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Gen 24 2022

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ICEVINES, QUEI VINI FIGLI DELL’INVERNO MINACCIATI DAL RISCALDAMENTO GLOBALE

Il nettare delle nevi, si potrebbe chiamare così.

Uve raccolte in pieno inverno, all’alba, con una tecnica esistente già nell’Antica Roma. Quasi dimenticati in Italia, oggi rinascono grazie ad alcuni viticoltori coraggiosi che ne producono etichette preziose. Ma l’emergenza clima incombe all’orizzonte

 Battezzato sotto un cielo stellato, nel buio profondo della notte, quando la temperatura sfiora i 10 gradi. Vendemmiare d’Inverno? Sì, esiste anche una viticoltura estrema, tra vigneti in alta quota: qui nasce un vino “speciale” che rischia l’estinzione, specie in Italia. I filari da cui provengono questi vini eroici offrono uno scenario più che suggestivo: gli acini sono intrappolati nel ghiaccio, avvolti in reti protettive. Fare vino sembra quasi una sfida dell’uomo alla natura che, invece, in un tête-à-tête lungo e silenzioso, si dimostra ancora una volta generosa. Gennaio è il mese per eccellenza in cui si vendemmiano gli “Ice Wine”. Eiswein, in tedesco o Vin de Glace, in francese -, tradotto in “Vino di ghiaccio” in Italia. Sono vini prodotti perlopiù in alta quota o dove il freddo regna sovrano. O almeno così era, fino a qualche anno fa. Oggigiorno, diventa sempre più difficile riuscire a mantenere una continuità produttiva a causa del surriscaldamento globale.

A seconda del disciplinare degli Ice Wine internazionali, le vendemmie possono iniziare a dicembre, nelle primissime ore del mattino o in piena notte, quando la temperatura esterna atrofizza le mani e il viso, segnando diversi gradi sotto lo zero. Proprio allora, infatti, i vignaioli scendono in vigna muniti di tute, guanti, forbici e passamontagna. Solo gli occhi sono appena visibili. Tutto è pronto per raccogliere l’uva, ancora ben gelata. Il segreto è proprio lì: portare l’uva in pressa ancora ben gelida. In cantina si portano gli acini che appassiscono sulla pianta, quindi lo spettacolo “insolito” è proprio quello di vedere un’uva cristallizzata, che ha subito una forte disidratazione, prima di essere lavorata. La caratteristica principale è praticamente la stessa dei vini appassiti al sole: un aumento dell’aromaticità varietale dell’uva. Non è un’invenzione moderna o un trend del momento. Da documenti remoti, risulta che già gli antichi romani usavano questa tecnica e ne apprezzavano gli spiccati aromi dei vini “appassiti”. Il poeta latino Marziale (40 – 103 d.C.) narra di viticoltori “che in novembre raccoglievano uva ricoperta di gelo”. E, quasi nello stesso periodo, Plinio racconta di certe varietà di uva che “non vengono vendemmiate prima che non abbia gelato”. 

“Le origini moderne dei vini del ghiaccio sembrano portare in Mittleuropa”. (foto Casa Ronsil) 

Tuttavia, le origini moderne dei Vini di ghiaccio sembrano ricondurre in Mitteleuropa, e più specificamente in Germania: sembra che sia qui (a Würzburg, in Franconia) che, nel 1794 stando alle cronache, si sia verificata una gelata inaspettata. Per salvare il raccolto i viticoltori decisero comunque di vinificare le uve prigioniere del ghiaccio. Quello che si produsse, fu un mosto molto concentrato, che diede vita a un prodotto simile al vino “passito”. Non per questo, però, vengono usati solo vitigni aromatici come Malvasie e Moscati, ma anche uve tipiche dei climi temperati freddi, capaci di produrre vini complessi, freschi senza perderne in profumi. Un esempio? Chardonnay e Riesling per i bianchi, Merlot e Pinot Nero per i rossi. Oggi una delle aree di maggiore produzione al mondo è il Canada, a seguire Germania, Austria, Alsazia (Francia), Svizzera, Slovenia e Italia. Negli ultimi anni, nell’elenco dei produttori si aggiungono anche alcune zone della Cina.

In questi anni anche viticoltori italiani hanno immesso sul mercato Icewines di buon livello. Non c’è bisogno, però, di andare per forza ai confini: è questo il caso di Emozioni di Ghiaccio della Tenuta Croci che sorge sui Colli Piacentini. Il vino di Massimiliano Croci, che rappresenta la terza generazione in cantina, è molto ricco ed estremamente concentrato al palato, mai stucchevole. Introdotto nella gamma aziendale dal giovane enologo, è prodotto con metodo artigianale, da grappoli di Malvasia di Candia e Moscato bianco, raccolti di solito a -5°C, entro fine gennaio, attraverso una fermentazione spontanea del mosto che sosta almeno 12 mesi in piccole botti. Negli Icewine, infatti, la concentrazione di zucchero è generalmente compresa fra 180 e 320 grammi/litro: una quantità tale da rendere la fermentazione estremamente lenta.   

Un momento della vendemmia della cooperativa Cave Mont Blanc 

Le ripetute gelate, però, da un lato favoriscono la concentrazione degli zuccheri, degli acidi e delle sostanze aromatiche, con il risultato di esaltare la complessità organolettica del succo, e dall’altro rappresentano un fattore reale di rischio. La lunga attesa per l’arrivo del freddo e il global warming sono una vera minaccia per chi produce questa tipologia di vini. Nel caso in cui la gelata non arrivi nel tempo giusto, infatti, le uve potrebbero essere preda della muffa, provocando così la perdita del raccolto. In Italia, il primo vignaiolo a cimentarsi con la produzione (riconosciuta come denominazione) di Vini di ghiaccio è stato Natale Simonetta di Cascina Baricchi: nel 1995, a Neviglie, in provincia di Cuneo, con sole uve Moscato. Il Solenne, nelle prime uscite chiamato Guardo, ha fatto molto parlare di sé. Non è bastato però a farlo andare avanti: Natale ha deciso di non produrlo più in versione passita per l’esiguità della produzione (la resa era veramente bassa e l’ultima annata è del 2005), usandone la base per rinforzare lo spumante dolce Regina di Felicità, un autentico sorso di “spuma di moscato”. Si tratta di una cuvée fatta con tre annate di Icewine e con una quota di Moscato “fresco”, usato per far partire la rifermentazione in autoclave. La prima annata è del 2010, con una partita di Icewine del triennio 2007-2008-2009, e sosta sui lieviti circa nove mesi. La raccolta è notturna tra le 4:30 e le 8:00 del mattino, quando la temperatura scende sotto i -5°C con uve totalmente ghiacciate. In stile vintage, molto bella l’etichetta dedicata a sua madre.

Nella Valle d’Aosta più estrema, quella  tra i comuni di Morgex e di La Salle, si custodiscono viti prefillossera di Prié blanc, biotipo Blanc de Morgex, unica varietà autoctona valdostana a bacca bianca selezionata in maniera naturale nei secoli. Sono viti che crescono alle pendici del Monte Bianco (fino a 1250 metri) e spiccano tra altre perché sono le più alte d’Europa. Qui, la cooperativa Cave Mont Blanc, guidata dal giovane enologo Nicola Del Negro, produce dal 2000 un vin de glace chiamato Chaudelune. E’ vendemmiato a gennaio, di notte, dopo che le prime gelate consentono di misurare temperature tra -6 e -10°C. La fermentazione e l’affinamento avvengono in piccole botti di rovere scolme, di diversi carati ed essenze: è un vino dai sentori alpini, di erbe selvatiche, con un sorso cremoso e vellutato, non eccessivamente dolce. 

L’Ice One rosso di Casa Ronsil 

Non è solo bianco l’Eiswein. In Piemonte, a Chiomonte, sulle vette dell’Alta Val di Susa, a un passo dal confine francese, c’è Casa Ronsil Wine, una delle prime cantine italiane a scommettere su un Ice Wine rosso, da uve Avanà, Becuet e Chatus, varietà autoctone coltivate a 700 metri di altitudine, con porzioni di vigna che arrivano fino a 1100 metri. Prodotto all’interno di una dimora storica, che appartiene alla famiglia Ronsil dal 1250 e dove la coltura della vigna è documentata dal 1342, prende vita il vin de glace artigianale Ice One, dei coniugi lionesi Franck Thollet e Nadine Ronsil, e suo fratello Pierino Ronsil, che hanno ripreso all’inizio del 2000 l’attività vitivinicola interrotta nel 1975 da nonno Camillo Ronsil. “Memorabile resta l’annata 2009 – raccontano gli audaci viticoltori -,  eravamo sommersi dalla neve e siamo arrivati nel vigneto con gli sci, poi abbiamo portato via l’uva sulle motoslitte. La montagna è la nostra passione, il nostro motore.” Il loro, è un vino “naturale”, in cui si respira la natura incontaminata della valle (riproposta già nell’etichetta in cui compare il volto di un cervo), riportata nel bicchiere con un’acidità incisiva e un finale di rabarbaro e tamarindo. Il 2019, poco prima della pandemia, annunciano una novità: il primo Ice Wine bianco della Valle di Susa e di Chiomonte, con una base maggiore di Baratuciat e altri vitigni a bacca bianca autoctoni. Sull’etichetta questa volta c’è una bella cerbiatta. Sono meno di 500 le bottiglie prodotte.  Fonte: IL GUSTO,  Annacarla Tredici, 24.01.2022

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