Sostegno alle Ong e raccolte fondi: con l’uscita definitiva degli americani dal Paese, la popolazione femminile risprofonda nell’incubo della violenza e discriminazione – I marchi occidentali cercano di fare la loro parte
Il ritiro delle forze americane dall’Afghanistan è stato completato, come da tabella di marcia annunciata dal presidente Joe Biden mesi fa, sulla scia degli accordi firmati con i talebani a Doha all’inizio del 2020 dall’allora presidente Donald Trump. L’Afghanistan, possiamo dire, semplificando, dal nostro confortevole mondo occidentale, risprofonda nell’incubo della dittatura e della violenza sui civili. I talebani hanno escluso categoricamente che la democrazia sia una forma di governo adatta al Paese, ma hanno anche fatto intendere, quasi promesso, che desiderano la pace per tutti gli afghani e che alle donne verranno fatto alcune concessioni. Tutte affermazioni difficilissime da verificare, ma le informazioni che arrivano in questi giorni non fanno presagire alcunché di buono per tutti gli abitanti del Paese che non siano in buoni rapporti con i talebani e in particolare, ripetiamo, per le donne di ogni età.
Ognuno può (forse deve) fare la sua parte
Cosa possiamo fare noi occidentali? Come giornalisti, molto poco, anche perché sono sempre meno i cronisti e fotografi che hanno trovato il modo – di fatto a loro rischio e pericolo – di restare a Kabul o in altre città dell’Afghanistan. Come cittadini, possiamo individuare persone o organizzazioni che sono ancora presenti nel Paese o che hanno collaudati modi per aiutare. Si pensi prima di tutto ad Alberto Cairo, che ogni giorno su Repubblica pubblica il suo Diario da Kabul: le “istantanee” del responsabile del Programma di riabilitazione fisica del Comitato internazionale della Croce Rossa in Afghanistan valgono almeno quanto i lunghi reportage costruiti, sicuramente con fatica, dagli inviati, ma nei Paesi vicini. Cairo è in Afghanistan dal 1990 e ha dichiarato che da Kabul non si muoverà.
Le iniziative delle aziende della moda
Come negli anni passati, quando sembrava che alcuni processi di liberazione delle donne si fossero se non altro avviati, molte aziende italiane hanno deciso di sostenere e anzi moltiplicare i loro sforzi. Da ieri nei negozi di Coin, la più diffusa catena italiana di department store, viene promossa una raccolta fondi a favore delle donne afghane. Inoltre, per ogni acquisto effettuato sull’e-boutique www.coin.it, Coin devolverà un euro alla Fondazione Pangea Onlus, che dal 2003 opera in Afghanistan con l’obiettivo di rendere le donne il perno dello sviluppo della società, per dare un aiuto concreto e per non dimenticare tutte le afghane e i loro bambini. Yamamay ha scelto una partnership con l’Unhcr e “convertito” la campagna di celebrazione dei 20 anni del marchio in una campagna di sensibilizzazione su quello che sta succedendo in Afghanistan.
Gagliardi (Coin): «Sempre al fianco delle donne»
«Coin è sempre dalla parte delle donne, non possiamo permetterci di stare a guardare inermi quanto sta accadendo in Afghanistan– spiega Monica Gagliardi, direttore marketing e digital transformation di Coin –. Con una call to action a tutti i nostri clienti e con il nostro impegno intendiamo contribuire a sostenere le attività di Pangea in Afghanistan e a fare in modo che non venga disperso quanto di buono è stato realizzato negli anni grazie alla volontà di donne coraggiose che hanno tentato con tutte le loro forze di cambiare il loro mondo. Dopo Petalo Bianco, lo sportello antiviolenza che Coin ha lanciato la scorsa primavera che si svilupperà ulteriormente nei prossimi mesi – ha aggiunto Monica Gagliardi – con il supporto a Pangea vogliamo continuare a stare al fianco delle donne che stanno affrontando situazioni emergenziali personali o sociali.”
L’impegno di Yamamay
Il marchio di abbigliamento intimo e beachwear e azienda fondati nel 2001 da Gianluigi Cimmino, ha deciso di sostituire la campagna di comunicazione prevista per l’anniversario dei 20 anni con una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi battezzata “Per le donne, con le donne”. Yamamay si è inoltre unita all’ Unhcr (l’agenzia Onu per i rifugiati) per dare un supporto concreto al popolo afghano, per aiutare a fornire beni di prima necessità e salvavita, kit igienici e sanitari. In particolare Yamamay sosterrà il programma dell’Unhacr “Welcome. Working for refugee integration”, un programma a lungo termine che favorisce l’integrazione di rifugiati e rifugiate nel mercato del lavoro. Yamamay offrirà infatti a un gruppo di rifugiati e rifugiate la possibilità di intraprendere nei prossimi mesi un percorso lavorativo all’interno dell’azienda e dei propri negozi. Fonte: Il Sole 24 Ore, Giulia Crivelli, 31.07.2021