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Mag 30 2022

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DIETA COME STILE DI VITA

Seconda parte: L’Epidemia Delle Diete alla Moda

Nella società italiana di oggi, sovrappeso ed obesità interessano ormai tutte le fasce di età. Il buon senso prima ancora dell’esperienza clinica indica che la maggior parte di coloro che sono in queste condizioni potrebbero alleviare o risolvere il problema semplicemente svolgendo una vita fisicamente più attiva e riducendo l’apporto calorico, ossia mangiando di meno (ma di tutto) e privilegiando gli alimenti più sazianti, ossia quelli con grande volume e bassa densità energetica, come frutta e verdura. Semplicissimo in teoria, mentre nella realtà le cose non sono così lineari ed il settore delle diete dimagranti, redditizio e molto di moda proprio per il dilagare dell’eccedenza ponderale, è letteralmente infestato da “professionisti della nutrizione” improvvisati, che a volte non hanno né le competenze, né i titoli necessari per svolgere tale attività, ma che spesso, all’insegna del “tutto e subito”, divulgano le teorie più irrazionali e fantasiose, distogliendo l’attenzione dalle vie suggerite dalla logica e dalla scienza. Il tutto viene spesso proposto con nomi esotici, richiami ad attori celebri o campioni dello sport e con metodologie “a fasi”, costruite sfruttando un po’ di “magia”. Questi “maghi del dimagrimento”, pur di ottenere quel rapido calo di peso che tanto soddisfa i pazienti più sprovveduti, propongono una serie di “scorciatoie” consistenti in metodologie e diete severe e squilibrate, quali le diete iperproteiche spinte che aboliscono i carboidrati, il pericoloso digiuno idrico integrale, le assurde diete monocibo, le diete che escludono intere classi di prodotti sulla base di inaffidabili test per le intolleranze alimentari (le quali ben poco hanno a che fare con l’aumento del grasso corporeo), ecc. Questi approcci, scorretti e diseducativi, non risolvono mai il problema e, se a volte permettono un calo iniziale di peso fin troppo rapido a spese soprattutto dell’acqua corporea e dei tessuti magri (una bilancia che scende non significa necessariamente che si stia perdendo grasso), favoriscono immancabilmente recuperi altrettanto rapidi e spesso ancora più cospicui, con ripercussioni sia sul piano dell’umore che su quello del metabolismo, nonché sul portafogli. La ricerca della bacchetta magica e delle soluzioni miracolose porta anche al ricorso al “fai da te”, con aumento di richiesta di “integratori dimagranti”, prodotti in libera vendita anche nei supermercati. Purtroppo, è in aumento il ricorso alle vendite online di questi prodotti, spinti da siti web appositamente costruiti che vantano proprietà miracolose di estratti, miscele di principi attivi spesso accompagnati dall’aggettivo “naturale” e recapitati comodamente a casa. Questi prodotti spesso eludono il controllo delle autorità e, oltre che non utili al dimagrimento, rischiano di essere anche dannosi.

La Dieta mediterranea è ancora, nel 2022 la migliore al mondo davanti a DASH e Flexitariana, su un totale di 40 diete analizzate da un pool di scienziati e stilata dalla rivista americana US News & World Report. Riportiamo di seguito la lista delle tre migliori e perché, seguita dalle peggiori.

Diete 2022 la classifica (ref. 1)

Per il quinto anno consecutivo, la dieta mediterranea si conferma la migliore al mondo stando a quanto ha stabilito, di recente, la rivista americana US News & World Report. Dietro di lei la Dash, acronimo che sta per Dietary Approaches to Stop Hypertension, ovvero Approcci dietetici contro l’ipertensione grazie alla riduzione dell’assunzione di sale. E, a pari merito, la flexitariana, regime alimentare in prevalenza vegetariano che, solo occasionalmente, consente il consumo di carne e pesce. Tre modi di nutrirsi che puntano al benessere della persona nel rispetto del Pianeta. E che, dentro al piatto, pongono molti vegetali: dalla frutta, fresca e secca, alla verdura, dai cereali ai legumi. Gretel Schueller, caporedattore salute di US News & World Report, ha sottolineato quanto queste diete «offrano tutte varietà, flessibilità e poche, se non nessuna, regole». Aggiungendo che «sono sicure perché poggiano su basi scientifiche». E, opportunamente adattate, da uno specialista competente, a ogni persona in base alle peculiarità e allo stile di vita, forniscono il corretto apporto calorico e una modesta quantità di proteine magre, per lo più da latticini.

I tre regimi alimentari in vetta alla classifica dei migliori al mondo sono stati individuati da un pool di 27 esperti che hanno esaminato 40 diete tenendo conto di 7 parametri: perdita di peso a breve termine, perdita di peso a lungo termine, facilità nel seguirla, completezza di nutrienti, rischi per la salute, efficacia nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, efficacia nella prevenzione del diabete.

Schueller ha tenuto a puntualizzare quanto le diete migliori siano guidate da ciò che si può mangiare, non da quel che è meglio evitare. E in questo momento storico, dilaniato dalla pandemia, poter stare a tavola con gusto fa la differenza. C’è bisogno di cibi di cui possiamo godere, cibi salutari che rafforzino il sistema immunitario. Molte patologie si combattono partendo dal menu.

Per non ripeterci, rimandiamo alla prima parte, precedentemente scritta, la descrizione della dieta mediterranea.

La dieta Dash

L’acronimo sta per Dietary Approaches to Stop Hypertension, a indicare un regime alimentare ipolipidico per il ridotto apporto di sodio, grassi e zuccheri. Regime questo promosso ampiamente dal National Heart, Lung and Blood Institute.

Anche detta dieta contro l’ipertensione, la Dash nasce negli Stati Uniti — all’Università di Harvard per l’esattezza — dove l’ipertensione, appunto, è una condizione patologica di vastissime proporzioni, con 80 milioni di ipertesi su una popolazione complessiva di 330 milioni di abitanti. In breve tempo, poi, si diffonde world wide perché ritenuta in grado di migliorare la salute, agendo sulla pressione di cui regola i livelli. Questo grazie agli elementi nutritivi irrinunciabili: potassio, fibre, calcio, proteine. E poco, pochissimo sodio. 
Per certi versi simile alla mediterranea — che predilige il consumo di frutta e verdura di stagione (broccoli, finocchi, pomodori, spinaci, zucca, mandarini…), cereali, per lo più integrali, grassi buoni e proteine —, la Dash non esclude alcun alimento. È ammessa la carne rossa, comunque da limitare, così come dolci e grassi. Ed è ammessa la carne bianca. Poi pesce, meglio se azzurro e di taglia piccola, legumi a basso indice glicemico, frutta secca, semi oleosi, olio extra vergine di oliva. Il sale? Sorvegliato super speciale, da ridurre fortemente: da 1,5 g a 2,4 g al giorno, non di più. Per insaporire i piatti, ottime sono erbe e spezie. 

Dash, alcuni studi

Oltre ad agire sull’ipertensione, la Dash è efficace anche nella riduzione del peso corporeo. A dimostrarlo sono alcuni studi. In particolare, una ricerca pubblicata nel 2019 su Scientific Reports dimostra che questo regime alimentare ha ripercussioni positive sul metabolismo. Nello specifico, gli scienziati hanno scoperto che, rispetto all’obesità metabolica sana, «la DASH riduce del 21 per cento la probabilità di incappare in una obesità metabolica malsana». Questo indipendentemente da età, sesso, assunzione di energia, attività fisica, indice di massa corporea, fumo e livello di istruzione. 

Una seconda ricerca, questa volta pubblicata sul Journal of American Medical Association, suggerisce che la dieta DASH è associata a riduzioni della pressione arteriosa sistolica e diastolica. Un altro ottimo motivo per prenderla in considerazione, casomai se ne avesse necessità. Ma sempre dietro indicazioni medico-specialistiche: quando si tratta di alimentazione, il fai-da-te è bandito. D’altra parte non deve mai mancare l’attività fisica. La salute passa anche da qui. Attenzione pure in questo caso: qualunque esercizio o disciplina si voglia intraprendere, è utile rispettare lo stile di vita, l’età, il sesso e tenere conto di eventuali patologie in essere. Consiglio in più: anche in questo caso sarebbe opportuno consultare uno specialista, almeno per cominciare casomai si fosse totalmente privi di allenamento.

La dieta flexitariana

Messa a punto dalla dietista statunitense Dawn Jackson Blatner, la flexitariana deve il suo nome alla crasi di due parole: «flessibile» e «vegetariana», a indicare «un vegetariano che mangia occasionalmente carne». Nessuna motivazione etica, casomai una questione di salute. Secondo Blatner, infatti, questo regime ipocalorico con piccole quantità di carne, per lo più bianca, e pesce, «consente di stare meglio e perdere anche peso in breve tempo». 
Tra gli alimenti principali: legumi e uova, frutta e verdura, cereali integrali, latticini, zucchero e spezie. Secondo necessità, poi, proteine animali, appunto. «Chi segue un’alimentazione vegetariana vive in media 3,6 anni in più e pesa il 15 per cento in meno rispetto a chi mangia carne — spiega Blatner nel suo libro, The Flexitarian Diet (editore McGraw-Hill) — . Ciò non significa, però, che si debba rinunciare alle proteine animali. Con questo regime basta ridurne i quantitativi e prestare casomai attenzione alla qualità di quel che si mangia, prediligendo i prodotti bio e a chilometro zero»

Il menu giornaliero? Più frutta e verdura, entrambe al centro di ogni pasto principale, meno prodotti da forno e carboidrati — riso e pasta — in generale. «Tutto in maniera progressiva — continua Blatner —. Chi arriva da un’alimentazione onnivora, non dovrebbe consumare più di 700 g di carne a settimana; chi, d’altra parte, è già abituato a un ridotto consumo di proteine animali, dovrebbe arrivare al massimo a 500 grammi a settimana; chi, infine, fosse veg-oriented non farà fatica a mangiare fino a 250 g di carne sempre a settimana. Il pesce? Nessun limite, ma con una accortezza: di taglia piccola è meglio, contiene meno quantità di mercurio».  All’inizio la flexitariana, si legge ancora nel libro, andrebbe seguita per 15 giorni. Solo in un secondo momento può diventare abitudine «avendo cura di modulare l’apporto calorico, da concordare con il medico in base alle proprie necessità. Mantenendo però le proporzioni — specifica Blatner —. I vegetali dovranno fornire il 40 per cento del fabbisogno giornaliero; stessa percentuale per cereali integrali, legumi e semi oleosi. Il restante 20 per cento potrà arrivare invece dagli alimenti di origine animale. È un dato di fatto: un minor consumo di proteine animali è una scelta consapevole e sostenibile. Fa bene al Pianeta, alla nostra salute, ma anche al portafogli considerato che la carne è tra le voci che pesano di più sul bilancio delle nostre spese».

Diverse le alternative, anche se non tutte prese in esame da questo studio: dalla Meta (la dieta che ha fatto rinascere Noemi) alle detox, da quelle specifiche (come contro il colesterolo o lo stress da lockdown, ad esempio) fino alle ipocaloriche o alle vegetariane in base alle personalissime esigenze. Con un consiglio da cui non si prescinde. E che ribadiamo: qualsiasi dieta si voglia fare, d’obbligo parlarne con il proprio medico. O direttamente uno specialista.

Le diete migliori, classifiche parziali

Dei 40 regimi alimentari presi in esame dai 27 scienziati, la rivista US News & World Report ha stilato tre mini classifiche, ognuna delle quali riporta le migliori diete per beneficio apportato all’organismo. Ecco quali sono.

Le migliori diete per perdere peso:

– Flexitariana

– Dieta volumetrica

– WW Weight Watcher

– Dieta vegana

 Le migliori diete per il diabete:

– Dieta mediterranea,

– Flexitariana

– Dieta vegana

– Mayo Clinic Diet 

Le migliori diete per proteggere il cuore:

– Dieta mediterranea

– DASH

– Dieta Ornish

– Dieta flexitariana

– Diet TLC

– Dieta vegana

Le diete peggiori al mondo

Sempre in base alla classifica stilata dal pool di esperti e riportata da US News & World Report, le diete peggiori al mondo sono invece le seguenti:

– dieta dell’indice glicemico

– South Beach Diet 

– dieta a zona 

– dieta macrobiotica

– dieta SlimFast

– digiuno intermittente

– dieta Optavia

– dieta alcalina

– dieta Paleo

– dieta Sirt

– dieta Atkins

– dieta chetogenica

– dieta Dukan

– dieta GASP

Molte sono già note agli scienziati. Due, il digiuno intermittente e la dieta Sirt, sono invece new entry. Di entrambe si è parlato moltissimo. Sorprende vederle prossime al fondo della classifica, rispettivamente al 27 e al 32esimo posto. La motivazione? Secondo gli esperti si tratta di regimi alimentari «estremamente restrittivi, più la Sirt del digiuno che, invece, limiterebbe la socializzazione. Entrambi sostenibili nel breve periodo e non nel lungo».

Un po’ come la GASP o dieta a eliminazione, fanalino di coda. Che cosa la rende appetibile? Il fatto che sia progettata per smaltire quegli alimenti che il corpo fatica a digerire; che favorisca l’eliminazione della flora intestinale dannosa; che prediliga i cibi ricchi di sostanze nutritive grazie ai quali il rivestimento intestinale possa guarire. Funzionale alla perdita di peso nel breve periodo ma, a detta degli esperti, pericolosa se protratta nel tempo. 

Riportiamo, per completezza, anche le caratteristiche e il razionale degli schemi dietetici più popolari degli ultimi anni, elencati per macro-categorie, secondo le linee guida per una sana alimentazione (ref. 2)

Dieta low-carb (basso contenuto di carboidrati e alto contenuto di proteine, sia animali che vegetali)

La caratteristica di questo tipo di regime alimentare è la restrizione, anche molto marcata, dell’assunzione dei carboidrati da tutte le fonti che è praticamente al di sotto del livello minimo di riferimento (45% delle calorie complessive) fissato dai LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti), ma non tale da determinare chetosi.

Le diete iperproteiche spinte si basano su due presupposti principali: i) parte dell’energia fornita dalle proteine è dispersa come calore (termogenesi indotta dagli alimenti) in misura maggiore rispetto alla dispersione legata agli altri macronutrienti energetici; ii) le proteine hanno un maggiore potere saziante. Quindi la combinazione di questi due fattori comporta una maggior facilità nella riduzione dell’assunzione di calorie. Sono molto popolari e molto utilizzate anche per una certa facilità di esecuzione. L’effetto dimagrante c’è sicuramente, ma l’aderenza a lungo termine è molto bassa.

 

Dieta chetogenica (assunzione di carboidrati tanto bassa da indurre chetosi)

È un’estremizzazione della low-carb, con assunzioni di carboidrati inferiori a 50g/die. Riproduce la chetogenesi tipica della “dieta del sondino” senza il posizionamento del sondino, che è semplicemente una via di accesso per la somministrazione di un formulato proteico che induce la chetogenesi. Comprende la dieta Atkins, la tisanoreica e le prime fasi della Dukan. È spesso anche iperlipidica.

La chetosi determina uno stato di perenne nausea indotto dai sottoprodotti che vengono liberati durante il metabolismo in carenza di carboidrati. In altri termini si induce un’intossicazione cronica per sfruttarne l’effetto anti-appetito. Dovrebbe essere un trattamento di breve durata, effettuato sotto stretto controllo medico per il monitoraggio dei parametri ematici (ad es. profilo lipidico). Si osserva sicuramente perdita di peso ma non viene attuata nessuna strategia tale da incidere sui comportamenti alimentari che hanno portato all’eccesso di peso.

-Dieta low-fat (basso contenuto di grassi)

Queste diete sono caratterizzate in particolare dalla restrizione dell’assunzione di grassi indipendentemente dalla loro fonte.

Nascono essenzialmente come diete terapeutiche per la modulazione del profilo lipidico (abbassamento di colesterolo e trigliceridi ematici). Questo effetto è abbastanza ben documentato. L’efficacia dimagrante dipende dall’entità della conseguente restrizione calorica.

 

-Dieta a basso indice glicemico

Il focus di questo tipo di dieta è quello di contenere il carico glicemico limitando l’assunzione di alimenti ad alto indice glicemico. Questo spesso determina l’esclusione di alcuni vegetali e della frutta. Questa dieta è stata resa popolare da Montignac e ripresa in parte anche nella Zona e nella South Beach che combinano l’indice glicemico con un profilo iperproteico.

Usata in ambito clinico per la gestione del diabete, ha una difficoltà pratica di applicazione legata all’inaffidabilità dell’indice glicemico, che è di difficile interpretazione e molto variabile non solo tra alimenti, ma anche a seconda della composizione del pasto e globalmente a seconda delle associazioni con altri nutrienti. È inoltre punitiva per gruppi importanti di alimenti, come la frutta ad esempio, O verdura, cereali integrali, che invece vanno promossi anche per la perdita di peso.

Dieta paleolitica

La caratteristica principale di questo tipo di dieta è quella di voler imitare il profilo alimentare tipico delle società pre-agricole con un’enfasi nell’evitare “alimenti processati” e una preferenza nei confronti di frutta, verdura, frutta secca oleosa e semi e carne magra. Vengono evitati senza alcun motivo scientifico valido latticini, legumi, frumento e in genere qualsiasi alimento derivato dalle pratiche agricole.

È una dieta che intende massimizzare la massa magra con l’idea che l’uomo del paleolitico, oltre ad essere magro, fosse meno suscettibile alle malattie cronico-degenerative. Si basa su assunti speculativi, romantici ma poco reali in quanto, oltre a non sapere bene cosa mangiasse l’uomo del paleolitico, è anche difficile correlare la insorgenza di patologie croniche con la dieta visto che la vita era sicuramente più breve e lo stile di vita radicalmente differente. A parte i presupposti, l’esclusione di intere classi di alimenti importantissimi è ingiustificata e squilibra gravemente gli apporti alimentari.

Diete basate sulla genetica

Sono un’espansione più scientifica del concetto di dieta basata sul gruppo sanguigno, per cui vengono individuati profili genetici a cui vengono associati alimenti specifici per un dato genotipo. Ogni genotipo ha una lista di alimenti che sarebbero consigliati e altri che non lo sarebbero. Ad esempio, gli individui con gruppo sanguigno B sono quelli che hanno un beneficio evolutivo (e dunque metabolico) con il consumo di prodotti lattiero-caseari, perché questo gruppo sanguigno trarrebbe origine da tribù nomadi in prevalenza allevatori.

Non c’è alcuna evidenza scientifica a sostegno dell’associazione tra il gruppo sanguigno e le esigenze nutrizionali, ma non ci sono nemmeno dati che supportino le diete genetiche. La strada dei test genetici per una dietoterapia di precisione è promettente ma è ancora lunga. Che ogni singolo genotipo risponda in modo specifico alla restrizione alimentare sembra oramai accertato, ma questo non autorizza a pensare che, con le conoscenze e i mezzi di oggi si possa gestire l’informazione genetica, che è enorme e non ancora completamente definita. I test attualmente disponibili non sono in grado di fornire alcuna reale informazione utile alla determinazione di una dieta personalizzata.

-Dieta mediterranea (anche in questo caso rinviamo la lettura della prima parte precedentemente scritta)

Diete miste bilanciate

Sono piani dietetici che includono sia alimenti di origine vegetale che animale nelle proporzioni raccomandate per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative, usualmente utilizzando la dieta mediterranea come modello. Di solito per la perdita di peso vengono strutturati regimi di questo tipo con contenimento calorico (ipocalorica bilanciata) tanto maggiore quanto maggiore è la perdita di peso che si deve indurre. Sono questi gli schemi a cui ricorrere se si vuole dimagrire nei tempi giusti e preservando la salute.

Sono in genere regimi dietetici supportati da estesa letteratura. La più nota di questo tipo è la dieta Dash (Dietary Approaches to Stop Hypertension) creata e studiata per ridurre la pressione arteriosa e il colesterolo. Si tratta di un piano dietetico con un alto contenuto di fibre, con livelli medi di proteine e più elevati di cereali integrali. Altrettanto interessante è la New Nordic diet modellata sulla dieta mediterranea con gli alimenti e le abitudini tipici delle nazioni del nord Europa. Quindi soprattutto cibi di origine vegetale, pochi alimenti di origine animale, molti semi oleosi, olio di canola, patate, molti alimenti integrali, frutti di bosco, pesce del mare del nord e dei laghi.

Diete vegetariane

Ne esistono diverse forme. Nella più diffusa vengono esclusi solamente carne e pesce, lasciando altri derivati animali come uova e latte. È un regime alimentare abbastanza equilibrato, che però necessita di una certa attenzione.

La scelta di questo regime alimentare è in genere legata a questioni etiche o ambientali. È diventata una moda per presunte ragioni salutistiche perché l’importanza di un’elevata quantità di alimenti di origine vegetale viene fraintesa con la necessità di escludere una parte di quelli di derivazione animale. Nell’adulto non crea particolari problemi, ma nell’individuo in crescita o in condizioni fisiologiche particolari quali gravidanza e allattamento, con fabbisogni nutritivi aumentati, occorre maggiore attenzione ed è consigliabile avvalersi dei consigli di un professionista in grado di elaborare un piano dietetico rigoroso e dettagliato che possa evitare possibili carenze.

Dieta vegana

È una dieta vegetariana ma merita una attenzione speciale poiché ne rappresenta un’estremizzazione, in quanto esclude completamente i prodotti di origine animale compresi latte e derivati e uova (vengono esclusi quasi 2 gruppi di alimenti su 5) e la pianificazione della dieta dev’essere quindi ancora più attenta, perché la sua rigidità può facilitare la comparsa di alcune ben individuate carenze nutritive (quali quelle di calcio, di ferro, di vitamina B12, di omega-3, ecc.) in particolare nelle fasi più delicate come infanzia, gravidanza e allattamento e negli anziani. È necessaria la supplementazione di nutrienti, almeno di vitamina B12 completamente assente nei prodotti vegetali.

Anch’essa nasce per scelte etiche e ragioni ambientali, più che nutrizionali. Occorre fare attenzione a casi nei quali questi regimi estremi possono mascherare dei disturbi del comportamento alimentare.

Per gli individui in crescita, così come in gravidanza e allattamento, è necessaria una cautela ancora maggiore rispetto alla dieta vegetariana. È assolutamente da evitare il “fai da te” (anche attraverso libri e siti internet) soprattutto nella primissima infanzia, per cui è bene documentarsi accuratamente sulle scelte da compiere e sulle precauzioni da prendere, rivolgendosi a personale molto esperto.

Desideriamo, in questa parte finale ampliare due argomenti: le Diete basate sui test genetici e il digiuno (che sia prolungato o intermittente)

 DIETE BASATE SUI TEST GENETICI

Negli ultimi anni si è osservato un crescente interesse nella valutazione di come il profilo genetico condizioni lo stato di salute e/o aumenti il rischio di malattia, a fronte di comportamenti alimentari simili. Ne è nata una nuova disciplina scientifica, la nutrigenomica, che indaga i meccanismi e i rapporti tra il genoma umano e la dieta. Ognuno di noi, con un DNA diverso dagli altri, reagisce alle molecole presenti negli alimenti in modo diverso (nutrigenetica). La necessità di consigli nutrizionali sempre più mirati e personalizzati è diventata via via più evidente nel corso degli anni.

Lo studio della genetica e della genomica nutrizionale sta evolvendo in modo molto rapido e le nuove tecniche di analisi del materiale genetico (DNA) stanno aprendo nuove frontiere nella comprensione di come i nutrienti e il profilo dietetico influenzino il mantenimento dello stato di salute e lo sviluppo delle patologie. È quindi un’area promettente che giustifica l’interesse del settore privato, tanto che negli ultimi dieci anni la disponibilità commerciale di test genetici per una diversa impostazione della dietoterapia è molto aumentata. Tradizionalmente, i test genetici erano utilizzati soprattutto per lo screening delle malattie ereditarie nei gruppi di popolazione a rischio o per lo screening neonatale di massa. Oggi abbiamo test genetici per malattie complesse, quali quelle cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete e anche l’obesità; tali test tuttavia analizzano un numero ancora troppo limitato e poco significativo di geni, per dare risposte affidabili sulla migliore alimentazione da scegliere.

I test attualmente in commercio non sono in grado di caratterizzare un genotipo individuale perché essi definiscono un ridotto numero di varianti e non consentono di ottenere informazioni genetiche significative per individuare una “dieta ottimale”. Ad esempio, le informazioni che si possono ricavare dai test genetici per la predisposizione alla obesità non aggiungono nessuna indicazione per la determinazione di una dieta specifica e personalizzabile rispetto a quanto già non venga fatto con le raccomandazioni comportamentali per il controllo del peso e non permettono di strutturare niente di diverso da un classico counseling nutrizionale costituito da personale esperto. Non c’è evidenza che l’eliminazione di questo o quell’alimento, o tanto meno di questo o quel nutriente, abbia un effetto specifico sulla perdita di peso perché come abbiamo detto è la restrizione calorica che fa la differenza. Come accade per gli integratori dimagranti, la pubblicità di questi kit punta su un aspetto di grande vulnerabilità, poiché l’obesità è una condizione clinica che presenta una notevole rilevanza sociale e disagio personale, accompagnata molto spesso ad uno stato psicologicamente vulnerabile e una maggior inclinazione alla risoluzione rapida e magica. Spesso la comunicazione promozionale di questi kit induce la convinzione che una dieta costruita su misura del DNA possa con estrema facilità sollevare dal disagio di sacrifici e impegno. Non è certamente da escludere che in futuro siano possibili interventi più mirati per cucire un profilo alimentare personalizzato sul un particolare profilo genetico, ma siamo ancora lontani da questa possibilità per tutti i limiti che abbiamo descritto.

È CONSIGLIABILE IL DIGIUNO PROLUNGATO PER DIMAGRIRE?

La mania tutta moderna delle magrezze spesso innaturali (da non confondere con la giusta ricerca di un peso adeguato all’età e alla struttura fisica) ha reso popolari una serie di metodi dimagranti poco condivisibili e potenzialmente dannosi. Fra questi figura il “digiuno totale” protratto, durante il quale si assume soltanto acqua, a volte con il supporto dell’agopuntura che serve a rendere maggiormente tollerabile la privazione totale del cibo. Il problema è che questo metodo, pubblicizzato come una panacea che va bene sia per dimagrire che per “disintossicarsi”, rappresenta invece per l’organismo uno stress che può provocare danni e che fra l’altro porta solo ad una perdita di peso illusoria e fittizia.

Occorre operare alcune distinzioni: un “digiuno totale di breve durata – 24 ore”, ad esempio è ben tollerato dal corpo di un adulto sano, il quale mette in atto lievi adattamenti metabolici per garantire l’apporto di sostanze nutritive agli organi vitali più vulnerabili (ad esempio, glucosio per le funzioni cerebrali) e al fine di conservare la massa proteica. Un digiuno di una giornata non comporta quindi quasi mai grossi problemi ma non c’è un buon motivo per farlo: la perdita di peso che ne consegue è principalmente dovuta a perdita di acqua. Può rappresentare una pausa salutare per far riposare gli organi del comparto digestivo: può essere adottato di tanto in tanto, a patto di bere molto per eliminare, attraverso le reni, azoto, urea, acido urico ed eventuali corpi chetonici.

Ancora peggio sono i “digiuni idrici” prolungati. Come detto la privazione completa e prolungata di cibo rappresenta uno stress al quale l’organismo risponde come a qualunque evento traumatico, ossia con una tipica “reazione di emergenza” che chiama in causa i vari ormoni preposti a intervenire in queste situazioni: soprattutto adrenalina, cortisolo e glucagone, che nel giro di poche ore e poi di pochi giorni ricavano tutto il glucosio possibile (indispensabile per globuli rossi e sistema nervoso) dalle scorte corporee di glicogeno, esaurendole (come carburante il glicogeno è sufficiente per sole 24 ore in caso di digiuno!) e poi cominciano a scindere parte delle proteine corporee (muscolari soprattutto, e poi epatiche e della milza) per ricavare energia. In sostanza, una specie di “auto cannibalismo”: l’organismo consuma il proprio prezioso tessuto muscolare per fare fronte all’assenza di energia che comporta il digiuno. Va precisato comunque che, di per sé questa “reazione di allarme” è un meccanismo protettivo che è innescato dall’abbassamento della glicemia e che se di breve durata può anche essere utile (digiuno intermittente. Se invece la situazione di emergenza si prolunga eccessivamente, quei meccanismi protettivi diventano dannosi: troppa adrenalina mette a dura prova cuore e arterie, troppo cortisolo depaupera ossa e muscoli (nel lungo periodo anche il muscolo cardiaco) così come può essere compromessa la funzione renale, e in sostanza il digiuno prolungato e ripetuto provoca variazioni complesse negli equilibri ormonali e alla lunga rischia di comportare seri danni all’organismo. In letteratura vengono riportati anche vari effetti collaterali minori, provocati da digiuni superiori ai 5 giorni, quali depressione dell’umore, facile affaticabilità e irritabilità, sensazioni di freddo, ecc.

Nel merito del dimagrimento, il calo di peso delle prime 24-48 ore è dovuto quasi esclusivamente alla perdita di acqua e al consumo delle scorte di glicogeno (circa 500g fra fegato e muscoli). Nei primi 2-4 giorni il fisico apparentemente risponde bene ed anzi i maggiori livelli di cortisolo possono dare una sensazione di particolare energia. Ma poi il quadro cambia nei giorni successivi e l’organismo, come detto, consuma i muscoli e gli altri tessuti, compreso il grasso di deposito, nel tentativo di ottenere energia. Tuttavia, l’utilizzazione del grasso è incompleta perché con il digiuno mancano anche le sostanze per metabolizzarlo e questo provoca la produzione di quantità rilevanti di corpi chetonici che si accumulano nel sangue e determinano una vera e propria acidosi metabolica che, a seconda dei casi, può essere anche di grave entità. I chetoni hanno anche effetto antifame e sostituiscono il glucosio come carburante per il cervello, ma rappresentano una sorta di intossicazione endogena; è il fenomeno che è ben noto e frequente nei bambini e che prende volgarmente il nome di “acetone”. Un’improvvisa richiesta di energia in seguito ad uno stato febbrile o un digiuno anche di breve entità è in grado di scatenare nel bambino questo improvviso accumulo di corpi chetonici che danno un leggero stato di nausea e un odore caratteristico di frutta matura all’alito. È dimostrato che nel digiuno totale prolungato la concentrazione ematica di corpi chetonici arriva a livelli nettamente superiori a quelli che necessiterebbero di intervento medico. La messa in circolo e l’eliminazione dei corpi chetonici attraverso urine, sudore ed aria espirata, avvertibile per il particolare odore acetonico, viene spacciata dai fautori del digiuno come la dimostrazione della disintossicazione e della purificazione dalle tossine, quando invece altro non è se non la prova che si è instaurata l’acidosi che è una complicanza metabolica grave. In aggiunta nei casi di digiuni protratti e ripetuti anche il muscolo cardiaco può essere danneggiato e si rischiano conseguenze negative anche per fegato e reni. C’è anche da aggiungere che alla fine del periodo di digiuno il ritorno ad un’alimentazione “normale” provoca invariabilmente un recupero di peso pari, se non superiore, a quello perso, e per di più con formazione di maggiori quantità di tessuto adiposo. Questo peggiora la composizione corporea (i muscoli “cannibalizzati” non si ricostituiscono se non in minima parte) e rende ancora più arduo qualunque futuro tentativo di controllo del proprio peso. Vale la pena ricordare che la pratica del digiuno totale anche di breve durata è controindicata in caso di cardiopatie, anemie, diabete, gastriti o ulcere, precedenti psicotici.

Insomma, il digiuno non solo non educa ad un comportamento alimentare corretto e rischia di aprire la strada a disturbi del comportamento alimentare, in particolare a forme di anoressia nervosa (“il fascino sinistro del digiuno” secondo gli psichiatri), ma provoca anche una perdita di peso in gran parte ingannevole, perché il peso scende a spese principalmente di tessuti magri e dell’acqua corporea e molto poco a spese dei grassi.

Cosa ben diversa è il “digiuno modificato” che si effettua in ospedale, in casi particolari e sotto stretto controllo medico. Questo modello di digiuno terapeutico è impostato in modo tale da assicurare quotidianamente anche un certo apporto di carboidrati e la copertura del fabbisogno proteico e vitaminico-minerale giornaliero e in certi casi può essere utilizzato nelle fasi iniziali della correzione delle grandi obesità.

Interessante anche accennare ad un altro campo di applicazione del digiuno, che negli ultimi anni sta aumentando la propria popolarità e che ne sfrutta i benefici di cui poco sopra si parlava senza comportare i rischi del digiuno prolungato. Un breve digiuno, oppure una restrizione calorica anche accentuata, stimolano, come accennato, una serie di meccanismi difensivi la cui attivazione può avere riflessi favorevoli, come l’attivazione di geni che riducono lo stato infiammatorio e stimolano fattori di crescita e di rinnovamento cellulare (con eliminazione di sostanze di scarto), l’allungamento dell’aspettativa di vita ed il rallentamento -almeno negli animali da esperimento- della crescita di alcuni tumori. Si tratta di un avvincente settore di ricerca nel quale operano molti validi studiosi, anche italiani, e che ultimamente si è tradotto in proposte rivolte anche al grande pubblico. Vale la pena di ricordarne almeno un paio.

La prima proposta consiste nel cosiddetto “digiuno breve” o “intermittente” da attuare in due o tre giorni non consecutivi della settimana, consistente in 15-18 ore di digiuno, dopo avere consumato una prima colazione libera ed un pasto di metà giornata meno ricco, cui segue un periodo di digiuno fino alla mattina successiva, evitando qualunque assunzione di cibo (calorie) nel pomeriggio e nella serata. È invece consentita e necessaria acqua. Nei giorni in cui non si pratica questo tipo di digiuno si dovrebbe seguire un regime alimentare normale. Alcuni risultati preliminari, peraltro tutti da confermare su basi più ampie e solide, sembrano indicare che queste brevi fasi di digiuno intermittente possano costituire un aiuto nella prevenzione di numerose patologie metaboliche e anche l’obesità.

Un’altra linea molto popolare propone un impiego del digiuno a scopo terapeutico per controllare l’invecchiamento anche attraverso la limitazione delle proteine (specialmente di quelle animali) nella dieta. L’idea di fondo, tutt’altro che irragionevole, è che la restrizione calorica possa favorire nell’uomo un allungamento della spettanza di vita, come è stato dimostrato su alcuni modelli animali. Sulla base di queste ipotesi vengono proposte e molto pubblicizzate alcune linee di comportamento del tutto condivisibili, ma che certamente con il digiuno hanno poco a che fare: controllare l’assunzione calorica globale suddividendola in 2 o 3 pasti al giorno più 1 o 2 spuntini da 100kcal l’uno, con una “finestra” notturna di 12 ore durante le quali non si assume alcun cibo; evitare le popolari diete iperproteiche e iperlipidiche, dannose per la salute; ridurre drasticamente gli zuccheri semplici e preferire legumi, ortaggi, ecc. Molto meno condivisibili e senza alcuna base scientifica, invece, sono i consigli di limitare fortemente il consumo di frutta, pane e pasta. Avviene ad esempio nel digiuno “modificato” o, come viene chiamato, “mima-digiuno”, della durata di 5 giorni, a 1100kcal il primo giorno e ad 800 nei successivi quattro giorni. Le persone sane dovrebbero metterlo in atto una volta ogni 3-4 mesi, e gli altri una volta ogni 30 giorni. La promessa stavolta sarebbe quella di guadagnare ben 10 anni di vita, affermazione francamente audace e non supportata finora da prove sufficienti, anzi i primi test sull’uomo non confermano che il “mima- digiuno” modifichi favorevolmente gli indicatori di patologia, tra cui i parametri infiammatori. Infatti, i risultati ottenuti sugli animali da esperimento, in laboratorio, in condizioni controllate non sono confermati negli studi di intervento sull’uomo.

E comunque questi pseudo-digiuni che tanto spazio hanno ricevuto sulla grande stampa niente hanno a che fare, fortunatamente, con gli eccessi e i rischi connessi al digiuno assoluto protratto, una pratica da sconsigliare decisamente. Purtroppo, nei titoli dei giornali e nella convinzione del pubblico le diverse proposte finiscono spesso per sovrapporsi e confondersi fra loro, a discapito di una corretta informazione.

E alla fine dei conti seguire le indicazioni di quanto è avvalorato dal mondo scientifico, che sarà poco mediatico o fantasioso, è più che sufficiente per garantirsi una buona salute, un peso corporeo corretto e la longevità che ci consente il nostro patrimonio genetico.

 

Referenze

 

1-https://www.corriere.it/cook/news/cards/dieta-mediterranea-ancora-migliore

2-https://www.crea.gov.it › web › alimenti-e-nutrizione

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