Cambiamento climatico, biodiversità, sovranità alimentare: ecco l’intervento integrale del fondatore della “Chiocciola”
Il nuovo board di Slow Food
Il passaggio di testimone alla guida di Slow Food, fondata nel lontano 1986, è un momento fondamentale per la “Chiocciola”, guidata sin dalla sua nascita da Carlo Petrini, capace di creare un movimento internazionale presente oggi in 160 Paesi di tutto il mondo, con centinaia di presidi e migliaia di progetti. Tutti al servizio di una vera e propria rivoluzione nella dialettica tra l’uomo e la terra, nell’ambito di una rivoluzione alimentare che, recuperando tradizioni ancestrali, ha saputo dare risposte moderne alle sfide di una contemporaneità in cui l’emergenza climatica ha decisamente superato i livelli di guardia, diventando il tema più caldo nelle agende dei Governi. Nuove lotte, così, attendono il nuovo presidente, Edward Mukiibi, quelle energie nuove cui Petrini ha fatto riferimento nel suo intervento al Congresso Internazionale Slow Food n. 8 all’Università di Pollenzo, a Bra, nei giorni scorsi, che vi proponiamo di seguito nella sua versione integrale. Parole di straordinaria attualità e lucidità, che fanno il punto sull’oggi dettando implicitamente l’agenda di domani, senza però dimenticare quel tanto o tantissimo di buono fatto negli ultimi 30 anni e più.
“Viviamo una fase in cui c’è bisogno di rafforzare ancora di più il senso profondo del nostro operato, ho la sensazione che la situazione sia molto grave. La situazione climatica genera sconquassi, ed è solo l’inizio di quella che può essere ritenuta una fase di deterioramento irreversibile. Questo perché la politica a livello planetario, malgrado gli appuntamenti annuali dove le governance internazionali si ritrovano e ascoltano le diagnosi allarmistiche degli scienziati, prende decisioni flebili e poi, ancor più grave, con estrema puntualità non le mantiene. Per questo motivo credo sia obbligatorio da parte della società civile, delle associazioni e dei movimenti mettere in essere comportamenti virtuosi che contribuiscano a cambiare lo stato delle cose. Se la politica non ha la capacità di prendere in mano le sorti del pianeta, tutta l’umanità deve concorrere a dare una risposta concreta a questa situazione di degrado.
Questo elemento di attivismo caratterizzerà gli anni futuri di Slow Food. Ce lo chiedono con forza i giovani. Come dice Greta Thunberg, non occorre il bla bla bla, ma una presa di posizione politica. Siamo a un punto terminale, non è più pensabile stare zitti: sulle questioni alimentari, agricole, di produzione dobbiamo intervenire con un attivismo più incisivo e legato alle istanze del mondo giovanile.
E vorrei mettere in evidenza che il principale responsabile di questo disastro è il sistema alimentare. Questa affermazione, all’interno di un movimento che da più di 30 anni porta avanti come missione principale la difesa della biodiversità, pone a tutti noi l’obbligo di non rimanere indifferenti e continuare ciò che abbiamo intrapreso da diversi anni. Cioè un cambio di paradigma rispetto al valore della biodiversità, alla situazione ambientale e alla giustizia sociale. Abbiamo il dovere di mettere in essere questi concetti in ogni angolo del pianeta, considerata la forza della nostra rete che si dipana in 160 Paesi, e di determinare cambiamenti profondi nel sistema alimentare. Abbiamo iniziato un nuovo periodo storico che si chiama transizione ecologica, un periodo che durerà decenni, se non secoli. Vivere la transizione ecologica nella sua pienezza significa fare in modo che i cambi di paradigma siano veri, non fasulli.
La situazione del grano che non riesce a uscire dall’Ucraina, mettendo in crisi diversi popoli al punto da portarli verso la carestia, è la dimostrazione pratica di come in questi luoghi non sia stato promosso il concetto di sovranità alimentare, che non è autarchia, ma è semplicemente il mantenimento di presidi culturali e di realtà agroalimentari che fanno parte della storia di ogni singolo Paese. Mantenere questo patrimonio di biodiversità è il principio per cui la sovranità alimentare diventa politica. Ciò non esclude lo scambio tra nazioni, ma evita che un popolo sia nella condizione di essere totalmente dipendente da un altro. Anzi, crea i presupposti per generare spazi di autonomia, di identità e di orgoglio. È questo ciò che per anni abbiamo portato avanti difendendo i Presìdi Slow Food, le comunità e la rete meravigliosa di Terra Madre.
Questo elemento deve continuare a essere distintivo, in un momento in cui tutto il comparto alimentare da una parte è preso da una esplosione gastrosofica fittizia e dall’altra sta diventando un argomento che non tocca le corde della politica internazionale. Noi abbiamo il dovere di porlo al centro dell’attenzione, partendo magari dalla riduzione dello spreco alimentare. I dati che abbiamo davanti sono disastrosi: pensare che il 33% della produzione alimentare mondiale non è utilizzata e va nello scarto significa gettare via miliardi di tonnellate di cibo, con milioni di ettari di terra fertile e miliardi di litri d’acqua utilizzati per produrre quegli scarti.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare è da un lato la contrapposizione tra globale e locale, tra innovazione e tradizione. In entrambi i casi, non si tratta di termini contrapposti. Operano tra loro in modo dialettico ed esprimono la potenzialità che la società civile ha. La dialettica tra globale e locale è il segno distintivo di Slow Food che ci consente di essere globali nel locale. È nella moltitudine enorme di migliaia di piccole comunità che il movimento esprime la sua forza globale.
Lo stesso vale per la supposta contraddizione tra tradizione e innovazione: la vera innovazione molte volte è rappresentata dal rivitalizzare una tradizione, esattamente come abbiamo fatto noi valorizzando il patrimonio immenso sui territori fatto di prodotti, savoir faire, esperienze e identità. Se una tradizione non coltiva un po’ di innovazione, è destinata a morire.
L’auspicio che voglio fare rispetto al futuro è di mantenere questa biodiversità culturale, insieme al nesso fondamentale tra intelligenza affettiva e austera anarchia, che sono il nostro modus operandi. La scelta di consegnare la presidenza internazionale a un giovane africano conferma l’eccezionalità di una persona straordinaria che ha saputo realizzare nel continente che avrà la maggiore espansione demografica quella che è stata una delle nostre più forti intuizioni, quelle migliaia di orti che grazie a tutte le comunità locali abbiamo realizzato. Il segnale che vogliamo dare con la nomina di Edward Mukiibi è essere fino in fondo un movimento internazionale, in grado di superare la logica eurocentrica e occidentale. Il nuovo gruppo dirigente avrà le capacità per affrontare tutte le sfide e per mantenere quell’austera anarchia che tutti noi auspichiamo e che ci caratterizza.
Io mi sono divertito in questo lungo viaggio, ho realizzato pienamente la capacità di avere una ricchezza di rapporti personali che oggi qui rivedo nei vostri volti, perché quell’intelligenza affettiva per me è realtà. Non abbiate paura di essere visionari, mette in campo tutta la vostra capacità di guardare avanti, anche se sbaglierete ogni errore sarà importante per porvi rimedio.
Io di errori ne ho fatti tanti, ma sono serviti tutti a tarare i nostri obiettivi e a rafforzare le nostre idee e sono stati stemperati dal clima di amicizia e solidarietà che caratterizza il movimento.
Grazie di cuore a tutti, io continuerò a essere dentro a questo processo, ma non farò come quei padri che vanno in giro a dire “ormai comanda mio figlio” e poi il figlio non conta niente. Io starò ai margini e non interferirò, ma avrò il piacere e la curiosità di vedere come ve la caverete”. Fonte: WineNews, 19.07.2022