Negli ultimi decenni si sono fatte spazio varietà di taglia inferiore, più precoci e soprattutto le Clearfield, resistenti ad alcuni erbicidi. Forme e i sapori sono rimasti però gli stessi, confermando l’Italia primo produttore europeo
Arborio, Carnaroli, Venere, Vialone Nano, Baldo. Sono solo le punte dell’iceberg: ce n’è per tutti i gusti ed è in grado di soddisfare anche le esigenze delle diverse tradizioni culinarie regionali. Il riso italiano gode di ottima salute e lo ha certificato una recente ricerca che il Crea ha condotto insieme all’università di Milano. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, ha descritto le 351 varietà di riso costituite dal 1850 a oggi. Questa ricostruzione storica ha consentito di capire come l’evoluzione degli ultimi decenni abbia influito sia sul modo di coltivarlo che sulla forma stessa dei chicchi.
“È emersa una chiara tendenza nella selezione di varietà a taglia ridotta e con ciclo di coltivazione sempre più breve, con conseguente riduzione di biodiversità“, spiega a National Geographic Luigi Tamborini del Crea, uno degli autori dello studio. La tendenza che ha portato a piante sempre più basse è legata all’utilizzo di mietitrebbiatrici meccaniche, che funzionano meglio con fusti più ridotti, ma molto ha influito anche la lotta alle infestanti.
Questo, però, non significa che in Italia si coltivi solo una manciata di varietà. A oggi sono circa 200 quelle iscritte al catalogo nazionale e 132 quelle effettivamente coltivate lungo lo stivale, dal Vercellese fino alla piana di Sibari. Un aspetto persino più incoraggiante, segnala ancora Tamborini, è il fatto che ogni anno vengano introdotte 15-20 nuove varietà per venire incontro non solo alle esigenze del mercato ma anche a quelle dell’agricoltura.
Come sanno bene gli chef e i grandi appassionati, ogni riso ha le sue caratteristiche e si presta a usi diversi in cucina. Una recente legge lo ha riclassificato in quattro categorie.
Tondo. I più famosi sono il Selenio, il Centauro, il Balilla e il Sole CL, si tratta di risi adatti alla minestre, ai timballi, alle farine o alla produzione di riso soffiato perché assorbono e crescono molto durante la cottura.
Medio. (ad esempio il Vialone Nano e il Venere).
Lungo A. Qui troviamo i “re” dei risotti Carnaroli e Arborio dalla forma più grossa e arrotondata, oltre a Volano, Baldo e Cammeo, ma anche varietà usate per la parbolizzazione, un processo che porta i chicchi ad assumere un aspetto lucido, ambrato e soprattutto li rende molto resistenti allo spappolamento anche dopo la cottura, una caratteristica che li rende perfetti per le grandi cucine e le mense.
Lungo B. Tra questi, il Gladio, Mare Cl e Sirio Cl. Nomi che a un consumatore italiano dicono poco per due motivi: fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso queste varietà (adatte alle insalate di riso) non erano mai state coltivate e oggi vengono principalmente esportate.
La legge, che dopo circa 60 anni ha rimesso mano alla denominazione legale del riso, prevede che sulle confezioni debba comparire una delle quattro diciture nello stesso campo visivo di dov’è indicata la quantità netta. A meno che il riso non appartenga a una delle varietà storiche e note pressoché a tutti che sono Carnaroli, Arborio, Ribe, Vialone Nano, Roma e S. Andrea: in questi casi il nome della varietà potrà sostituire la categoria.
L’Italia è il più importante produttore di riso in Europa. E anche uno dei più aperti alle novità: nel 2005 il nostro è stato infatti il primo paese a introdurre una varietà Clearfield dagli Stati Uniti. Sono varietà resistenti a una molecola erbicida che altrimenti agirebbe anche sulla stessa pianta del riso. “Questo permette di poter utilizzare l’erbicida anche nelle prime fasi di sviluppo del riso – specifica Tamborini – controllando sia il riso crodo, una pianta infestante e una delle principali avversità della coltura, sia molte altre infestanti, garantendo così un vantaggio competitivo alla coltura nei confronti delle malerbe e riducendo potenzialmente il numero di interventi di diserbo necessari“.
Oggi il 37% degli oltre 220.000 ettari coltivati a riso sono stati convertiti a Clearfield, che ha “conquistato” tutte le quattro tipologie. Un esempio su tutti: il riso Gladio. Nel primo decennio degli anni Duemila era il più coltivato in Italia, ma a partire dal 2011 è stato via via sostituito da varietà Clearfield dello stesso tipo. Il miglioramento genetico continua ad avanzare, di pari passo con cambiamento climatico e lotta a parassiti e infestanti.
Eppure nelle risaie italiane continuano a crescere risi selezionati nei primi decenni del Novecento ancora molto apprezzati dagli italiani per il loro gusto. Ecco perché Tamborini non si dice preoccupato se la variabilità genetica è in diminuzione: “Non credo esista un reale pericolo nell’ambiente risicolo italiano. Se si considera l’innalzamento delle temperature previsto dai cambiamenti climatici in atto, è disponibile un’ampia scelta di varietà che possono essere utili anche in futuro“.
Il lavoro fatto negli ultimi anni, nei laboratori così come nelle risaie, è stato fondamentale per continuare ad adattare il nostro riso ai cambiamenti climatici e all’arrivo di nuovi funghi o parassiti. Tutto questo, senza però modificare sapori e forme che fanno ormai parte del nostro patrimonio culinario. Fonte: National Geographic, Federico Formica, 12.12.2018