Omar Pedrini nell’incontro con il “gigante” Gino Veronelli. “Nel rapporto con la terra e con i contadini è stato un visionario, spero che il suo esempio non venga travolto dalla quotidianità”
“Il mio buen retiro, dove faccio il mio vino è in Toscana, a Cetona, dove negli anni Novanta, con mio padre, comprai una tenuta, dove decidemmo di piantare tanti ulivi che ci danno un olio che Veronelli definiva “olio del mio privilegio”, e la vite, ma non lo vendo, non faccio business, il senso del mio essere produttore è esclusivamente quello della condivisione, e se passate, vi offro sempre un bicchiere di vino ed una bruschetta”. A WineNews, il rocker, cantautore e presentatore Omar Pedrini, che dall’incontro con Veronelli, negli anni Novanta, ha scoperto la poesia del vino, scegliendo la campagna toscana e la sua terra, con gli olivi e le viti, ma senza fini di lucro.
“Nel mio libro “Angelo Ribelle” – riprende Omar Pedrini – ho scritto un capitolo sul mio incontro con Veronelli: è uno dei giganti sulle cui spalle ho avuto la fortuna di camminare, per una decina di anni. Per raccontarlo ai più giovani ricordo sempre come prima di lui i vini si dividessero essenzialmente in bianchi e rossi. Poi è arrivato lui. Questo per far capire la distanza che Veronelli è stato capace di accorciare, con la Francia, in termini di enologia. Del resto, l’Italia nell’antichità era Enotria, ossia la terra del vino. Con Gino ho imparato ad amare la poesia nel vino: se dovessi scegliere un simbolo del mondo contadino e della terra sarebbe il suo “Terra, terra, terra, fortissimamente terra”, lo slogan che mi ha istillato nel sangue Veronelli e che io cerco di portare avanti. Nel rapporto con i contadini e con la terra – dice il rocker – è stato un visionario, lo Steve Jobs di quei tempi, perché già nei primi anni Settanta chiedeva ai ristoratori come fare il vino, andava dai contadini, in Toscana, Piemonte e Friuli, a dire di rinunciare alla quantità per fare un vino più buono, prendendosi le maledizioni dei contadini: nel dire ad un produttore dell’epoca di buttare via l’uva per fare un vino migliore ci sia tutto Gino, la sua sensibilità, la sua poesia, il suo amore per gli uomini, la sua umanità. Che, in una società disumana come quella di oggi, spero non venga dimenticata e travolta dal quotidiano”.
Decisamente migliorata, invece, la comunicazione del vino, che “oggi credo sia addirittura paragonabile a quella dell’arte, o della musica: posti come le Langhe, o la Toscana, acquisiscono una sorta di meta significato anche solo attraverso la loro bellezza. E mi piace che la massa si muova verso il vino, non sono snob, non importa, come lamentano molti colleghi enofili, che sia una moda, perché questo crea qualità, business e migliorie per tutti, per cui non serve essere snob. Stiamo colmando ancora il gap che abbiamo accumulato rispetto alla Francia, toccando il momento più basso con lo scandalo del vino al metanolo, quando anzi scavammo oltre il fondo. Alla fine – conclude Omar Pedrini – è stato il primo passo verso la rinascita del vino italiano, guidata da grandi produttori ed intellettuali come Veronelli, e oggi possiamo competere a testa alta con i francesi, tornando ad essere una guida per tutti nel mondo dell’enologia”. Fonte: WineNews, 7.07.2019