Dal Gewürztraminer e Muller Türgau fino al Nero d’Avola e all’Amarone cresce la produzione in Italia senza l’uso di albumina, caseina e colla di pesce: una grossa fetta va all’export per il Nord Europa
Ci sono Gewürztraminer e Muller Türgau trentini, il Catarratto e il Nero d’Avola siciliani e ancora vini veneti, toscani, marchigiani e spumanti. Tra i produttori ci hanno scommesso brand privati, aziende famigliari e cantine sociali. In mancanza di uno standard internazionale condiviso c’è chi si autocertifica o si affida a un organismo terzo che però, a differenza di quanto avviene per biologico o sostenibilità, valuta aspetti solo documentali senza verifiche in campo e in cantina. Si sta allargando sempre più nel nostro Paese la platea dei produttori di vini vegani ovvero prodotti senza alcuna componente di origine animale, in linea con la filosofia Vegan. Fino a non molti anni fa si trattava di una nicchia, adesso invece conta su una produzione che in Italia è di qualche milione di bottiglie, prevalentemente esportate.
Il vino è un prodotto già vegetale, ma per produrlo gli enologi hanno bisogno anche di albumina, caseina e colla di pesce, ovvero di chiarificanti. Questa procedura punta a stabilizzare il vino (sia bianco che rosso che rosato) eliminando le sostanze in sospensione e rendendolo più limpido. Per i vini vegani le sostanze di origine animale o vengono del tutto eliminate, con il ricorso alla tecnologia, o sostituite da chiarificanti a base di estratti vegetali (ortaggi o patate) o di origine fossile come la polvere di roccia.
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«L’input è venuto dal Nord Europa oltre dieci anni fa – spiega Raffaele Boscaini, direttore marketing di Masi agricola (azienda leader dell’Amarone che esporta oltre il 70% della propria produzione e che all’estero ha tra i primi mercati la Svezia) –. Noi eravamo partiti dall’obiettivo di ridurre dai nostri vini gli allergeni e così abbiamo via via sostituito tutte le sostanze di origine animale. In seguito si è scoperto che potevamo proporre le nostre etichette come Vegan friendly e lo abbiamo fatto con un bollino ad hoc che campeggia su circa 800mila bottiglie. Questi vini piacciono anche a chi non adotta uno stile di vita vegano. Oggi sono prodotti con questa filosofia i vini toscani dell’etichetta Bell’Ovile e quelli che realizziamo in Argentina ma presto lanceremo anche un Amarone Vegan».
Oltre al Nord Europa è sempre più forte la domanda del Regno Unito. «In Inghilterra – spiega Stefano Girelli titolare di due aziende biologiche, Santa Tresa e Cortese, nell’area di Vittoria (Ragusa) per una produzione di circa 380mila bottiglie – il numero di vegani è quadruplicato tra il 2014 e il 2018 passando da 150mila a oltre 600mila persone e una cena su 4 è vegana. È questo il nostro principale mercato. Tuttavia abbiamo adottato l’opzione Vegan su una produzione già totalmente biologica. E ci crediamo al di là dei trend perché alla base c’è una logica di sostenibilità e di lotta al depauperamento dei terreni». Nella produzione di Santa Tresa e Cortese tutti i principali vitigni siciliani dal Catarratto al Carricante dal Nero d’Avola al Nerello Mascalese fino a due spumanti a base Frappato e Grillo.
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«Su una produzione totale di 1,4 milioni di bottiglie biologiche circa un milione hanno la certificazione Vegan – spiega Walter Bartolomei, titolare con il fratello Massimiliano dell’azienda marchigiana Ciu Ciu di Offida (Ascoli Piceno)–. Viene realizzata sostituendo i chiarificatori di origine animale con le sole tecnologie di filtrazione e microfiltrazione che riescono a garantire i medesimi risultati sulla limpidezza. Dieci anni fa i nostri vini Vegan (Pecorino, Passerina e Rosso Piceno) erano apprezzati solo all’estero ora guadagnano spazio anche in Italia». Fonte: Il Sole 24 Ore, Giorgio Dell’Orefice, 25,01.2021