meno. Così, se i 19 arresti effettuati ieri dalla Polizia e dall’Fbi, tra Palermo e New York, nell’Operazione “New Connection”, hanno dato un colpo importante al clan italoamericano dei Gambino, è bene ricordare, come fa a ragione la Coldiretti, quanto sia diventato pesante, ormai il peso delle agromafie. Mettendo le mani sulle forniture alimentari – ricorda la Coldiretti – la malavita si infiltrai in modo capillare nella società civile, condizionando la vita quotidiana della persone e affermando il proprio controllo sul territorio con il business delle agromafie, che ha raggiunto il valore di 24,5 miliardi di euro. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione le agromafie impongono la vendita di determinate prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente grazie alle disponibilità di capitali ottenuti con il commercio della droga. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio made in Italy. I poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura, carne e pesce, devono compiere per raggiungere le tavole degli italiani passando per alcuni grandi mercati di scambio fino alla grande distribuzione. Fonte: WineNews, 17.07.2019