Alcuni imprenditori hanno deciso di gestire le loro attività all’insegna dell’agricoltura rigenerativa, con tecniche e tempi che hanno lo scopo di ricostituire e tutelare l’originaria vitalità del terreno
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I più grandi cambiamenti della storia sono quasi sempre stati opera di ribelli, non sempre ribelli assennati, certo, ma ribelli: persone che non hanno avuto paura di andare controcorrente anche quando questo andava contro i loro stessi interessi. «In direzione ostinata e contraria» cantava Fabrizio De André: questa frase si può applicare a una quantità molto ampia di soggetti nella storia, ma il campo si restringe se isoliamo dei singoli settori, quello della ristorazione ad esempio. Quei ristoratori che hanno deciso di avvalersi dei prodotti dell’agricoltura rigenerativa, ad esempio, sono dei ribelli. Sia perché affidarsi alla natura è sempre una scommessa, e poi perché i volumi per forza di cosa non possono essere quelli dell’agricoltura intensiva.
Figlia del dopoguerra, l’agricoltura intensiva aveva come unico scopo quello di massimizzare la resa dei raccolti, e all’epoca forse anche a ragione. Settant’anni di sfruttamento intensivo del suolo però, di pesticidi chimici, di fertilizzanti e di utilizzo di molti macchinari, hanno come conseguenza un terreno che si fa sempre più sterile, privo di nutrienti. L’agricoltura rigenerativa, al contrario, è composta da un insieme di tecniche che hanno lo scopo di ricostruire la vitalità del terreno e si fondano su principi di interscambio e semplicità: bisogna ridurre al minimo l’alterazione fisica, biologica e chimica del suolo, far sì che sia sempre coperto da vegetazione o altro materiale naturale, aumentare la biodiversità delle specie vegetali e di quelle microbiche che vi abitano e far ruotare le colture. Fortunatamente oggi sono sempre di più le realtà virtuose, ma anche super cool, che stanno promuovendo l’agricoltura rigenerativa, utilizzandola anche per produrre gli ingredienti necessari per proporre una ristorazione d’alta gamma. Abbiamo affrontato l’argomento con chef e manager di realtà riconosciute e premiate che la applicano nelle proprie strutture: Podere Arduino a Bolgheri, vincitore quest’anno del Forchettiere Awards a Pitti Taste come ristorante sostenibile dell’anno, PS Ristorante di Villa Petriolo a Cerreto Guidi, e SanBrite a Cortina d’Ampezzo, entrambi detentori di una stella verde Michelin.
«Io e Martina veniamo dall’agricoltura biologica e dalla permacultura, ma sono due i libri che hanno cambiato la nostra prospettiva: “La rivoluzione del filo di paglia” di Masanobu Fukuoka e “La Terra è viva” di Mario Incisa della Rocchetta» racconta Fabrizio Bartoli, fondatore insieme alla compagna Martina Morelli di Podere Arduino: una realtà nel bolgherese che è declinata secondo tre tipi di offerta: bistrot per il giorno, aperitivo per la sera con Bolgheri Green e fine dining con Osteria Ancestrale la cui offerta, tutta vegetariana, è garantita dal raccolto del podere, gestito secondo i principi dell’agricoltura rigenerativa. «All’agricoltura organico-rigenerativa e alla food forest (foresta in cui alcuni elementi sono edibili mentre altri hanno solo la funzione di ricreare il microclima di una foresta) ci siamo avvicinati in punta di piedi, grazie a queste letture, cercando di adattare quei principi al nostro terreno. Stiamo applicando i principi dell’agricoltura organico-rigenerativa in terreni che sono in conversione, è la sfida più grande che stiamo attuando: il suolo ha bisogno di tempo per adattarsi a questo tipo di coltura e noi glielo stiamo dando. Tutta l’azienda è in trasformazione: per questo ci sono gli animali, le api, facciamo il compost con i nostri materiali e mandiamo gli animali a pascolare nei campi che poi vengono seminati».
Podere Arduino ospita due ettari d’orto con tutti gli ortaggi, sia invernali che estivi, quasi tre ettari di piante da frutto che comprendono tutte le stratificazioni necessarie a creare una food forest quindi alberi ad alto fusto, medio fusto, striscianti e orti sotto, e poi c’è il grano: Senatore Cappelli per il duro e Gentil Rosso per il tenero. Quest’anno dovrebbe essere pronto il primo raccolto d’olio e tre anni fa Fabrizio e Martina hanno piantato mezzo ettaro di vigna per rifornire il ristorante con due varietà autoctone toscane: il Ciliegiolo e l’Ansonica. «Già avere un raccolto che possa essere completo per una famiglia è una sfida grande, per un ristorante come il nostro che ha tre sfaccettature è una sfida enorme. Per i primi tre o quattro anni ci siamo dovuti tarare, abbiamo dovuto capire cosa piantare e quando piantarlo, poi da due anni a questa parte siamo diventati pienamente autonomi. È stato molto difficile ma abbiamo trovato una quadra: abbiamo uno scadenziario di piantagione bello fitto, non si pensa mai al raccolto di quel momento, ma al raccolto del futuro. Quindi bisogna sempre organizzare quello che dovrà succedere tra due o tre mesi e queste scalette non sono facili da costruire, ma piano piano ci siamo riusciti». Spesso è proprio dalle sfide che nascono le migliori opportunità, come la cottura con il fuoco, che è diventata signature di Podere Arduino: «Per le leggi vigenti dove sorge il podere non può esserci una cucina, ci siamo agganciati però a una vecchia legge che consente di cucinare all’aperto, con le griglie e il fuoco. Quello che all’inizio sembrava un problema, è diventato il nostro metodo di cottura signature: abbiamo studiato il fuoco, che non prevede solo brace o plancha, ma tutti i modi in cui con questo elemento si può cuocere. Il fuoco dà la possibilità di cuocere con il forno a legna, sotto cenere, nella terra, direttamente sulla fiamma o sulle braci o di affumicare: sono almeno una decina le tecniche che sfruttano il fuoco».
«La stella verde Michelin per il ristorante PS è arrivata in maniera del tutto inaspettata: in sostanza non abbiamo fatto altro che riprendere quello che in questa villa veniva fatto nel 1500» racconta Daniele Nannetti, general manager di Villa Petriolo. «Il complesso nella sua interezza è in sostanza una fattoria: c’è una villa padronale cinquecentesca e tutto un sistema di poderi intorno alla fattoria stessa. Tutto questo nasceva già 600 anni fa, noi oggi abbiamo solo dato una seconda vita al progetto: l’intera azienda agricola, dalla ristorazione all’ospitalità, segue la stessa filosofia: dal campo al servizio». La ristorazione di altissimo livello si basa sull’approvvigionamento gestito interamente secondo i dettami dell’agricoltura rigenerativa, che non è altro che il tipo di agricoltura che veniva utilizzato alla nascita della fattoria. «La stella è arrivata proprio perché noi seguiamo le indicazioni dei nostri antenati e ci rifacciamo al patrimonio agricolo e culturale di questo pezzettino di territorio. Quindi abbiamo tantissime piccole produzioni, perché ci rifacciamo a un’idea di economia circolare che vigeva appunto nel sistema delle ville-fattorie cinquecentesche qui in toscana. Anche per imbastire la produzione di grano siamo partiti da una ricerca storica: abbiamo recuperato i libri contabili della famiglia nobile che aveva costruito e fondato questa villa-fattoria e abbiamo visto che erano presenti moltissime coltivazioni. Praticamente abbiamo ripreso lo stesso business plan di 500 anni fa e abbiamo rimesso in voga tutte le produzioni, di cui chiaramente quella principale era quella il grano. Qui a Villa Petriolo produciamo sia grani duri, Senatori Cappelli, che grani teneri, Andriolo. Pane, pasta e tutti i panificati li facciamo con le nostre farine biologiche di grani antichi. Noi proponiamo un prodotto 100% locale: la sfida è quella di portare il local a un livello ancora più alto, degno di grandi riconoscimenti. I nostri cardini sono tre: locale, biologico, quindi salutare, ed etico. Nel rispetto della sostenibilità sociale siamo i produttori di noi stessi con una tenuta di 170 ettari, laddove non riusciamo a produrre tutto quello che ci serve ci appoggiamo a una rete di piccoli produttori locali, che aiutiamo a crescere, a essere pienamente sostenibili e a migliorare il loro prodotto».
«La rigenerazione è da sempre un valore sostenuto e portato avanti dalla mia famiglia» inizia il suo racconto Riccardo Gaspari, chef e fondatore del ristorante SanBrite di Cortina. «Mio padre Flavio ha sempre praticato un’agricoltura rigenerativa, nel totale rispetto degli animali, che cura come se fossero suoi figli. Con mia moglie Ludovica ci siamo impegnati affinché questo valore entrasse a far parte anche della nostra cucina. Per questo nel 2020 abbiamo coniato il concetto di Cucina Rigenerativa: una cucina a zero sprechi, dove ogni elemento della filiera si muove in maniera circolare e costante: dalla natura al piatto e, dal piatto, nuovamente alla natura». Regione che vai, coltivazione che trovi: al SanBrite, nel veneto ampezzano, principalmente tuberi. «La sfida sta proprio nell’adattamento che la nostra cucina e il nostro ristorante deve costantemente avere rispetto alla produzione dell’azienda stessa. La dinamicità e la capacità di adattamento sono per noi caratteristiche imprescindibili. Il cambiamento climatico ci sta mettendo alla prova a livello di produzione, e dobbiamo essere bravi a capire i tempi che le coltivazioni richiedono rispetto alle nuove condizioni climatiche. È per questo che nel nostro menu i piatti non vengono mai totalmente stravolti, ma di volta in volta adattati sulla base delle disponibilità delle nostre materie prime. Quest’anno daremo vita a un importantissimo progetto, a cui teniamo molto: attiveremo una collaborazione con un ragazzo che farà parte della nostra azienda e che si occuperà delle nostre coltivazioni». Fonte: Linkiesta, Cultura, Ilaria Chiavacci , 17.02.2023