Dall’agroecologia all’educazione alimentare, dalla trasparenza in etichetta al rapporto città-campagna, da prezzi più giusti alla concorrena sleale
Nuovo Manifesto Slow Food con i “12 punti per l’Europa che vorremmo”
Biodiversità ed agroecologia, rispetto per gli animali e per la terra, valorizzazione delle terre alte (di collina e montagna), educazione alimentare in tutte le scuole, maggiore chiarezza ed esaustività delle etichette, nuove relazioni tra città e campagna, tutela della pesca artigianale e degli ecosistemi costieri, prezzi giusti per gli agricoltori, concorrenza leale all’interno del mercato, diversità ed accoglienza, no alla plastica usa e getta e basta sprechi di cibo: ecco i “12 punti per l’Europa che vorremmo. Per un cibo buono, pulito, giusto e sano per tutte e per tutti” del Manifesto lanciato da Slow Food Italia in vista delle prossime elezioni europee dell’8 e del 9 giugno, per sottoporlo non solo ai presidenti e segretari dei partiti politici candidati in Ue, ma anche alle istituzioni che governano i territori a livello nazionale, e di pari passo con la campagna “Feed the change”, mirata a dimostrare l’importanza di una transizione verso sistemi alimentari sostenibili.
“È tempo che l’Unione Europea imbocchi senza ulteriori retromarce, dopo quelle registrate negli ultimi mesi sul Green Deal, la strada verso un modello di produzione alimentare che non affami il pianeta, ma garantisca un futuro di pace e prosperità al vivente tutto. Un modello che non è utopia – afferma Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia – per un cibo buono, pulito, giusto e sano per tutte e tutti, che racchiude le priorità in fatto di politiche alimentari, rivolgendo a chi siederà al Parlamento Europeo l’invito a impegnarsi in modo concreto per attuarle: senza Green Deal gli obiettivi dell’agenda 2030 non si possono raggiungere”.
Un impegno concreto per la tutela della biodiversità, risorsa essenziale per il nostro futuro, come l’acqua ed il suolo: negli ultimi 70 anni abbiano distrutto il 75% delle varietà vegetali che erano state selezionate nei 10.000 anni precedenti. Non varietà qualsiasi, ma quelle più adatte al contesto in cui venivano coltivate. Oggi, invece, in ogni angolo del mondo dominano le stesse varietà: ibridi nati in laboratorio e commercializzati da poche multinazionali che producono semi, fertilizzanti, pesticidi, che gestiscono la genetica delle razze animali, la trasformazione delle materie prime e la distribuzione. Con la loro forza economica, alimentano un modello di stampo industriale che ha conseguenze nefaste: l’agricoltura intensiva ne è un esempio, così come gli allevamenti e la pesca industriali. Il mercato viene così inondato di prodotti di bassa qualità venduti a basso prezzo, con enormi costi nascosti, per via dell’impatto negativo sulla nostra salute e sull’ambiente. Lanciando l’allarme sullo sfruttamento, il Manifesto di Slow Food affonda le sue radici nei concetti di agroecologia (intesa come approccio che preserva il suolo e lo rigenera), del rispetto (della terra e degli animali, che non sono puramente mezzi di produzione) e dell’educazione (alla scelta, alla consapevolezza, all’alimentazione).
“L’Europa che vorremmo è un’Europa che difenda per davvero la sovranità alimentare, mettendo gli agricoltori, gli allevatori e i pescatori che operano nel rispetto dell’ambiente nelle condizioni di poter lavorare senza dover fare affidamento a sussidi per sopravvivere: oggi, che la maggior parte dei fondi europei finisce nelle tasche di pochi, grandi, player, questo non succede” aggiunge Serena Milano, direttrice Slow Food Italia.
No agli Ogm ed ai brevetti, perché il cibo è un diritto e non soltanto una merce, dice la Chiocciola.
E basta corse al gigantismo (con monocolture sempre più estese, allevamenti industriali sempre più grandi, centri commerciali che si moltiplicano, piccole aziende che chiudono, Paesi che si spopolano) e si punti sulla biodiversità (agricola e culturale) e sull’economia diffusa, che non marginalizzi le terre alte e che produca benessere. “Il sistema alimentare dominante è lo specchio delle contraddizioni che attraversano l’economia e la società contemporanea – spiega Slow Food – società che, a livello globale, produce cibo in eccesso rispetto al necessario, ne spreca un terzo e lascia una persona su nove a soffrire la fame. Un sistema che si regge sulla prevaricazione e sullo sfruttamento: dei lavoratori, degli animali, del suolo, delle risorse naturali. E che, così facendo, non fa altro che perpetuare sofferenza, in un illogico circolo vizioso. Ed è anche per questo che nasce il Manifesto in 12 punti: Slow Food Italia non elenca soltanto i propri princìpi-guida, ma mette a disposizione della politica una bussola da seguire per orientare le scelte da prendere. Per questo, il documento sarà sottoposto non solo ai presidenti e segretari dei partiti politici candidati alle prossime elezioni europee, ma anche alle istituzioni che governano i territori a livello nazionale”.
Sul tema delle leggi, infine, Slow Food chiede che queste siano uguali per tutti. “L’Europa che vorremmo è un’Europa che mette i suoi cittadini nelle condizioni migliori per compiere le scelte di acquisto: ad esempio, indicando in etichetta le tecniche di coltivazione, la tipologia di allevamento, i metodi di trasformazione. Questo è importantissimo perché, ad esempio, oggi un consumatore non ha la possibilità di sapere se la carne che sta comprando provenga da un allevamento industriale oppure no: questo non deve più essere permesso per una questione di trasparenza”. Proprio sulla trasparenza, la Chicciola richiede all’Europa l’adozione di clausole specchio per far sì che i cibi importati in Ue rispettino le stesse regole – molto più stringenti e che comportano, quindi, un notevole svantaggio competitivo – osservate dai produttori europei. Quelle norme stringenti hanno importanti riflessi sulla salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente: riguardano, ad esempio, le varietà geneticamente modificate, l’uso di pesticidi nei campi, la somministrazione di antibiotici e ormoni negli allevamenti. Limitazioni sacrosante, insomma, ma che incomprensibilmente oggi l’Ue applica soltanto ai produttori interni e non al cibo che viene importato. E così, ad esempio, nei Paesi comunitari arrivano soia Ogm, riso trattato con insetticidi e fungicidi da noi vietati da anni, carne bovina ottenuta da animali allevati senza il rispetto di alcuno standard di benessere e alimentati persino con farine di carne e ossa di ruminanti: alimenti che, ogni giorno, finiscono nei nostri piatti. Fonte: WineNews, 15.05.2024
12 punti per l’Europa che vorremmo
Per un cibo buono, pulito, giusto e sano per tutte e tutti
L’Europa è al centro di innumerevoli crisi (ambientale, economica, sociale, sanitaria, culturale, demografica). Negli ultimi anni traguardi fondamentali che consideravamo raggiunti (la pace, la democrazia, la messa in sicurezza da pandemie che avevano decimato la popolazione nei secoli passati), e diritti che parevano acquisiti (come la libertà di stampa) hanno mostrato la loro fragilità.
Il modello di sviluppo attuale, che continua a inseguire – sempre più a fatica – i mercati globali e un’idea novecentesca di economia, basata su crescita infinita, iper-produttivismo, consumismo e spreco, sta erodendo le risorse naturali e la biodiversità (genetica, ma anche culturale) senza creare benessere per i cittadini.
Nel 2022, nell’Unione europea 95,3 milioni di persone (il 21,6% della popolazione), erano a rischio di povertà o di esclusione sociale. L’Italia era al di sopra della media con il 24,4% (Eurostat). Nel 2023 le famiglie italiane in povertà assoluta erano l’8,5%, pari a oltre 5 milioni e 700 mila persone (Istat).
Eppure l’Unione europea, sulla base di spinte politiche divergenti e pressioni di lobby economiche e finanziarie, non riesce a imboccare strade innovative e sostenibili su temi cruciali come agricoltura, ambiente e salute.
L’8 e il 9 giugno 2024, in Italia voteremo per i nostri rappresentanti al Parlamento europeo. Tutte e tutti noi abbiamo l’opportunità di sostenere politiche alimentari buone, pulite e giuste. Per il quinquennio 2024/2029 Slow Food Italia chiede un impegno preciso su 12 punti
La premessa generale è che il valore del cibo venga rimesso al centro delle agende politiche, perché fulcro di diritti fondamentali (alla salute, all’educazione, al lavoro) ed elemento potente per ripensare la vita stessa degli esseri umani su questo pianeta e il loro rapporto con la natura, in una logica non più predatoria, ma consapevole della finitezza delle risorse naturali e rispettosa di tutti gli esseri viventi e delle diversità.
1 – SÌ alla biodiversità e all’agroecologia
Negli ultimi 70 anni abbiamo distrutto i tre quarti delle varietà vegetali coltivate. Un patrimonio di agrobiodiversità che i contadini avevano selezionato nei 10.000 anni precedenti, ottenendo specie e varietà sempre più adatte al contesto: al clima, al suolo, alla presenza o meno di risorse idriche. Oggi una manciata di gruppi finanziari e di multinazionali controlla gran parte della produzione alimentare industriale: semi, fertilizzanti, pesticidi, genetica delle razze animali, trasformazione, distribuzione. L’agricoltura industriale non solo non si prende cura della fertilità della terra, ma si è addirittura trasformata in uno dei suoi principali nemici. E non crea economia, poiché sopravvive grazie alle sovvenzioni europee e implica immensi costi nascosti, in termini di inquinamento e salute.
Chiediamo di accompagnare e sostenere le aziende che producono secondo pratiche agroecologiche, preservando e rigenerando suolo e biodiversità, risparmiando risorse idriche, custodendo ecosistemi e paesaggi agrari. In particolare, chiediamo di bandire definitivamente il glifosato e ridurre drasticamente la dipendenza della nostra agricoltura da pesticidi e diserbanti, di dare obiettivi vincolanti per migliorare la qualità del suolo, tutelandolo dalla cementificazione, dall’urbanizzazione selvaggia, da speculazioni e da lavorazioni agricole e fertilizzazioni eccessive.
2 – SÌ a chi alleva con rispetto per gli animali e per la terra
L’approccio industriale ha snaturato l’allevamento separandolo dalla coltivazione dei campi: lo ha legato così ha legato a doppio filo a monocolture intensive di soia e di mais, lo ha condannato a una progressiva concentrazione. La zootecnia è diventata così una delle attività che hanno il maggiore impatto sull’ambiente (per emissioni di CO₂, consumo di acqua e suolo, deforestazione) sulla nostra salute (polveri sottili, antibiotico resistenza) e sul benessere degli animali.
Chiediamo di sostenere chi alleva rispettando gli animali, chi tutela ecosistemi fragili e presidia aree marginali, salvaguardando biodiversità e fertilità. Questa strada passa per la riduzione delle sovvenzioni ai grandi allevamenti industriali, la riduzione dei consumi di prodotti di origine animale, il sostegno di chi garantisce benessere animale, preserva territori e biodiversità: dei pascoli, dei prati stabili, delle razze animali da allevamento.
3 – SÌ al futuro delle terre alte
Dagli anni Cinquanta e Sessanta a oggi, in Italia, lo sviluppo del territorio si è concentrato sulle città e sulle coste, marginalizzando collina e montagna, ovvero oltre il 70% del territorio italiano, relegato allo status di area marginale. Questo processo di sviluppo squilibrato ha acuito disparità territoriali che sono diventate disuguaglianze sociali – perché chi abita in montagna non ha le stesse opportunità, lo stesso accesso ai diritti fondamentali di chi abita in città – e crea gravi problemi di gestione territoriale anche nelle aree a valle.
Chiediamo una strategia innovativa che metta le aree interne al centro, come luogo privilegiato del fare e dell’abitare. L’agricoltura, l’allevamento, la gestione forestale, l’artigianato alimentare e nuove forme di accoglienza e turismo, rispettose del carattere dei luoghi, possono diventare concrete prospettive di lavoro e di vita per contrastare il dissesto idrogeologico e la perdita dei paesaggi agrari, per evitare l’abbandono ma anche lo sviluppo squilibrato di quei territori presi d’assalto nei mesi estivi e svuotati nel resto dell’anno, per impedire lo smantellamento dei servizi, a partire da quelli fondamentali a tutela della salute, dell’istruzione e della mobilità.
4 – SÌ all’educazione alimentare in tutte le scuole
I giovani sono destinatari di un’offerta alimentare omologata, opulenta e consumistica, che favorisce un rapporto casuale e distratto col cibo e provoca una diffusione preoccupante di disturbi dei comportamenti alimentari. I cibi ultra-processati, in particolare, sono un costo enorme per la salute e l’ambiente.
È urgente un investimento in educazione alimentare, per diffondere nelle nuove generazioni conoscenza e consapevolezza sull’alimentazione, sulla salute, sulla relazione con la terra. L’educazione alimentare permette di comprendere il valore del cibo, conoscere il modo in cui viene prodotto, trasformato e distribuito, capirne le dinamiche sociali, culturali, economiche e ambientali. Permette dunque ai cittadini di domani di fare scelte consapevoli. Bisogna ridare valore al cibo anche attraverso le mense scolastiche, che devono diventare luoghi di educazione.
Chiediamo di rendere obbligatoria l’educazione alimentare per le scuole di ogni ordine e grado e chiediamo di promuovere un servizio di ristorazione collettiva basata su prodotti freschi, locali e di qualità, e che combatta lo spreco alimentare.
5 – SÌ a etichette complete e chiare
I cittadini hanno il diritto di accedere alle informazioni necessarie per fare scelte consapevoli, dal punto di vista ambientale, etico e della propria salute. Le etichette obbligatorie sono insufficienti. Le tabelle nutrizionali sugli alimenti non bastano.
Chiediamo un’azione netta verso una maggiore trasparenza. Chi acquista deve conoscere tutti gli aspetti della filiera: l’origine degli ingredienti, le tecniche di coltivazione, la tipologia di allevamento, la gestione del benessere animale, i metodi di trasformazione. Tutti gli additivi devono essere indicati con chiarezza.
6 – NO allo spreco del cibo
Un terzo del cibo prodotto viene sprecato. Un fenomeno che ha conseguenze pesantissime, perché implica spreco di acqua potabile, energia, suolo fertile, inutile dispersione di emissioni nell’atmosfera, di fertilizzanti e pesticidi nel terreno e nelle acque. Non si tratta di un danno collaterale, ma di un elemento necessario al sistema di produzione, distribuzione e consumo. Un dato inaccettabile, in un contesto globale che vede un numero enorme di persone malnutrite: 800 milioni soffrono per fame, oltre un miliardo per sovrappeso e obesità.
Chiediamo di promuovere azioni per ridurre gli sprechi lungo tutta la filiera: dalla produzione alla trasformazione, dalla distribuzione alla vendita; dalla ristorazione collettiva ai singoli cittadini.
7 – NO alla plastica usa e getta
Ogni giorno buttiamo nella spazzatura milioni di tonnellate di rifiuti plastici che contaminano l’ambiente, i mari e anche il nostro cibo, sotto forma di microplastiche. L’Italia è il secondo produttore di rifiuti plastici in Europa, e, tra i Paesi che affacciano sul Mediterraneo, è uno di quelli che inquinano di più
Chiediamo politiche che obblighino le aziende a ridurre al minimo gli imballaggi e che limitino la formula “usa e getta” ai casi strettamente necessari (come l’ambito sanitario), vietandola in tutti gli altri. Chiediamo inoltre di agevolare in ogni modo il riciclo, che oggi riguarda meno del 10% della plastica prodotta
8 – SÌ a una nuova relazione fra città e campagna
In Italia il 50% della popolazione vive in centri con più di 20.000 abitanti e oltre il 20% delle persone abita nelle 4 più grandi realtà urbane nazionali: Torino, Milano, Roma e Napoli. Nei principali agglomerati urbani risiedono, nel complesso, 22 milioni di abitanti, pari a oltre un terzo della popolazione nazionale.
La trasformazione del sistema alimentare urbano, di conseguenza, ha un’importanza decisiva. La perdita del legame con la terra e la nascita di filiere alimentari lunghissime e complicate da un lato ha marginalizzato gli agricoltori e, dall’altro, ha reso i consumatori sempre meno consapevoli di come si produce il cibo e quindi del suo valore.
Chiediamo di accompagnare le amministrazioni cittadine affinché promuovano politiche del cibo virtuose, dando spazio agli orti urbani, agevolando la nascita di mercati dei produttori locali, riqualificando la ristorazione collettiva e collegandola con l’agricoltura locale.
9 – SÌ alla pesca artigianale e alla tutela degli ecosistemi costieri
Le principali minacce per l’ecosistema mediterraneo sono l’inquinamento chimico e organico, l’invasione della plastica, lo sfruttamento degli ecosistemi marino-costieri, la pesca intensiva, l’aumento della pressione antropica lungo le coste e la cementificazione.
La piccola pesca costiera è una forma di prelievo sostenibile che – se ben pianificata e gestita – può diventare un elemento importante per la tutela e la valorizzazione della biodiversità e costituisce un patrimonio sociale e culturale immenso.
In Italia il settore della pesca è rappresentato in larga parte da pescatori costieri, ed è in grave crisi da decenni. Nell’arco di 30 anni, la flotta italiana è passata da 20.486 pescherecci (nel 1992) a 12.000 pescherecci (dato 2021).
Chiediamo di sostenere la piccola pesca costiera, consentendo anche un ricambio generazionale, senza il quale rischiamo di non avere più pescatori nel giro di pochi anni. È necessario promuovere forme innovative di cogestione degli ecosistemi costieri, capaci di mettere insieme pescatori, istituzioni ed enti di ricerca, per trovare soluzioni adatte ai singoli contesti.
L’Europa non deve più supportare le grandi flottiglie e le pratiche di pesca che impoveriscono i mari e devastano i fondali. La pesca a strascico, in particolare, deve essere vietata in modo categorico nelle aree marine protette, nelle zone di pregio naturalistico e nelle aree di riproduzione.L’acquacoltura va promossa soltanto nei casi in cui sia sostenibile (ad esempio la mitilicoltura), ma deve essere combattuta quando contribuisce allo sfruttamento eccessivo della fauna ittica e mette in grave pericolo l’ecosistema marino per l’uso sconsiderato di antibiotici e per l’impoverimento genetico che comporta.
10 – SÌ a prezzi giusti per gli agricoltori e a una concorrenza leale
Da tempo, nel settore agricolo europeo, i conti non tornano: spesso le aziende non riescono a coprire neppure i costi di produzione. La politica dei prezzi bassi, promossa principalmente dalla grande distribuzione, nasconde costi sociali e ambientali enormi, in termini di salute, inquinamento, sfruttamento del lavoro, soprusi. Gli agricoltori sono schiacciati anche dal peso (e dunque dal costo) della burocrazia, che invece di essere semplificata, continua ad aumentare e non distingue le realtà di piccole e medie dimensioni da quelle più grandi, in grado di attrezzarsi con personale dedicato.
Chiediamo di attuare tutte le politiche necessarie per riconoscere un giusto prezzo agli agricoltori che producono cibo nel rispetto del suolo e della salute dei consumatori e per semplificare realmente la burocrazia.
Un altro problema grave del settore agricolo è la concorrenza – sleale di fatto, legale nella forma – da parte di Paesi che non sono tenuti a rispettare le regole valide in Europa e/o in Italia.
Chiediamo di inserire clausole specchio che tutelino il principio di reciprocità, garantendo che i prodotti agricoli importati da Paesi extra Ue soddisfino gli stessi requisiti sociali (diritti di lavoratori e consumatori), ambientali e sanitari (uso di pesticidi pericolosi, deforestazione, benessere animale) richiesti ai produttori del paese importatore oltre agli stessi standard di produzione.
11 – SÌ alla ricerca per una vera sovranità alimentare. NO agli Ogm e ai brevetti
La proposta di deregolamentazione dei nuovi Ogm avanzata dalla Commissione europea compromette il diritto delle popolazioni alla sovranità alimentare e va nella direzione di un modello di produzione governato da pochi industriali e ancorato a sistemi brevettuali e condizioni capestro. Inoltre, rischia di compromettere l’impegno di generazioni di agricoltori per la costruzione di modelli agricoli basati sull’equilibrio tra genetica e ambiente, nega il diritto dei consumatori a essere consapevoli di ciò di cui si nutrono; rischia di compromettere l’impegno. L’idea che i nuovi Ogm possano dare risposte alle esigenze di sostenibilità delle produzioni agricole si colloca nella visione riduzionista secondo cui basta accendere o spegnere una espressione genica per poter disporre di varietà più adattabili ai contesti climatici e colturali e distrae agricoltori e consumatori dalle reali scelte virtuose che potrebbero garantire una transizione agroecologica; scelte che passano dalla biodiversità, dalla conservazione della fertilità dei suoli e dalla riduzione dell’uso della chimica di sintesi.
Chiediamo di regolamentare tutti gli Ogm, svolgendo appropriate valutazioni dei rischi e garantendo ai consumatori trasparenza e tracciabilità lungo tutta la filiera. Siamo favorevoli alla ricerca scientifica e all’innovazione tecnica, ma pretendiamo che sia principalmente pubblica, accessibile, orientata verso il bene comune e le vere esigenze dei territori e delle comunità.
12 – SÌ alla diversità e all’accoglienza
Il cibo è, allo stesso tempo, elemento di affermazione identitaria e mezzo di scambio culturale. È la prima e la più facile forma di contatto e mediazione tra civiltà diverse.
I cibi tradizionali sono l’esito di innumerevoli incroci e contaminazioni culturali. Il convivio (che deriva da cum-vivere, ovvero vivere insieme), ma anche molti luoghi di produzione, come l’orto e il forno è storicamente anche ambito di incontro, socialità, solidarietà. Proprio partendo da una nuova attenzione verso il cibo, inteso non come merce ma come nutrimento e cultura, chiediamo politiche di accoglienza e di vera integrazione verso le persone che migrano attraverso i Balcani o il Mediterraneo.
E chiediamo altresì di sostenere politiche economiche e commerciali che garantiscano la sovranità alimentare a tutti i popoli e che evitino di esportare nel sud del mondo le esternalità negative del sistema alimentare occidentale, come la deforestazione per produrre mangimi e oli alimentari, la produzione ed esportazione in Sud America di pesticidi vietati in Europa, il land grabbing, il water grabbing e la depredazione dei mari africani da parte delle flotte industriali europee, l’esportazione di derrate agricole sottocosto nel sud del mondo (dumping).
La nostra voce si unisce a quella del movimento di Slow Food in Europa, che con la campagna “Feed the Change” vuole sottolineare l’importanza della transizione verso sistemi alimentari sostenibili nelle prossime elezioni europee e incoraggiare i cittadini europei a usare il loro voto per renderla possibile.