Clothianidin, imidacloprid e thiamethoxam – ovvero gli insetticidi neonicotinoidi più venduti al mondo – da soli dominano l’85% del mercato, per un totale di 2.236 milioni di dollari americani nel 2009. Sulla loro dannosità per le api e gli insetti impollinatori l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) si è espressa non molto tempo fa, nel gennaio di quest’anno, evidenziando come essi rappresentino una grave minaccia per la sopravvivenza delle colonie d’api. Più di ogni altro studio scientifico di ricercatori pubblici e indipendenti e più d’ogni denuncia precedentemente espressa dalle associazioni di apicoltori in Italia, come l’Unaapi, e in Europa, come lo European Beekeeping Coordination e da molte organizzazioni tra cui anche Slow Food, questo studio ha innescato un vero terremoto rispetto ai caposaldi regolatori dell’uso e abuso di chimica in agricoltura. Con consultazioni tra gli Stati membri e ben due votazioni, la prima il 15 marzo scorso e la seconda il 29 aprile.
Il risultato finale è soddisfacente soltanto in parte: 15 stati membri hanno votato infatti a favore del bando – tra cui a sorpresa la Germania, che in precedenza figurava tra i sostenitori di questi insetticidi sistemici –, 4 si sono astenuti, e 8 hanno votato contro la sospensione. Che tra questi ultimi figuri la Gran Bretagna stupisce poco, visto che da sempre la sua posizione è stata pro chimica, mentre il vero colpo di scena, in negativo, viene dall’Italia, che inspiegabilmente ha ribaltato la propria posizione rispetto al passato, sorda alle istanze della società civile e forse anche ignorante delle ultime acquisizioni scientifiche. Questo, ovviamente, non può soddisfarci. Un altro motivo di preoccupazione deriva dal fatto che la maggioranza che si è espressa contro i neonicotinoidi non è stata sufficiente per proclamarne il bando definitivo, ma soltanto una moratoria temporanea. Fra due anni, dunque, l’Europa sarà nuovamente chiamata a esprimersi sul futuro delle api.
Eppure, ci chiediamo cos’altro sia necessario per farci aprire gli occhi. E per farci decidere, una volta per tutte, che i famigerati tre neonicotinoidi, oltre al fipronil, che è oggetto di una nuova e presa d’atto del Efsa, ma anche al chlopyriphos, il cypermethrin e il deltamethrin, che Greenpeace ha messo sotto accusa nel suo report Bees in Decline vanno definitivamente dimenticati. Non ci basta ascoltare gli apicoltori che raccontano dell’indebolimento e dell’aumentata mortalità delle colonie europee – fino a un 20% in più negli ultimi inverni, con una forbice tra l’1,8% e il 53% tra i diversi paesi –; o sapere che le api, si nutrono con sempre maggiore difficoltà e, come se questi veleni le rendessero ebbre, spesso non trovano più la strada di casa e non sono più in grado di riconoscere gli odori? Non ci basta comprendere quanto sia virtuosa la correlazione tra impollinazione e biodiversità; vedere che gli ecosistemi in cui le api possono svolgere il loro ruolo di impollinatori presentano un’alta percentuale di biodiversità e sono capaci di produrre più cibo? Non ci basta avere costantemente sotto gli occhi la dimostrazione del fatto che monocolture, trattamenti erbicidi e riduzione della biodiversità sono gli ingredienti di una miscela esplosiva che crea una riduzione incessante delle possibilità di vita per le api e gli insetti utili, e che stanno alla base di un impoverimento della nostra dieta?
Evidentemente no. L’Europa ci sta lavorando, ma è ancora lontana da una presa di coscienza più risoluta. E una misura come una moratoria di due anni appare ancora troppo blanda per consentirci di festeggiare. Lo faremo, con grande piacere, quando l’impatto degli insetticidi sarà valutato a 360 gradi, quando ci potremo esprimere con sicurezza sui loro effetti, sia che si tratti di un insetticida isolato sia che si tratti di un cocktail letale, nei cui ingredienti rientrano magari anche erbicidi e fungicidi. Quando ci diremo che una ragione in più per abbandonare l’agricoltura chimica e scegliere con risolutezza le pratiche agro-ecologiche sta anche lì: nella salute e nella sopravvivenza delle api e degli insetti impollinatori. fonte: Slow Europe, Silvia Ceriani, 12.06.2013