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Gen 28 2021

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IL DIVIETO DI FUMO ALL’APERTO A MILANO E L’IMPATTO DELLA SIIGARETTA SULL’AMBIENTE

La scelta del capoluogo lombardo è stata criticata dai tabagisti. In realtà, il particolato atmosferico PM10 prodotto da cinque sigarette corrisponde a quello emesso da una locomotiva a gasolio

Dal 19 gennaio Milano ha bandito il fumo all’aria aperta. La scelta ha subito delle critiche ma rappresenta un esempio coraggioso e virtuoso che avrà ricadute concrete sulla salute dei milanesi e sull’ambiente.

Fumare una sola sigaretta significa emettere nell’aria circa 14 grammi di anidride carbonica equivalente, oltre ad altri potenti gas serra come metano, ossidi di azoto e alla formaldeide (un inquinante ubiquitario presente anche nelle colle, nel compensato e negli imballaggi). Dunque, consumando quotidianamente un pacchetto, nell’arco di 50 anni contribuiamo a liberare 5.1 tonnellate di CO2 equivalente.

Se prendiamo in considerazione tutti i fumatori del mondo la cifra arriva a 84 megatonnellate, una quantità di anidride carbonica pari a quella prodotta nello stesso arco temporale da Israele e Perù messi insieme. 

Secondo i dati emersi da un esperimento coordinato dallo pneumologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori Roberto Roffi, il particolato atmosferico PM10 prodotto da cinque sigarette corrisponde a quello emesso da una locomotiva a gasolio: mentre quest’ultima ne produce 3500 microgrammi/metro cubo, una singola bionda libera 717 microgrammi/metro cubo di polveri sottili nello stesso lasso di tempo. «Questi esperimenti – aveva spiegato Roffi nel corso della presentazione dei risultati – dimostrano che anche all’aperto una sola sigaretta può emettere una quantità di polveri sottili veramente notevole».

Dati inquietanti, soprattutto se pensiamo che le sigarette prodotte ogni anno dalle industrie del tabacco e pronte al consumo sono 6mila miliardi.  

Leggi antifumo italiane

Era il 2003 quando in Italia, con la Legge Sirchia, si prendeva una decisione rivoluzionaria: bandire il fumo di sigaretta da tutti i locali chiusi, compresi i luoghi di lavoro privati o non aperti al pubblico, gli esercizi commerciali e di ristorazione, i luoghi di svago, le palestre e i centri sportivi. Da allora i fumatori in Italia sono diminuiti di circa un milione e, parallelamente, è cresciuta la consapevolezza dei cittadini rispetto alle conseguenze sulla salute dell’uso del tabacco.

Ora Milano fa da apripista in un’impresa ancora più ardita. Dal 19 gennaio il capoluogo lombardo è la prima città italiana a vietare la possibilità di fumare all’aperto. Il divieto sarà graduale: fino al 2025 riguarderà i parchi, le fermate dei mezzi pubblici, le aree gioco per bambini, le aree cani, così come i cimiteri e le strutture sportive (stadi inclusi). Dal 2025 il divieto verrà esteso a tutte le aree pubbliche all’aperto, «a eccezione dei luoghi isolati in cui sia possibile rispettare la distanza di almeno 10 metri da altre persone».

La misura fa parte del Regolamento per la qualità dell’aria approvato lo scorso 19 novembre dal Comune di Milano.

Costi ambientali

Non è solo la sigaretta a essere poco sostenibile dal punto di vista ambientale ma l’intera catena di approvvigionamento del tabacco, a partire dalla sua coltivazione. Per soddisfare tutti i fumatori del mondo ogni anno vengono prodotte ed essiccate 32,4 milioni di tonnellate di tabacco verde. Dall’essicamento, derivano le 6,48 tonnellate di tabacco secco che ritroviamo direttamente dentro le sigarette. 

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i campi tuttora destinati alla coltivazione del tabacco potrebbero essere riconvertiti alla crescita di beni di prima necessità, per esempio a colture (tra l’altro con una resa maggiore) come patate, pomodori, mais e grano. Basti pensare che uno stesso ettaro di terra in Brasile e in India può produrre oltre 3 tonnellate di grano ma meno di 2 tonnellate di tabacco secco. 

La coltivazione del tabacco incentiva anche un altro problema, quello della deforestazione. Nei Paesi in via di sviluppo infatti causa circa il 5% della perdita nazionale totale di foreste e in Malawi, Zimbabwe e Filippine è la prima causa di disboscamento.

Per produrre sigarette servono ovviamente fabbriche specializzate (circa 500 quelle oggi attive) che richiedono 22 miliardi di metri cubi d’acqua l’anno. Una cifra importante, se pensiamo che ogni anno in Italia ne consumiamo 9,5 miliardi di metri cubi (metà dei quali sprecati a causa della bassa efficienza della nostra distribuzione idrica).

Ma richiedono anche 8 megatonellate di legname, oltre a tre megatonnellate di ferro e 21 megatonnellate di petrolio. E a perdere queste risorse, sono soprattutto i Paesi meno sviluppati, principali produttori nel settore. «Le risorse utilizzate per la produzione delle sigarette fumate negli Stati più ricchi (come quelli dell’Unione europea e del Nord America) provengono in gran parte dall’estero, soprattutto dai Paesi più poveri», ha sottolineato Giacomin.

Ultimo, non certo per importanza, il problema dei mozziconi (e dei pacchetti) di sigarette abbandonati e quindi dispersi nel terreno e nei corsi d’acqua. Ogni anno 4500miliardi di questi diventano rifiuti e durante il loro ciclo di degradazione (1-5 anni) rilasciano nell’ambiente sostante tossiche, compromettendo così anche la salute della fauna che inavvertitamente se ne ciba. 

Un mozzicone spento male e gettato, senza molta accortezza, vicino a materiale infiammabile, come arbusti e foglie secchi, può anche dar vita a un altro problema, quello degli incendi. In Lombardia, circa il 13% di quelli involontari (che nel 2020 hanno portato a una perdita di circa 208 ettari di bosco) sono stati causati proprio da gesti come questo.  Fonte: Linkiesta, Riccardo Liguori, fptp Unsplash, 28.01.2021

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