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Apr 03 2022

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IL CORAGGIO DI RESISTERE DI ALLEVATORI E CONTADINI UCRAINI CHE NON ABBANDONANO LA TERRA

Prima della guerra, la rete locale di Slow Food era in crescita. Tutto s’è sgretolato in poche ore, ma il patrimonio locale della biodiversità sarà un tassello fondamentale nella ricostruzione

Ucraina. Mykolaiv Villaggi sulla linea del fronte sud Guerra Ucraina Russia (fotogramma)

Prima del 24 febbraio, prima dello scoppio di questa guerra “mostruosa e selvaggia, crudele e insensata, bestiale, atto barbaro e sacrilego” (sono tutte parole di Papa Francesco che sottoscrivo senza alcuna esitazione), la rete di Slow Food in Ucraina era una realtà dinamica e in crescita, come lo erano molte altre espressioni della vita civile di quel paese. Esisteva una rete di cuochi dell’Alleanza Slow Food con 19 aderenti nelle principali città (da Kyiv a Odessa sino a Kharkiv), 12 nodi territoriali del network ed era prossimo alla pubblicazione il primo Atlante dedicato all’Arca del Gusto ucraina, con circa 70 prodotti censiti dagli attivisti dell’associazione con il supporto dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Come ogni altro aspetto della vita in Ucraina, anche questa realtà è stata completamente stravolta nel giro di poche ore. I ristoranti dell’Alleanza si sono trasformati in mense al servizio della popolazione che è rimasta e dell’esercito, e con i loro acquisti presso contadini e produttori locali contribuiscono alla sopravvivenza di quel che rimane del tessuto produttivo. Gli allevatori e contadini, in particolare quelli più vicini alla prima linea del conflitto, hanno portato all’estremo il loro ruolo di custodi della terra, delle razze animali e delle specie vegetali poiché il loro lavoro ormai è quasi solo quello. È il caso di Mykhailo Travetsky, allevatore e veterinario che vive a Pryluky, nell’Oblast’ di ?ernihiv, custode di diverse razze bovine ucraine, tra cui la grigia ucraina, la Lybedinka e l’ucraina a macchie rosse.

Allo scoppio del conflitto, Mykhailo ha mandato la moglie, la madre e i giovani figli al sicuro, da un vecchio amico allevatore di Belfast, ed è rimasto con i suoi animali. Che non può abbandonare, dacché nessun allevatore al mondo abbandonerebbe i suoi animali, e con i quali produce ogni giorno latte e formaggi per la comunità locale, le persone che sono rimaste e che devono in qualche modo tirare avanti.

La storia di Mykhailo somiglia a quella di Olena Zaryanova, anche lei allevatrice e piccola produttrice di formaggi. E a quella di Oleg Katerinych che alla Stazione statale di ricerca sul pollame presso l’Accademia nazionale di scienze agrarie dell’Ucraina, nella martoriata regione di Kharkiv, conserva il patrimonio genetico delle razze locali di polli e tacchini.

Per tutti loro, con i quali stiamo tenendo un canale di comunicazione diretto, restare e continuare il lavoro è fondamentale. Perché la loro (e nostra) speranza è che questa guerra finisca presto e si possa ricostruire. E il patrimonio locale della biodiversità sarà un tassello fondamentale di questa ricostruzione. Così come è fondamentale, ora che è arrivata la primavera, poter seminare e poter pensare a una stagione di raccolti. La luce di quella speranza fa trovare loro la forza e il coraggio di restare, nonostante i pericoli che arrivano fin sotto casa (come il razzo caduto nelle vigne del Presidente dei vignaioli artigiani del Mar Nero, la cui cantina si trova nei pressi di Mykolaiv), e di resistere, nonostante le difficoltà di un’economia che non esiste più. Ci siamo domandati tutti, molte volte dall’inizio di questa guerra, come ci saremmo comportati al posto degli ucraini: penso di sapere con certezza che gli allevatori, i contadini, i cuochi avrebbero fatto le stesse cose che stanno facendo i loro colleghi di Kyiv, Kharkiv, Chernihiv.

Ed è per questo motivo che ci sentiamo in dovere di aiutarli: Slow Food ha avviato una campagna di raccolta fondi: tutte le risorse raccolte vengono destinate direttamente ai cuochi dell’Alleanza Slow Food e alle Comunità di produttori, che utilizzano questi fondi per portare avanti il loro lavoro e non abbandonare la terra, gli animali, le persone che sono rimaste e hanno bisogno di mangiare. Fonte: la Repubblica, IL GUSTO, Carlo Petrini, 03.04.2022

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