A meno di una settimana dal 25 dicembre, un itinerario goloso che parte dal Friuli Venezia Giulia e arriva in Sicilia. Senza dimenticare i panettoni made in Italy dei cuochi lombardi dell’Alleanza Slow Food
Carlo Petrini (@Bruno Murialdo)
Dalla gubana alla cubbaita cambiano un manciata di lettere, ma in mezzo ci sta tutta l’Italia e una fetta importante della storia (gastronomica e non solo) del nostro Paese. Sono due dolci tipici natalizi di due aree agli antipodi dello Stivale. Ed è proprio delle delizie di fine pasto che porteremo in tavola in queste settimane di festa che voglio parlarvi oggi: la prima – mi perdoneranno gli amici friulani per i sommi capi con cui, per ragioni di spazio, la descrivo – è una chiocciola di pasta dolce lievitata arricchita da uvetta, pinoli, noci e grappa. Viene prodotta a Cividale del Friuli e nelle valli del Natisone, all’estremità più orientale del Friuli-Venezia Giulia, dove il confine con la Slovenia è a un passo e l’influenza reciproca si respira anche nell’etimologia delle parole, tanto che il dolce è noto anche come gubanska. E la cubbaita, invece? Spostiamoci in Sicilia! C’è chi la chiama giuggiulena, chi appunto cubbaita, ma la sostanza non cambia: una sorta di sottilissimo torrone fatto di miele, zucchero, mandorle, sesamo, cannella, scorza d’arancia. Anche in questo caso, com’è naturale che sia in un Paese che per anni si è culturalmente e gastronomicamente arricchito dell’ingresso di genti di mezzo mondo, c’è una storia di influenze: pare infatti che sia un’eredità della pasticceria araba, come testimonierebbe il termine gulgul?n che in arabo significa proprio sesamo.
Con la consapevolezza di far torto a tanti angoli d’Italia da cui arrivano altri dolci natalizi che sono magnifica espressione del territorio e del sapere locale, vi propongo un viaggio attraverso altre cinque preparazioni italiane: partiamo dal pandolce genovese, che dalla Superba è approdato fin nel Regno Unito dove viene eloquentemente chiamato Genoa cake; spostiamoci verso la Toscana per conoscere il panficato, un parente piuttosto stretto del più noto panforte: diffuso tra l’isola del Giglio e il livornese, nella zona di Castagneto Carducci, Donoratico e Bolgheri, condivide con il dolce senese il miele, le mandorle, le noci, i fichi secchi, i pinoli, il cedro, il cacao e le spezie, ma non l’ostia e lo zucchero a velo. Merita un assaggio.
A Pescara, Natale fa rima con parrozzo: protagoniste uova e cioccolata per una torta dall’aspetto semisferico che ispirò e deliziò anche il Vate D’Annunzio. I crustoli, noti anche come turdilli, sono tipici delle province calabresi di Cosenza e Crotone: a differenza degli altri dolci raccontati fino a questo punto, sono però fritti: il miele, invece che nell’impasto, in questo caso è utilizzato per tuffarvi i crustoli. Brillano di luce propria. Chiudiamo il cerchio passando dalla Sardegna, per scoprire il pani ‘e saba: ricetta antichissima, impreziosita dalla saba, uno sciroppo ottenuto dalla cottura lenta e prolungata del mosto d’uva. Mandorle, uva passa, semi di anice, un piccolo di cannella e un paio di chiodi di garofano pestati… e una lunghissima lievitazione.
A proposito di lievitazione, non mi sono dimenticato del panettone: quest’anno, un gruppo di cuochi lombardi che fanno parte dell’Alleanza Slow Food, ha deciso di produrre un panettone made in Italy per davvero. Materie prime provenienti dal nostro Paese, per dimostrare che ancora oggi è possibile preparare il dolce natalizio per eccellenza come una volta, senza farine arrivate dal Canada, burro nordeuropeo e uvetta turca. E niente aiutini: no aromi sintetici, no alcool, no conservanti, no lievito di birra. Gli indirizzi dove acquistarli e la storia dei pasticceri li trovate sul sito della Fondazione Slow Food per la biodiversità. Se invece preferite cimentarvi in cucina, Slow Food Editore ha appena pubblicato I dolci delle feste. 230 ricette per celebrare tutte le ricorrenze dell’anno. Fonte: Gusto, Carlo Petrini, 19.12.2021