#iorestoacasa …ma… #restoumano
Abbiamo iniziato in ritardo a misurarci con la necessità di un pensiero capace di cogliere la complessità imposta dallo sconquasso che il cambiamento climatico ha disseminato sui giusti e sugli ingiusti, quando un’ennesima ulteriore emergenza si assomma alle altre: la diffusione globale di un nuovo micidiale virus.
Micidiale nella sua velocità di propagazione quanto incurante, al pari dei mutamenti climatici, di frontiere e confini, di classi sociali e status economici. Ugualmente inflessibile nell’acuire le sofferenze dei deboli ed esasperare le differenze sociali, premiando coloro i quali hanno opzioni diverse a disposizione e maggiori chance di ‘sfangarla’.
Entrambe le ‘tempeste’ mettono impietosamente a nudo le fragilità, le vulnerabilità, le incongruenze del sistema. Preparano la ‘tempesta perfetta’ che gli ‘uomini grigi’ della Borsa temono e attendono in tempi brevi, un nuovo tracollo che, posta la “supremazia del fatturato” (G. Mazza, pubblicitario), devasterà le economie basate sul mito della crescita continua sull’altare del PIL.
Un pensiero lungo. Fatica ad emergere nello scombussolamento dell’emergenza un pensiero critico, quel ripensamento profondo a cui tutte le crisi dovrebbero accompagnarsi. “La creatività nasce dall’angoscia come il giorno dalla notte oscura…è nella crisi che sorgono scoperte, invenzioni, grandi strategie”, ma parimenti “non si possono risolvere problemi nuovi con formule vecchie” (A. Einstein).
La fragilità di questo sistema di estrazione/produzione-trasformazione-distribuzione-consumo di cibo non pare essere in discussione. Tantomeno i devastanti fenomeni che le sono connesse: perdita esponenziale di ambienti e biodiversità, conurbazione di massa e abbandono al dissesto di intere aree interne/montane/periferiche, restringimento delle opzioni alimentari concentrate in modo inarrestabile su un ristretto pool di scelte.
Fenomeni che, a detta di innumerevoli scienziati, stanno a capo degli sconvolgimenti climatici e brodo di coltura per nuove patologie e pandemie.
Fenomeni figli anche della competizione planetaria per le risorse che provoca disastri umanitari e ambientali sui quali chiudiamo volentieri gli occhi. Il virus della cecità per convenienza è ben più micidiale ed esteso di quello di Sars e Covid. I milioni di profughi del conflitto siriano in fuga dallo scontro tra un sultano e uno zar, nostri abituali partner e soci in affari, premono alle nostre frontiere in cerca di una speranza. Seguono traiettorie geografiche diverse ma fuggono da drammi omologhi e si trovano preda di predoni identici a quelli libici. Anche questi nostri interlocutori politici e partner economici, anche a loro destiniamo l’antico adagio… ‘pecunia non olet’. E il lavoro sporco meglio farlo fare a terzi. A profughi africani o asiatici non resta che acquisire la consapevolezza che nei loro confronti muri, confini e fili spinati sono tuttora funzionali e funzionanti. E se non bastassero ci pensano il piombo e il mare ‘monstrum’ a fare il resto.
Un fondamentale passo nel futuro, perché “…chi supera la crisi, supera sé stesso senza esser superato…” (ibidem), è assumere per davvero la consapevolezza che siamo un’unica comunità globale. Siamo tutti a bordo di quella navicella a forma di ‘arancia blu’ che viaggia nello spazio interplanetario, dalla quale non possiamo scendere o far scendere qualcuno ma che possiamo abitare vivendo e praticando “il tempo della solidarietà non più della competizione” (C. Petrini).
Un pensiero istantaneo. Ci viene chiesto dalla comunità scientifica e dalle Istituzioni il sacrificio di…stare in casa. Il necessario distanziamento sociale è l’unica opportunità che abbiamo, almeno per qualche settimana o mese, per arrestare la perniciosa diffusione del virus.
Ci è chiesto ben poco, ad altre generazioni, altroquando sono stati richiesti sacrifici ben più eroici e drastici. Ci tocca un rispetto responsabile ed attivo delle direttive emesse. Quindici giorni di “ferie agostane anticipate e obbligate” (G. Gori, Sindaco di BG) per provare a rallentare una diffusione che può mettere in ginocchio un sistema sanitario, a cominciare dalle aree in cui è più efficace ed efficiente, portando ad una situazione che sarebbe tragica per quelle fasce ‘deboli’ della popolazione che non avrebbero chance, e avrebbe effetti incontrollabili su un’escalation dagli esiti imprevedibili.
Una quarantena, forse tardiva, ma che può far, comunque, la differenza. L’autodisciplina cinese ci è stata monito tangibile e concreto di quanto sia necessaria, non impossibile e garanzia di successo. La resistenza di certa parte della popolazione, non solo in aree geografiche ‘lontane’ dal contagio, ad assumere comportamenti all’altezza del rischio induce qualche preoccupazione.
Poiché, invece, come mi ricorda un caro amico architetto e pedalatore, “la bellezza non chiude mai”, il ‘distanziamento sociale’ può suscitare occasioni e opportunità per vivere in modo nuovo e diverso spazi ed affetti, per facilitare la frequentazione di luoghi aperti o a ‘bassa intensità umana’, per abituare a nuove frugalità nei consumi e opportuna compressione della coazione a muoversi, segnatamente con mezzi a combustione.
Abbiamo bisogno, soprattutto, di azioni esemplari e input positivi. Consci del fatto che il ‘pensiero lungo’ ci suggerisce di elaborare soluzioni di lungo respiro e impatto profondo, a cui tutti siamo chiamati quali attori di quell’unica comunità globale, se vogliamo pensare a soluzioni valide nel tempo dobbiamo predisporci e prepararci ad uno scenario mutato. Niente sarà più come prima, se non vogliamo rivivere con la accresciuta angoscia riedizioni peggiorative dei disastri che ci stanno affliggendo.
Abbiamo un Paese da preservare da una catastrofe economica e sociale, un Paese da mettere in quarantena ma da preparare sin d’ora alla ripartenza, alla rinascita, guardando anche all’immediato, e al medio periodo. Dialogando con i nostri ristoratori e chef dell’Alleanza Slow Food di Lombardia abbiamo condiviso l’urgenza che essi hanno scelto di anteporre il benessere comune, ovvero la sua massima preservazione possibile, al bisogno di fare cassa. La chiusura di bar, ristoranti e pizzerie rappresenta una sofferta ma coraggiosa rinuncia a mantenere anche una quota minima di reddito per i gestori, induce un grosso sacrificio ai dipendenti, obbliga a una privazione i fornitori, chiede ad avventori e clienti una piccola astensione da momenti conviviali collettivi, per qualche tempo.
Ma, ricorda Davide Oldani, offre l’opportunità di “riappropriarsi delle bellezze della quotidianità” e di frequentare il “silenzio, che è un luogo bellissimo”.
Propone a tutti una riflessione sul futuro, in vista della riapertura delle attività, per ripartire su nuove e più solide basi. Per attrezzarsi al sostegno di scelte improntate al rilancio di filiere ed economie locali, comunitarie e di territorio che saranno il volano per ‘riaccendere motori a ridotto consumo di energia fossile’, per attivare catene distributive amiche dei produttori primari e dell’ambiente, per proseguire ad irrobustire questa Comunità degli chef, ristoratori e pizzaioli dell’Alleanza che deve essere una vera e propria comunità. Lorenzo e Gigliola