La sollecitazione di Mario Guarnieri a Francesco Sottile dopo l’incontro di Rete Lombardia per Percorso Congressuale.
Mario: ti ho inviato questo link di un articolo dell’Università di Padova per conoscere il tuo parere.
Agricoltura biologica: gli effetti del gap produttivo di Barbara Paknazar
Davanti a una popolazione mondiale che continua a crescere – gli ultimi dati, relativi ad ottobre 2019, stimano che le persone che vivono sulla terra sono circa 7,7 miliardi e secondo le Nazioni Unite nel 2050 si arriverà a quota 9,7 miliardi – l’aumento della produttività agricola sembra un’esigenza imprescindibile, anche in considerazione del fatto che l’espansione dei terreni da dedicare alle culture non può essere infinita. Al tempo stesso, i cambiamenti climatici e il maturare di una maggiore sensibilità nei confronti dell’impatto delle attività umane sul pianeta, hanno condotto a un ripensamento delle tradizionali pratiche agricole e allevatoriali, con l’agricoltura biologica che ha raggiunto i 70 milioni di ettari a livello mondiale e una fascia sempre più ampia di consumatori.
Nella valutazione di quale sia il modello agricolo più sostenibile su larga scala e in grado di garantire cibo a tutto il pianeta, l’analisi del potenziale produttivo dei terreni coltivati in biologico è un fattore chiave su cui si è concentrata l’attenzione di molti scienziati, spesso con esiti diversi a seconda del tipo di coltura preso in considerazione e del territorio di riferimento.
Un recente studio pubblicato su Nature Communications da Adrian Williams, dell’Università di Cranfield, nel Regno Unito, e colleghi dell’Università di Reading, ha evidenziato come i metodi biologici portino a una riduzione del 20% delle emissioni di CO2 nel caso delle coltivazioni e del 4% per gli allevamenti, a fronte però di un calo della produzione del 40%. Il risultato della ricerca è circoscritto al territorio di Inghilterra e Galles, ma il ragionamento di fondo si presta a considerazioni più ampie e porta a ritenere che, se questi due Paesi estendessero il metodo biologico alla totalità dei loro terreni, la necessità di compensare il calo di produzione implicherebbe un aumento delle importazioni di prodotti ottenuti con metodi intensivi in altre parti del mondo, vanificando così l’impatto positivo sull’ambiente. Per evitare questa conseguenza occorrerebbe modificare il fabbisogno alimentare della popolazione e servirebbero significativi cambiamenti nelle scelte nutrizionali, ad esempio una forte riduzione del consumo di carne.
Francesco: Gentilissimo Mario, …
Il tema che poni è importante ed è spesso portato all’attenzione dei media e delle associazioni ogni volta che si tenda in qualche modo a mettere in dubbio la correttezza della strada del biologico verso la giusta transizione ecologica.
Parto da un primo assunto: la transizione ecologica è inderogabile, pena la sopravvivenza del genere umano. Non mia, non tua, probabilmente non quella della successiva generazione, ma quella di nipoti e pronipoti. E non possiamo immaginare che qualcuno un giorno si porrà il problema, abbiamo la responsabilità di porcelo oggi.
Secondo assunto: la condizione del nostro pianeta oggi è causa dell’azione antropica scellerata dal secondo dopoguerra ad oggi. E quando dico pianeta, intendo non un’entità astratta ma la stessa campagna vicino casa mia e casa tua. Qualcosa che ci tocca realmente.
Tra una condizione inaccettabile per il pianeta e un futuro diverso per i nostri nipoti ci stanno di mezzo le azioni che avviano una concreta transizione e possono fare immaginare il futuro in modo diverso. Ma per fare tutto questo ci vuole un serio cambio di paradigma, affermazione usata di frequenta che richiama però fatti concreti.
E cioé:
1 – approccio diverso della società civile al consumo di cibo. Acquistare e consumare cibo globalizzato ed industrializzato (permettimi di riassumere così!) è un modo per alimentare un modello di sviluppo agricolo che fa uso di chimica, che inquina l’atmosfera e il suolo, che non tiene conto dell’equità sociale e del futuro del pianeta. E ci sono infiniti dati che lo dimostrano.
2 – Ogni anno vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, circa un terzo di tutto ciò che viene prodotto. Qual è la ragione per cui si deve produrre così tanto se poi se ne butta via un terzo? Dobbiamo cambiare l’idea di cibo nella testa della società, ciò che facciamo noi quotidianamente parlando di cibo buono, pulito e giusto. Mai noi parliamo di cibo bello perché la bellezza del cibo è direttamente proporzionale all’uso di agenti chimici per la protezione assoluta e alla forte selezione post-raccolta per eliminare e buttare tutto ciò che non rispecchia le esigenze della distribuzione globalizzata.
Non possiamo accettare le critiche sull’agricoltura biologica se non si parte da questi presupposti. Ci sono lavori scientifici che dimostrano che parlare oggi di 10 miliardi di persone che dovranno essere alimentate nel mondo significa intorbidire l’acqua del confronto per far si che chi non è sufficientemente dentro le dinamiche non veda più con trasparenza. Il paradigma agroecologico è quello che risponde alla costruzione di un equilibrio tra esigenze della società e conservazione delle risorse naturali. Il modello biologico è l’unico costruito su pilastri consolidati e certificati. Alcuni aspetti sono da me non pienamente condivisi ma il regolamento che l’UE ha approvato e che entrerà in vigore a gennaio 2022 modifica aspetti significativi e migliora molto le prospettive anche per piccoli agricoltori e per la protezione della biodiversità.
Più in dettaglio, se noi oggi accettiamo un confronto che ci pone di fronte ai numeri citati nel testo che mi hai girato dobbiamo mettere sul piatto tanti altri elementi. Conservazione della biodiversità del suolo, conservazione del paesaggio agrario, conservazione delle risorse naturali a cominciare dagli insetti utili che giocano un ruolo fondamentale anche se non chiaramente e concretamente visto. Una discussione molto più concreta che non può esaurirsi solo ai numeri legati alle quantità prodotte e ripartite tra la popolazione. Perché dovrebbero pure dire come si pongo rispetto alle 800mila persone nel mondo che patiscono iponutrizione a causa dell’incapacità di gestire una corretta distribuzione.
Questo è una prima riflessione che posso articolare via mail. É un tema certamente importante che oggi sta al centro di tutti coloro che hanno a cuore la transizione ecologica che, in agricoltura, passa per la scelta di modelli di sviluppo sostenibili e compatibili con le risorse del pianeta, che non sono inesauribili.
Ti prego di considerare questo un mio contributo di pensiero.
Buon pomeriggio e a presto
Francesco