Dai ristoranti stellati dove l’abbinamento è ancora subordinato alla centralità del cibo, ai wine bar dove la scoperta di etichette fuori dal mainstrem ha la priorità assoluta
Nessuno di noi ha vissuto i tempi in cui il vino era considerato un alimento, consumato per lo più a casa o nelle locande. In seguito alla rivoluzione enologica degli anni Ottanta, il nettare di Bacco si è arricchito di nuove valenze, è diventato una fonte di piacere, un prodotto culturale, addirittura un bene di lusso. Oggi rappresenta un’esperienza a tutto tondo, capace di legare sapore, conoscenza e socialità, e alla portata di tutti, grazie al proliferare di corsi, eventi, degustazioni. Il contesto che associamo in prima battuta all’assaggio del vino, comunque, rimane il ristorante, per via delle allettanti possibilità di abbinamento con il cibo. Siamo portati a pensare che, più alto è il livello della ristorazione, più pregnante sarà il suo ruolo all’interno del percorso gustativo. In realtà, i celebrati locali stellati, capaci di dettare lo stile culinario di un’epoca, non sempre sono altrettanto incisivi sotto l’aspetto enoico. In questi luoghi d’élite, il pasto diventa un rito assoluto, mentre il vino è soltanto un co-protagonista. Le loro spettacolari cantine, caveau straripanti delle migliori etichette in circolazione, incutono quasi soggezione, tra ricarichi stellari e annate preistoriche. Il cliente non è invogliato alla scelta di una bottiglia importante. Così, complice la creatività della cucina, la formula della degustazione al calice, stabilita a priori dal sommelier e subordinata ai piatti, va per la maggiore. Paradossalmente, nei nuovi santuari della gastronomia l’esperienza del vino esce un po’ penalizzata.
Lasciate le stelle, sulla terra le cose cambiano. Nella maggior parte dei ristoranti, la consultazione della carta dei vini è il naturale completamento della lettura del menù, e, per gli appassionati, un motivo in più per scegliere un locale piuttosto che un altro. Tra l’altro, persino in un paese conservatore (enologicamente parlando) come l’Italia, gli steccati tradizionali, che relegavano i vini bianchi nei ristoranti di pesce, i rossi nelle steakhouse… stanno crollando sotto la spinta della curiosità a sperimentare accostamenti inediti. A proposito di arditezza, che cosa abbinereste al pad thai o al chicken tandoori? Senza dubbio, tra le sfide che attendono le aziende vinicole va annoverata la travolgente avanzata delle cucine etniche. Nelle città italiane, le loro insegne appariscenti ammantano le notti di nuove fragranze, e sollecitano a domandarsi quale potrà essere lo spazio del vino in una dimensione sensoriale tanto frastagliata. Per ora, nessuno ci ha ancora consigliato un sushi bar per la sua carta dei vini, ma, al di là delle mode, la galassia degli etnici va guardata con interesse, perché non è detto che, in futuro, il consumo dei nettari di qualità passi (anche) da lì.
Un’interessante chiave di lettura dell’esperienza enologica è fornita dalle trattorie, che vedono il trionfo della territorialità, nel piatto così come nel bicchiere. In un’osteria piemontese o siciliana (che, beninteso, potrebbe trovarsi anche a Roma o a Milano), in linea di principio ci indirizzeremo verso le bottiglie di un’azienda regionale: il vino, insomma, sposa gli aromi delle ricette locali. Così cucina e cantina trovano un punto di equilibrio ideale, l’una non ha la pretesa di scavalcare l’altra, entrambe si sostengono e si esaltano a vicenda. I ricarichi ragionevoli consentono, specie se si è in compagnia, di sbizzarrirsi con le etichette, rafforzando il momento conviviale. Amiamo le trattorie, espressione dello straordinario patrimonio di materie prime, vitigni e tradizioni del Belpaese.
Forse, però, il piacere del vino, col suo corredo di socialità, trova il suo apice nei wine bar, evoluzione concettuale dei locali di mescita avvenuta sulla scia del rinascimento enologico. Dove prima si andava per bere un bicchiere di sfuso, hanno fatto la loro comparsa schiere di nomi e denominazioni, e il mondo è cambiato. Quanti successi sono stati lanciati da questi chiassosi banconi, dalla Ribolla ai bianchi siciliani, dal Montepulciano al Negroamaro, per non parlare delle “bollicine”, che alle moderne vinerie devono la loro popolarità di massa! I gestori, spesso giovani e preparati, hanno un ruolo importante, guidano le scelte degli avventori e definiscono la politica del locale, decidendo, ad esempio, di puntare sui vini naturali o di non proporre certe tipologie mainstream… In un wine bar si va per degustare il vino, a nessuno interessa davvero il cibo, anche se l’ultima tendenza prevede assaggini di ogni sorta, sulla falsariga delle tapas spagnole. Bacco occupa il centro della scena, con lunghi elenchi di proposte al calice, per avvincenti escursioni in ogni angolo del pianeta.
Infine, il vino può essere consumato a casa propria. Un’esperienza all’antica, è vero, che oggi si può vivere con consapevolezza e possibilità di scelta infinitamente superiori rispetto al passato. Tra le mura domestiche, si è liberi di bilanciare cibo e vino a piacimento, e si può anche selezionare la musica di sottofondo. Cheers! Fonte: laRepubblica, ILGUSTO, Joe Bastianich e Tiziano Gaia.24.09.2023