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Feb 10 2022

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GIORNATA MONDIALE DEI LEGUMI: IL 10 FEBBRAIO LEGUMI PROTAGONISTI IN 140 RISTORANTI

Saranno oltre 140 i cuochi che il 10 febbraio, Giornata mondiale dei legumi, proporranno nei loro menù almeno un piatto a base di legumi.
È #AggiungiUnlegumeATavola, l’iniziativa lanciata in tutta Italia da Slow Food per valorizzare i legumi meno conosciuti, utilizzando i Presìdi Slow Food o riproponendo ricette antiche

La Giornata mondiale dei legumi

Istituita dalla Fao nel 2019, la Giornata mondiale dei legumi ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei consumatori sui valori nutrizionali dei legumi e sostenere il loro ruolo nei sistemi agroalimentari sostenibili.

Nel 2022, il focus è proprio sul ruolo che questi preziosi alimenti possono avere – soprattutto per le nuove generazioni – nella costruzione di un’agricoltura rispettosa della terra e delle risorse idriche e nella composizione di una dieta sana ed equilibrata.

I legumi sono infatti una fonte di proteine di qualità, oltre a essere ricchi di fibre e antiossidanti: proprietà che li rendono alleati utilissimi nella prevenzione di malattie cardiovascolari e diabete. Oltre a essere ottimi alleati per la salute, sono anche uno strumento essenziale per affrontare il cambiamento climatico perché, richiedendo poco terreno e poca acqua, possono essere coltivati anche in zone caratterizzate da forte siccità.

Aggiungi un legume a tavola

Aggiungi un legume a tavola

Ad aderire all’appello #AggiungiUnLegumeATavola, lanciato da Slow Food Italia e Slow Food Youth Network Italia, sono stati oltre 140 cuochi dell’Alleanza Slow Food, distribuiti in ogni regione italiana.

Qualche esempio? Si va dai ceci di Cicerale, proposti come vellutata servita con cicoria ripassata nel ristorante Vasilico di Salerno, ai fagioli del Purgatorio di Gradoli, preparati da Namo Ristobottega di Tarquinia accompagnati con gnocchetti di pane con biete di campo e rape bianche. E ancora, il macco di fave sgusciate di Modica del ristorante Casa e Putia di Messina,  l’Osteria della Villetta a Palazzolo sull’Oglio prepara una zuppa con le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio mentre la Trattoria d’Oria di Candelo propone una zuppa con i ceci neri della Murgia Carsica e Sciambroja.

Non mancano proposte a base di roveja di Civita di Cascia, le cicerchie di Serra de’ Conti, la fagiolina d’Arsoli, a dimostrazione della grande varietà di legumi che l’Italia offre e del fondamentale ruolo educativo e culturale svolto dai cuochi curiosi e consapevoli.

Tutti i ristoranti e i menù sono consultabili sull’apposito sito.  Fonte: InformaCiBo, Oriana Davini, 09.02.2022

Legumi, i benefici per salute e ambiente: ecco quanto dovremmo consumarne

(Credit: Sean Gallup / Getty Images) 

Ricchi di proteine, facili da coltivare e da cucinare: i legumi fanno bene e sono un perfetto alleato per combattere la fame nel mondo

Tavole imbandite di legumi, almeno per un giorno, anche perché nei piatti degli italiani ceci, fagioli e lenticchie non occupano un posto di gran rilievo. “Un tempo era diverso, quando la gente andava a coltivare la terra e faceva una gran fatica fisica, allora si tenevano in piedi con pane e legumi. Di carne se ne mangiava poca”, racconta il professor Andrea Ghiselli, presidente Società italiana di Scienza dell’Alimentazione.

I legumi invece sono alleati fondamentali per combattere la malnutrizione, portare avanti un’agricoltura sostenibile e una dieta equilibrata. Per questo motivo la FAO promuove dal 2018 la Giornata mondiale dei legumi, che si celebra il 10 febbraio. Sono un prodotto che si coltiva bene in terreni aridi, con un basso impatto ambientale e possono essere conservati a lungo. Per non parlare della facilità di cottura: si trasformano in gustosi antipasti, primi sfiziosi e secondi fantasiosi, ma sono buonissimi anche semplicemente lessati o cotti al vapore.

“I legumi costituiscono una fonte proteica molto importante, forniscono metalli, ferro, fibra – spiega il professor Ghiselli – e potrebbero essere assunti sempre, anche a colazione, ma questo non fa parte delle nostre abitudini. Eppure sarebbe importante fare scorta di proteine la mattina, oppure sceglierli come spuntino”.

Secondo una stima della Coldiretti, nel 2021 i consumi dei legumi nel nostro Paese sarebbero aumentati del 15 per cento. In genere però nel piatto degli italiani compaiono sì e no una volta alla settimana. “Seguendo le nostre abitudini, sarebbe già utile gustare ceci, fagioli, lenticchie tre giorni su sette. E non bisogna considerarli un contorno, ma un complemento del primo. Oppure un secondo completo. Potremmo mangiarli tutti i giorni, a pranzo e a cena”.

La famosa dieta Eat Lancet, che coniuga salute e sostenibilità, ne propone un uso costante. “Il tetto sta comunque nell’equilibrio – prosegue Ghiselli – Se si mangiano tutti i giorni legumi, senza consumare pesce, carne e uova, potrebbe esserci uno squilibrio. Se invece si abbinano al resto del cibo, se ne posso mangiare a volontà. Danno sazietà, ferro, proteine vegetali”.

I fagioli e i ceci sono tra i preferiti degli italiani, seguiti dalle lenticchie. “Anche piselli e fave sono legumi, ma hanno un contenuto maggiore di acqua: se nei fagioli freschi ci sono 10 grammi di proteine, in fave e piselli ce ne sono 5, quindi o se ne mangia una doppia porzione oppure si dovrebbero scegliere quelli secchi. Poi ci sono fagiolini e fagioli corallo, anche loro sono legumi ma non vengono inclusi nella categoria perché consumati con tutto il baccello, quindi sono considerati verdura”.

E il lato oscuro dei legumi? “Praticamente non esiste, eccetto che per le persone particolarmente sensibili ai prodotti fermentabili (e naturalmente gli allergici) a cui potrebbero causare dei fastidi come flatulenza, gonfiore, distensione addominale. Ancora non è ancora chiaro se consumare i ‘legumi a imitazione’, (pasta, bistecche, realizzate con i legumi) faccia ugualmente bene, probabilmente sì. In ogni caso, oggi, dovremmo tutti insistere sulle proteine vegetali”.  Fonte: IL GIUSTO, Priscilla Di Thiene, 10.02.2022

Legumi, 6 ricette (semplici e tradizionali) con i Presidi Slow Food

In occasione della giornata mondiale dei legumi organizzata dalla FAO, 145 cuochi dell’Alleanza Slow Food inseriscono nei loro menu (intorno al 10 febbraio) almeno un piatto a base di legumi. In questo articolo ecco alcune ricette con varietà particolari proposte dalle osterie aderenti all’iniziativa

L’iniziativa delle osterie e le ricette scelte da Slow Food

Ricchi di proteine e di proprietà benefiche per la salute. Fondamentali nella lotta alla povertà e per la sostenibilità ambientale. Dal 2018, ogni 10 febbraio, la FAO celebra «La giornata mondiale dei legumi» con una campagna di sensibilizzazione destinata ai consumatori e che coinvolge governi e associazioni di tutto il mondo. Fra queste c’è anche Slow food. Oltre ai contenuti social che raccontano storie e spiegano il valore di questo alimento, l’associazione nata a Bra nel 1986 ha lanciato una proposta che riguarda, nello specifico, il mondo della ristorazione. Per alcuni giorni (intorno al 10 febbraio) 145 cuochi dell’Alleanza Slow Food (da tutte le regioni italiane) inseriscono nei loro menu almeno un piatto a base di legumi. Varietà particolari, Presìdi Slow Food che spesso rischiavano di scomparire e invece sono stati salvati — grazie all’intervento di audaci coltivatori — sull’orlo dell’estinzione. Ora, tali legumi sopravvivono in piccole aree e nelle ricette proposte dalle cucine del posto e non solo. Fra questi, ci sono i ceci di Cicerale e la roveja di Civita di Cascia. Ma pure i fagioli di San Quirino e la cicerchia di Serra de’ Conti. Varietà che con il territorio e le comunità mantengono un rapporto viscerale, ma che (essiccate) possono viaggiare anche chilometri per deliziare tavole di altre regioni in varie stagioni. Nell’articolo vi raccontiamo 6 prodotti, riportando le ricette delle osterie selezionate da Slow food. Sono tutte preparazioni semplici e genuine valorizzate dai cuochi di altrettanti ristoranti. Prima però scopriamo le proprietà e i motivi che rendono i legumi così speciali.

Le proprietà dei legumi

Ogni anno la FAO individua tematiche specifiche da promuovere nella campagna di sensibilizzazione. Per il 2022, il focus è sul ruolo che questi preziosi alimenti possono avere per le nuove generazioni (e non soltanto) nella costruzione di un’agricoltura rispettosa della terra e delle risorse idriche, e in diete sane ed equilibrate.

Valori nutrizionali e benefici per la salute

I legumi sono alimenti ad alto valore nutrizionale: sono infatti fonte di proteine e micronutrienti, e possono essere conservati per mesi senza perdere le loro proprietà. Ricchi di fibre e antiossidanti, risultano molto utili anche nel prevenire malattie cardiovascolari e diabete.

Amici dell’ambiente

I loro benefici sono evidenti anche in fase di coltivazione. Qui sono noti per fissare l’azoto atmosferico, contribuendo ad arricchire il suolo di materia organica e aumentando la sua capacità di trattenere l’acqua. Caratteristiche che li rendono resistenti alla siccità e consentono agli agricoltori di ottimizzare l’uso dei fertilizzanti e dell’energia nei sistemi arabili, con una conseguente riduzione anche delle emissioni di gas a effetto serra. Riducono l’inquinamento, ma la poca richiesta d’acqua li rende perfetti pure per coesistere con altre colture: ciò accresce la biodiversità delle aziende che godono di un contesto diversificato anche per animali ed insetti.
Alleati dei piccoli produttori

Un’altra «qualità» da non trascurare riguarda l’economia. Rispetto ad altre colture alimentari di base, i legumi hanno un prezzo di vendita più elevato e sono quindi un’importante risorsa commerciale per i piccoli produttori.

Zuppa di roveja di Civita di Cascia con crostini caldi

La roveja è una varietà del pisello, dal seme colorato che va dal verde scuro al marrone grigio. Nei secoli passati era coltivata su tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui Monti Sibillini. Mentre oggi sopravvive nella Valnerina (Umbria) e in particolare a Cascia (PG). In questa vallata, la roveja si semina a marzo a un’altitudine che va dai 600 ai 1200 metri e si raccoglie tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. Si può mangiare fresca o essiccata dove è molto usata in zuppe e minestre. Se invece viene macinata a pietra, diventa una farina amarognola con cui si prepara una specie di polenta locale. Il piatto che vi raccontiamo è una zuppa in cui il legume è accompagnato da crostini caldi. Si trova nel menu del «Ristorante Pane e Vino» di Todi, in provincia di Perugia, dove Loredana Angelatoni propone una cucina saldamente legata alle materie prime del territorio e alle vecchie tradizioni.

Ingredienti per 4 persone (tempo: 1 h 30 m) 300 g di roveja di Civita di Cascia, 1 carota, 2 coste di sedano, mezza cipolla, 100 g di pomodoro, 1 litro di brodo vegetale, sale q.b., pepe q.b., pane abbrustolito q.b., 3 cucchiai di olio evo

Preparazione
Mettete in ammollo la roveja per una notte. Riempite un tegame d’acqua e aggiungete il legume, che deve essere interamente coperto. Quando arriva a bollore fate cuocere per circa 40 minuti. Nel frattempo, fate soffriggere in una padella carota, sedano e cipolla (precedentemente lavati tagliati a pezzetti), poi aggiungete la salsa di pomodoro (nel periodo estivo va bene anche il pomodoro fresco a cubetti) e la roveja. Aggiustate di sale e pepe e ogni tanto aggiungete una mestolata di brodo vegetale. Lasciate cuocere per un’altra mezz’ora. Impiattate, aggiungete dei pezzetti di pane abbrustolito e condite con un filo olio.

Crema con la cicerchia di Serra de’ Conti, limone e pecorino

Una varietà minuta e spigolosa la cicerchia di Serra de’ Conti. Ha colorazioni che vanno dal grigio al marrone chiaro maculato e già a metà del secolo scorso rischiava di scomparire. Per fortuna, però, questo legume locale è stato salvato da un gruppo di giovani agricoltori riunitisi nella cooperativa «La bona usanza», nel paesino in provincia di Ancona. Rispetto alle altre cicerchie, questa ha una buccia coriacea ed è meno amara. Caratteristiche che la rendono particolarmente versatile: è buona infatti sia in zuppe e minestre, sia come purè o ad accompagnare lo zampone. Con la farine ricavate, poi, si preparano maltagliati e pappardelle. Il piatto scelto da Slow Food viene dalla cucina dell’«Osteria Ophis», a Offida (AP). Dove lo chef Daniele Citeroni Maurizi prepara una crema, fatta con il legume, arricchita da limone e pecorino, poi messa in frigo per farla raffreddare.

Ingredienti per 6 persone (tempo: 1 h per la crema, 4 ore per farla gelificare)

350 g di cicerchie, 2 spicchi di aglio, 50 g di cipolla, 50 g di sedano, 50 g di carote, 2 foglie di alloro, 1 rametto di rosmarino, 2 ciuffi di finocchietto, 3 rametti di timo, 2 rametti di maggiorana, 4-5 baffi di erba cipollina, 10 g di peperoncino, 10 g di gelatina alimentare, 50 ml di olio extra vergine d’oliva di Ascolana tenera, 100 g di pecorino dei Monti Sibillini media stagionatura, 1 limone bio, sale e pepe q.b., alloro q.b., rosmarino q.b.

Preparazione
Iniziate mettendo in ammollo la cicerchia per almeno 8-10 ore al fresco, e cambiando l’acqua di tanto in tanto. Trascorso il tempo di ammollo, lessatela in acqua bollente con alloro e rosmarino. Poi, una volta cotta, fatela freddare nella sua acqua e scolatela. Ora, iniziate a preparare la crema facendo soffriggere nell’olio tutte le verdure e le erbette. Unite la cicerchia e fatela rosolare. Salate leggermente e coprite con acqua calda. A questo punto, lasciate cuocere per 30 minuti finché il liquido non si ritiri un poco. Aggiustate di sale e pepe, e successivamente frullate il tutto, colandolo poi al setaccio. Prendete la crema e rimettetela a bollire, poi aggiungete la gelatina alimentare e lasciate raffreddare in appositi stampini. Riponete in frigo e lasciate almeno 4 ore. Una volta freddi, sformateli e servite con una abbondante grattugiata di limone, di pecorino e un filo d’olio.

Pasta con i fagioli di San Quirino

Di forma allungata, marrone chiaro. Con un occhietto bianco e un’iride scura. I fagioli di San Quirino sono una varietà diffusasi nell’800 in questo piccolo centro del pordenonese. La raccolta, come da tradizione, avviene a mano, estirpando le piante (nane e coltivate in fila). Queste, poi, vengono fatte essiccare e battute con bastoni di legno per far uscire i semi dal baccello. Si lasciano poi asciugare al sole per qualche giorno e si conservano in sacchi di juta. Vengono usati per pietanze come la pasta e fagioli alla friulana, o la tipica fasoi e frumenton, che si prepara mettendo in ammollo fagioli e grano, e cuocendoli per circa due ore con lardo battuto, prezzemolo, olio, patate, sale e pepe. Il cuoco veneto Alberto Damoli, dell’«Osteria Ripasso» di Verona, ha scelto di proporci una tradizionale pasta (all’uovo) e fasoi. Un classico intramontabile.

Ingredienti per 4 persone (tempo: 3 h)

200 g di fagioli, 30 g di cipolla, 20 g di sedano, 30 g di carote, prezzemolo q.b, uno spicchio di aglio, olio evo q.b., pepe q.b., sale q.b., un po’ di concentrato di pomodoro, 250 g di pasta all’uovo
Preparazione
Mettete in ammollo i fagioli la sera prima della preparazione. Sgocciolateli, poi cuoceteli per circa 2 ore in abbondante acqua. Ritiratene la metà e frullateli ricavando una crema, eventualmente regolando la consistenza con un po’ d’acqua di cottura. Preparate in una casseruola un soffritto di cipolla, sedano, carote, prezzemolo e aglio (in alternativa quest’ultimo potete lasciarlo intero e schiacciarlo) e aggiungete l’altra metà dei fagioli non frullata. Fate cuocere, poi versate il frullato di fagioli, circa un litro e mezzo di acqua, il concentrato di pomodoro e salate. Dopo 30 minuti di cottura, aggiungete i fagioli interi e poi la pasta all’uovo del formato che avete scelto. La consistenza del composto deve essere piuttosto densa. Fatela ritirare, regolate di sale e pepe, quest’ultimo macinato al momento. Scolate la pasta, amalgamate in casseruola e servite in ciotole monoporzione con un giro d’olio crudo. Calda o tiepida o fredda: questa pasta è buona in ogni caso.

Freselle con fagioli di Controne

Quello di Controne è un fagiolo tardivo, piccolo e dai semi bianchissimi. In Cilento, viene seminato tra la prima e la seconda decade di luglio. La raccolta avviene a novembre, proprio quando tutto il paese si riunisce per celebrare l’evento e gustare insieme i piatti tipici della zona. La ricetta che vi proponiamo è una fresella ai grani antichi con cicorietta, pomodori secchi, olive nere e cipolla. Un piatto saporito e tradizionale che si può assaggiare da «Ci.Bo Cilento Food Boutique» ad Acciaroli (SA), preparata dal cuoco Alessandro Caputo.

Ingredienti per 5 persone (tempo: 1 h)

Cinque freselle, 5 manciate di cicorietta (solo le foglie di catalogna) 100 g di fagioli di Controne, 3 pomodori secchi per fresella, oliva nera di Paestum q.b., una cipolla di Tropea, origano rosso del Monte Cervati, uno spicchio d’aglio, olio evo q.b, sale q.b.

Preparazione
Mettete i fagioli a bagno in acqua per una notte. Il giorno seguente in un tegame in abbondante acqua, aggiungete i legumi e fateli cuocere fino a che non sono diventati morbidi. In una padella mettete un filo di olio, uno spicchio di aglio, poi aggiungete le foglie di catalogna e fatele appassire leggermente. Bagnate la fresella in acqua fredda, mettetela in un piatto e irrorate con un filo d’olio evo. Appoggiate sulla fresella un po’ di catalogna (precedentemente stufata), due cucchiai di fagioli, due pomodori secchi, qualche oliva nera, un po’ di cipolla rossa tagliata a fettine sottili e origano a piacere. Controllate se ci sia bisogno di sale prima di impiattare. In abbinamento il vino proposto è un Fiano cilentano in purezza.

Il Maccu con le fave cottoie di Modica

Inizialmente la fava modicana era utilizzata per nutrire il bestiame e come leguminosa nella rotazione delle colture dei cereali, grazie alla sua capacità di fissare azoto e di lasciarlo nel suolo. In alcune contrade del paese in provincia di Ragusa celebre per il suo cioccolato, iniziò a essere utilizzata anche in cucina, dove la sua peculiarità è una cottura più rapida rispetto ad altre varietà (ecco perché è detta fava cottoia). Il ristorante di Messina, «Casa & Putia», le usa per preparare il maccu, un piatto nutriente e molto antico: una purea a cui vengono spesso aggiunte delle verdure. Lo sprint del piatto? Il profumo del finocchietto selvatico.

Ingredienti per 8 persone (tempo: 1 h e 30 min)

1,5 kg di fave sgusciate di Modica, 1 cipolla bianca, 1 mazzetto di finocchietto selvatico, 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva Brandofino, ricotta di pecora q.b., sale q.b., pepe q.b..

Preparazione
Tagliate la cipolla e rosolatela in una padella con due cucchiai di olio. Al soffritto unite le fave, già ammollate in acqua almeno dalla sera precedente, e il finocchietto tagliuzzato al coltello. Versate nel composto circa due litri di acqua e lasciate cuocere per almeno due ore e a fuoco lento. Passato questo tempo di cottura e quando vi sarete accorti che le fave si sono trasformate in una purea, togliete la pentola dal fuoco. Prendete una fondina e, mettendo sul fondo una o due quenelle di ricotta di pecora a temperatura ambiente, versate il macco. Condite con l’olio, il sale, una macinata di pepe fresco e un ciuffetto di finocchietto selvatico. Se volete potete anche aggiungere della pasta: di norma si utilizzano gli spaghetti spezzettati, ma potete scegliere anche la mista cuocendola all’interno della purea stessa.

Crema di ceci di Cicerale con crema di peperoncino e aceto di mele

Il cece di Cicerale è un legume dal colore dorato, le sfumature nocciola chiaro e il sapore intenso. È originario dell’Asia occidentale, ma migliaia di anni fa ha trovato il suo territorio di elezione sulle colline che circondano il piccolo paese di Cicerale, in Cilento. Qui c’era una produzione importante già nel Medioevo, con una tradizione che si mantiene ancora oggi. Il piatto che trovate sotto, però, non viene da un’osteria cilentana. Ma da una realtà milanese, «Linearetta»: la pietanza si chiama «Radici profonde» ed è cucinato da Davide Ambrosini. È una crema di ceci, profumata con timo, salvia, rosmarino e aceto di mele.

Ingredienti per 6 persone (tempo: 1 h)

500g di ceci di Cicerale secchi, 2 cucchiai di crema di peperoncino, sale q.b., aceto di mele q.b, olio evo q.b., timo q.b., salvia q.b., rosmarino q.b.

Preparazione
Lasciate i ceci in ammollo in abbondante acqua per tutta la notte. Il giorno dopo scolate e mettete in una pentola con abbondante acqua fredda e un pugno scarso di sale grosso. Accendete e portate a bollore a fiamma media. Cuocete per 45 minuti dal bollore. Assaggiate i ceci, devono essere al dente. Una volta cotti, scolateli, conservando l’acqua di cottura. Tenete da parte 100g di ceci cotti per la guarnizione del piatto e ponete il resto nel frullatore. Frullate i ceci con timo, salvia, rosmarino, un cucchiaio di aceto. Regolate la consistenza aggiungendo man mano l’acqua di cottura. La crema deve risultare liscia e non troppo solida. Una volta raggiunta la giusta consistenza, aggiungete poco per volta la crema di peperoncini, regolando la piccantezza secondo il vostro gusto. Se manca di sale aggiungetelo. Continuate man mano ad azionare il frullatore per mescolare gli ingredienti in maniera opportuna. Prima di servire, scaldate la crema di ceci e i ceci che avete tenuto da parte. Versate la crema nelle scodelle e decoratele con i ceci interi. Condite con un filo d’olio buono e portate a tavola.  Fonte: COOK del Corriere della Sera, Marco Vassallo, 10.02.2022

Altro che “carne dei poveri”: i legumi conquistano gli italiani. Ma attenzione ai prodotti stranieri

Giornata mondiale dei legumi: il consumo in italia è cresciuto del 47% in 10 anni

Il loro consumo è aumentato del 47% ma Coldiretti avverte: “all’estero non rispettano le nostre stesse normative come nel caso del glifosato”

Sempre più legumi riempiono e colorano il piatto degli italiani ma occhio alla provenienza perché il prodotto italiano dà più garanzie al consumatore. In un periodo dove gli stili di vita salutari hanno un seguito sempre più ampio (e il trend inizia spesso proprio dalla tavola), forse non sorprende del tutto sapere che i consumi di legumi nell’ultimo decennio sono aumentati del 47%. La “svolta green” dei consumatori ha contribuito a riempire il carrello degli italiani di piselli, fagioli, ceci, fave e lenticchie. Un dato che emerge da una analisi Coldiretti su dati Istat in occasione della Giornata mondiale dei legumi, che si celebra oggi 10 febbraio, istituita dall’Organizzazione delle Nazione Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) come un’opportunità per aumentare la consapevolezza dei benefici dei legumi per la salute e per contribuire a sistemi alimentari sostenibili.

Un consenso trasversale che fa apparire ormai démodé etichettare i fagioli come “carne dei poveri”, definizione nata per chi non potendo permettersi la carne si orientava su questo legume. Apprezzati come fonte di proteine e fibre alimentari, “toccasana” per regolare le funzioni intestinali e per il controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue, sul fronte nutrizionale i legumi hanno molti pregi. Contengono infatti anche sali minerali, come ferro, calcio, potassio, fosforo e magnesio, vitamine del gruppo B e, quando sono freschi, anche vitamina C. Ma non solo perché le piante di legumi difendono la fertilità dei suoli grazie alla loro capacità di fissare l’azoto al terreno, riducendo di fatto l’utilizzo di concimi chimici e contribuendo alla difesa delle acque e dell’ambiente.
Come ha ricordato Coldiretti i legumi più diffusi in Italia sono fagioli, piselli, lenticchie, ceci e fave oltre a cicerchie, lupini e soia ma il Belpaese può contare anche su molte produzioni tipiche di qualità riconosciute dall’Unione Europea: è il caso dei fagioli di Rotonda, di Atina, di Sarconi, di Sorana, di Cuneo, vallata bellunese oltre alle lenticchie di Castelluccio ed a quelle di Altamura.
Le coltivazioni nazionali sono diffuse su oltre 150.000 ettari ai quali se ne aggiungono 273.000 seminati soia ma soffrono, denuncia la Coldiretti, “della pressione degli arrivi di prodotto a basso costo e ridotta qualità, magari favoriti dagli accordi commerciali. La produzione nazionale si è così drasticamente ridotta rispetto al passato, accentuando la dipendenza dall’estero, nonostante una ripresa degli ultimi anni. In piena pandemia da Covid le importazioni di legumi in Italia hanno superato i 400 milioni di chili in crescita del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente con un balzo del 16% per i piselli” (dati Istat sui primi dieci mesi del 2021). Il risultato? Tre piatti di fagioli, lenticchie e ceci su quattro che si consumano oggi in Italia sono in realtà stranieri, provenienti soprattutto da Paesi come gli Stati Uniti e il Canada dove, ricorda Coldiretti in una nota, “vengono fatti seccare con l’utilizzo in pre-raccolta del glifosate secondo modalità vietate sul territorio nazionale”. Oltre il 90% delle lenticchie consumate in Italia sono straniere, soprattutto americane e canadesi. Ma la dipendenza dalle importazioni è all’incirca della stessa percentuale anche per i fagioli (che arrivano in gran parte dall’Argentina e dal Nord America), del 70% per i piselli e di oltre il 50% per i ceci.
Tra gli Stati che esportano i loro prodotti in Italia ci sono anche il Messico, molti del Medio Oriente e la Turchia. “All’estero – è il grido di allarme di Coldiretti – non vengono rispettate le stesse normative che vigono nel nostro Paese in materia di utilizzo di sostanze chimiche, come nel caso del glifosato, ma anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro come per i fagioli messicani inseriti nella black list dal Ministero del Lavoro degli Stati Uniti nell’ultimo rapporto sullo sfruttamento del lavoro minorile. Occorre assicurare che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute. Ma occorre anche rivedere il meccanismo degli accordi che favoriscono l’arrivo di prodotti stranieri sulle nostre tavole dove vanno applicati tre principi fondamentali: parità delle condizioni, efficacia dei controlli, reciprocità delle norme”.
Per semplificare le cose serve una chiara indicazione di origine in etichetta che non è ancora obbligatoria per i legumi secchi o per quelli in scatola. Privilegiare legumi che esplicitamente evidenziano l’origine nazionale in etichetta, come avviene per Dop e Igp, è più di una garanzia.  fonte: WineNews, 10.02.2022

 

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