Sono un esercito di giovani ricercatori e attivisti sparsi in tutto il mondo che usano le piattaforme per promuovere campagne e diffondere dati meno allarmistici. Il professor Christensen: «La terza via è la cosa migliore»
Incrociare il sorriso aperto di Francisco Javier Vera, nelle sale che ospitavano l’ultimo vertice sul clima, lo scorso autunno a Glasgow, valeva quanto mille rassicurazioni. Perfino più di quel cartello sotto il quale amava farsi fotografare, con la scritta: “We can do this, now” (possiamo farlo, ora). Francisco è un ragazzino colombiano di 12 anni. Nel suo Paese ha fondato un movimento, Guardiani della Vita, con cui ha piantato centinaia di alberi nelle città. Pubblica video in cui insegna ad usare trasporti sostenibili, evitare la plastica, riciclare. Tra Facebook, Instagram e Twitter supera il mezzo milione di follower e ha appena finito di scrivere un libro. Quando ha ricevuto le prime minacce di morte, ha fatto spallucce. La sua “filosofia di vita”? «Se impari ad amare la natura che ti circonda, come un familiare o un animale domestico, vorrai proteggerla».
L’ultimo report del panel Onu sul clima
No, non è “game over”. Il pianeta ha la febbre ma non è in fin di vita. Il messaggio dell’ultimo rapporto IPCC, il foro scientifico delle Nazioni Unite, è chiaro: c’è ancora un ampio margine di intervento per evitare che il cambiamento climatico diventi un disastro, ma è tempo di agire. Anche se Greta Thunberg avverte che la sintesi politica del rapporto «è annacquata », il cambio di “narrativa” dei climatologi è evidente. La catastrofe esce dal loro vocabolario, sostituita da una nuova parola chiave: “pro-attivismo”. Il report sulla mitigazione è un meraviglioso catalogo di soluzioni per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. È un cambio di prospettiva che, soprattutto fra i giovani scienziati e attivisti, è già movimento. Il New York Times li ha ribattezzati “Ok, Doomer”, ispirandosi agli “Ok, Boomer” della Generazione Z (i nati dopo il 1995): se questi ultimi si ribellavano ai genitori nati negli Anni 60, gli anti-doomer contestano chi predica il collasso ecologico imminente (i “doomer” appunto).
SECONDO UNA RICERCA SU 10.000 GIOVANI DAI 16 AI 25 ANNI, L’ECO-ANSIA È CRESCIUTA, ANCHE A CAUSA DI PANDEMIA E GUERRA: IL 50% PENSA CHE L’UMANITÀ SIA CONDANNATA
L’attivista colombiano Francisco Javier Vera, 12 anni, che ha fondato il movimento «Guardiani della vita»
Il loro slogan è opposto: «Non è troppo tardi per cambiare le cose». Nessuna marcia indietro rispetto agli allarmi lanciati dalla scienza: le emissioni di CO2 continuano ad aumentare, anche se ad un ritmo inferiore. «Ma la situazione peggiorerà quanto più tempo ci vorrà per agire», dice la venticinquenne Alaina Wood. Per il quotidiano Usa, Alaina è la quintessenza degli “Ok, doomer”: una scienziata della sostenibilità che sulla piattaforma social TikTok (@thegarbagequeen) «sfata l’idea che tutta l’umanità morirà entro decenni» e informa piuttosto sulla creazione del primo santuario delle balene d’America.
Bali, la lotta per bandire sacchetti e cannucce
Seguitissima su TikTok è anche Shelbi Storme (@shelbizleee) che forte di 4 milioni di like rende divertente la sostenibilità insegnando come conservare i cibi o riciclare i cavi elettrici. L’indonesiana Melati Wijsen, invece, ha lanciato un progetto di emancipazione giovanile – Youthtopia – e attraverso l’associazione Bye Bye Plastic Bags è riuscita a far bandire i sacchetti e le cannucce di plastica a Bali, oltre ad essere la protagonista di un docufilm presentato a Cannes, Bigger than us. «Puntare il dito è un modo per combattere il cambiamento climatico, io ho preferito sedermi a un tavolo a discutere, per comprendere gli ostacoli e creare il cambiamento», spiega.
Shelbi Storme, americana, che promuove la sostenibiità su Tik Tok insegnando anche come conservare i cibi
Fare la differenza e combattere l’eco-ansia
L’ottimismo e la voglia di «fare la differenza » di Melati, Francisco, Alaina, Shelbi sono la migliore risposta a un fenomeno che, associato alla pandemia e più di recente alla guerra, sembra far strage nella mente dei giovani: l’eco-ansia. Oltre la metà dei 10.000 intervistati, tra i 16 e i 25 anni, in un sondaggio condotto in 10 Paesi afferma che «l’umanità è condannata»; tre quarti che «il futuro è spaventoso». Una visione pessimistica che in molti altri giovani è però superata da un atteggiamento propositivo, a volte rivendicativo. Lo conferma Silvia Figini, direttrice del Dipartimento di Scienze politiche e sociali all’Università di Pavia, che ha appena concluso un’indagine fra gli studenti italiani delle scuole superiori (classi IV e V) su tematiche come la raccolta differenziata dei rifiuti, l’ecologia o la salvaguardia del pianeta. «Non emerge un sentimento di paura ma un senso di pro-attività», sintetizza la docente di statistica. Se il 71% è d’accordo nel giudicare peggiorato lo stato di salute del pianeta negli ultimi due anni, oltre il 40% chiede che l’Università inserisca la materia Sostenibilità in tutti i corsi di studi; l’87,2% conosce l’importanza della raccolta differenziata, il 74% ritiene necessario un miglioramento dell’utilizzo dell’energia.
Essenziale guidare bene la transizione energetica
Le azioni individuali contano, ma da sole non sono sufficienti a combattere la crisi climatica nella scala richiesta. La transizione energetica guidata dai governi è essenziale. L’ultimo rapporto dell’IPCC dimostra che, a seconda della quantità di carbone, petrolio e gas naturale bruciati, il riscaldamento terrestre entro il 2100 potrebbe essere compreso tra 1,4 e 4,4°C, rispetto all’epoca pre-industriale. Con scenari via via più inquietanti. La climatologa Jacquelyn Gill dell’Università del Maine, co-autrice del report, però commenta: «Mi rifiuto di scrivere il necrologio per qualcosa che è ancora vivo, la Terra». E Michael Mann dell’Università della Pennsylvania, tra i più famosi climatologi al mondo, insinua il sospetto che alcune delle stesse organizzazioni o aziende che hanno negato per anni il cambiamento climatico ora stiano fomentando la tesi del “troppo tardi”. Non lo è, sottolinea. Se prima gli scienziati pensavano che la Terra avrebbe continuato a surriscaldarsi anche dopo lo stop alle emissioni di CO2, le stime più recenti sostengono che pochi anni dopo il raggiungimento del “Net Zero” i livelli di anidride carbonica in atmosfera inizieranno a scendere a causa della capacità di assorbimento di oceani e foreste e la temperatura si stabilizzerà.
Melati Wijsen, indonesiana, è riuscita a far bandire cannucce e sacchetti di plastica su tutta l’isola di Bali
Non basta piantar alberi dall’altra parte del mondo
«Piantare alberi non ci salverà, creare eco-sistemi sì», conferma Lorenzo M.W. Rossi, ricercatore all’Università di Milano esperto in ecologia del suolo e convinto “anti-catastrofista”. Ricorda il programma mondiale 4×1000, secondo cui una gestione attenta delle risorse può aumentare la capacità naturale del suolo di assorbire il carbonio: «In teoria, aumentando lo stoccaggio di carbonio del 4X1000 nei suoli agricoli globali riusciremmo a stoccare tutta la CO2 in eccesso in atmosfera. Con un cambiamento piccolo si risolverebbe il problema del cambiamento climatico. La riforestazione, ad esempio, non solo aumenta lo stoccaggio all’interno della bio-massa delle piante ma, attraverso radici e foglie morte, anche all’interno del suolo, che diventa una sorta di cassaforte del carbonio». Sono pratiche cui oggi guardano pure le aziende. «Ma servono regole e controlli, per evitare il greenwashing. Non si può andare a piantare l’alberello in Patagonia per compensare la deforestazione da un’altra parte del mondo.
Jon Christensen, professore universitario californiano: ha creato una serie di video che uniscono arte e scienza
La terza via: soleggiato con possibilità di Apocalisse
Tra catastrofisti e anti-catastrofisti, il professor Jon Christensen dell’Università della California, raccomanda la via mediana: «Associare una visione distopica a ciò che deve essere fatto per evitare che diventi reale. È l’approccio californiano: soleggiato con possibilità di Apocalisse». Le visioni spaventose sono facili da evocare, usando i dati della scienza, più complessa è la seconda parte di questa strategia di comunicazione, quando gran parte della nostra vita ancora dipende dai combustibili fossili. Christensen ha creato una serie di video — “Climate Lab” — che uniscono arte e scienza. Un successo con milioni di visualizzazioni, per non sentirsi sopraffatti e crederci ancora. Fonte: la Repubblica, il 7, Sara Gandolfi, 22.04.2022