Paola Profeta, professoressa di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi spiega nel suo libro “Parità di genere e politiche pubbliche” (Egea) l’importanza dei ruoli riservati alle donne nei luoghi di lavoro: «Senza uno strumento di questo tipo sarebbe difficile arrivare a un nuovo equilibrio spontaneamente»
Nonostante i progressi degli ultimi decenni, la strada verso la realizzazione della parità di genere in Italia e in Europa è ancora lunga e ha risentito del rallentamento degli ultimi anni. Gli uomini continuano a occupare la maggior parte delle posizioni apicali in ambito economico quanto politico, riproducendo il fenomeno del cosiddetto soffitto di cristallo. Tale scenario è stato poi aggravato dalla pandemia da Covid-19, che ha colpito principalmente le donne indebolendo ulteriormente i risultati finora raggiunti.
Queste dinamiche sono al centro dell’ultimo libro di Paola Profeta, professoressa di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi di Milano e Direttrice di AXA Research Lab on Gender Equality presso lo stesso Ateneo. “Parità di genere e politiche pubbliche – Misurare il progresso in Europa” (Egea) presenta un’analisi comparativa delle politiche di genere in Europa e dei risultati raggiunti nell’implementazione dell’uguaglianza tra i sessi oltre a evidenziare l’impatto della presenza delle donne nelle posizioni apicali nel mondo del lavoro e della politica.
Partiamo dal titolo del libro. Perché proprio le politiche pubbliche sono così importanti per la parità di genere?
Nei contesti dove le politiche pubbliche non sono molto attive è più difficile raggiungere la parità, mentre è più facile dove questa attenzione c’è. Molto dipende anche dal contesto culturale e dalla situazione generale del Paese preso in esame, ma le politiche stesse sono promosse più facilmente proprio dove c’è una leadership femminile e un contesto più favorevole alla parità di genere.
Lei nel libro parla delle quote di genere, una misura che ha fatto molto discutere al momento della sua introduzione.
Quello delle quote è un tema molto controverso che ha diviso anche gli esperti. Dalle analisi però viene fuori che l’introduzione di questo strumento rappresenta un meccanismo per rompere l’equilibrio a dominanza maschile. Basti pensare che quando sono state introdotte le quote, i consigli di amministrazione delle aziende erano per il 95 per cento a presenza maschile. Senza uno strumento e una forzatura di questo tipo sarebbe difficile arrivare a un nuovo equilibrio spontaneamente. Le quote rompono uno status quo che non è equo né efficiente perché in una situazione dominata in modo così sproporzionato dagli uomini vengono lasciati fuori i talenti femminili che sono portatori di valore. Tra l’altro vuol dire mettere da parte la metà della popolazione.
Secondo lei una maggiore parità di genere avrebbe effetti positivi sulla società nel suo complesso. Un concetto semplice, ma perché è così difficile da far passare?
Perché ci sono equilibri consolidati e imperniati sulla leadership maschile che sono molto difficili da rimuovere. Il contesto non è favorevole, in Europa ma soprattutto in Italia. Parliamo di equilibri radicati dal punto di vista culturale e storico. È difficile che cambino da soli: servono degli shock dall’esterno che accelerino il cambiamento, altrimenti ci vorranno ancora tantissimi anni per arrivare alla parità di genere. Non è solo una questione di giustizia nei confronti delle donne, ma anche di guadagno in termini di crescita economica e di sviluppo della società.
Che strumenti si possono usare per cambiare lo status quo?
Prima di tutto le politiche pubbliche con l’introduzione delle quote di genere, ma anche dei congedi di paternità che portino l’uomo a essere maggiormente coinvolto nella sfera del lavoro di cura e della casa. In questo modo abbiamo una piccola svolta perché si va verso una parità che comincia in casa per poi trasferirsi sul mondo del lavoro. C’è poi il tema dei servizi, degli asili nido e delle politiche a favore dei servizi per la prima infanzia che, agevolando le famiglie, mettono la coppia in condizione di avere figli anche se entrambi lavorano. C’è bisogno di investire in questa direzione e uno dei temi innovativi del libro è che una leadership femminile o bilanciata per genere in questo caso aiuta.
I fondi del NextGenerationEu possono essere usati per promuovere la parità di genere?
L’uguaglianza di genere è un tema che è stato posto come trasversale del NextGenerationEu: ci saranno dei fondi specifici per l’occupazione femminile, ma tutti i programmi di investimento dovranno essere valutati con una prospettiva di genere. Il rischio altrimenti sarebbe quello di tradurre gli investimenti in risorse solo per gli uomini.
Il Covid tra l’altro ha avuto effetti negativi soprattutto sulle donne.
Sì, infatti si parla di she-cession, di recessione al femminile. In Italia i dati dell’Istat sono allarmanti: nel solo mese di dicembre il 99 per cento dei posti di lavoro persi sono stati quelli delle donne, con un forte calo dell’occupazione femminile. Ciò ha due cause fondamentali: prima di tutto il Covid sta colpendo settori in cui le donne sono fortemente impiegate ed è quindi una crisi diversa da quella del 2008 che aveva interessato ambiti a prevalenza maschile; in secondo luogo la pandemia impone dei costi sulle famiglie che, data l’organizzazione della nostra società, non vengono ripartiti in modo equo tra uomini e donne, addossando su queste ultime la maggior parte del lavoro extra.
Il Covid però ha fatto anche emergere l’importanza della leadership femminile.
Possiamo vedere che i Paesi guidati da donne si sono dimostrati più decisi ed efficaci nel combattere la pandemia. C’è un meccanismo virtuoso per cui leadership femminile vuol dire affrontare in maniera più neutra questi problemi.
Nel libro, lei specifica che lo smartworking può essere utile per le politiche di genere. Come?
Quello della pandemia non è esattamente uno smartworking puro. Il vero lavoro flessibile comporta un’alternanza dei periodi di presenza e di lavoro a distanza e una certa flessibilità dei tempi. Lo smartworking di per sé è utile perché nella sua versione più pura – che potremmo adottare dopo l’emergenza – facilita il bilanciamento tra vita lavorativa e personale e include maggiormente gli uomini nelle attività domestiche e familiari. Se però questo strumento venisse utilizzato solo dalle donne non ci sarebbe nessun vantaggio, ma anzi si trasformerebbe in una nuova forma di ghettizzazione del lavoro femminile. Fonte: Linkiesta, Futura D’Aprile, foto Unsplash, 8.03.2021